Tutti pensiamo al wagyu come al bovino giapponese dall'aura quasi leggendaria, le cui carni hanno un sapore e una qualità straordinarie, proporzionate solo al costro proibitivo che lo rende inaccessibile ai più. E se vi dicessimo che esiste un wagyu italiano, e che noi l'abbiamo mangiato?
Il progetto del "wagyu nostrano", partito nel 2007, nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Ferrazzi e Cova, istituto agrario in provincia di Milano, la Camera di Commercio e Unioncamere Milano. A noi è stato presentato nel corso di una serata all'agriturismo La Costa in cui abbiamo sperimentato diversi abbinamenti (quello con la polenta, ad esempio, funziona benissimo) e diversi tagli (inaspettati ma piacevoli anche fegato, cuore e polmoni) mentre veterinari e ricercatori responsabili del progetto ce lo hanno raccontato.
Immagine: Carlo Baraldi
Tutto è cominciato con 25 embrioni importati dall'Australia - ebbene sì, il wagyu viene allevato anche in Olanda, Argentina, Nuova Zelanda e Stati Uniti: il primo di tanti miti da sfatare sull'animale - e impiantati in vacche Frisone lombarde. Sono nati 3 vitelli maschi e una femmina. Noi abbiamo assaggiato un toro di due anni - e oltre 800 chili - che negli ultimi 4 mesi è passato attraverso la fase del finissage, il periodo più delicato che decide la vera qualità della carne (e in cui il fortunato bovino mangia 10 chili di fiocchi di mais, avena, favino, farina di mais e semi al giorno).
Il risultato era una carne dal caratteristico retrogusto dolciastro, la cui marezzatura però - l'infiltrazione di grasso intramuscolare - non era pari agli equivalenti giapponesi di cui tanto si favoleggia. Questo però è, appunto, solo la prima parte di un progetto che dovrebbe portare sul mercato circa 200 capi all'anno: c'è ancora spazio per errori e aggiustamenti.
Immagine: Carlo Baraldi
I risultati potrebbero essere interessanti anche dal punto di vista del prezzo. Se ora paghiamo il wagyu che importiamo intorno ai 90-100 euro al chilo, un wagyu italiano potrebbe costare dai 20 ai 30 euro al chilo.
Come ci spiega Ernesto Beretta, principale promotore dell'iniziativa, "il progetto punta a migliorare in qualità e quantità la produzione di carne italiana, che oggi dipende per il 90% da vitelli in arrivo dall'estero". Inoltre, non vanno dimenticate le straordinarie qualità nutrizionali del wagyu, come il grasso intramuscolare del 10%: un grasso buono però, privo di colesterolo e insaturo. Come se avessimo bisogno di altre ragioni per mangiarlo.