Un anno come chef di Stazione di Posta (qui il sito), dove ha riconfermato la stella guadagnata da Marco Martini, e poi una nuova avventura cominciata da qualche settimana - Eit - dove prima era il Pipero al Rex: Luigi Nastri in poco tempo ha conquistato Roma e ha messo la firma su due progetti ambiziosi, ambiziosi per ragioni diverse.
Luigi, classe 1974, ha alle spalle una carriera lunga ed esperienze all'estero; punto di svolta i suoi anni a Parigi, dove capisce che ha ancora molte cose da imparare e perché la Francia è ancora patria dei migliori chef al mondo. Poi il ritorno a Roma, all'inizio con qualche perplessità "Il mercato romano non mi offriva molto" e l'incontro con Pino Cau, titolare di Stazione di Posta, che decide di puntare sullo chef anche per un secondo progetto: Eit. Qui ancora un altro concetto dove invece che partire dai piatti si parte da otto ingredienti declinati sempre in modo diverso. Pochi tavoli e nessun signature dish: il cliente non affronta solo un menu degustazione ma un percorso sempre diverso creato insieme allo chef.
In questa intervista abbiamo parlato con Luigi Nastri della sua nuova avventura ad Eit e del suo primo anno a Stazione di Posta. Ecco quello che ci ha raccontato.
Come mai la decisione di tornare a Roma?
Per motivi familiari ho deciso di tornare in Italia e a Roma; quando ero andato nel 2013 per Parigi ero partito con un filo di arroganza, ma mi sono subito ricreduto. Ho passato due anni a La Gazette, uno dei bistrot gastronomici che ha fatto la storia. Li ho imparato molto, ma non nego che avevo voglia di un progetto mio, ed ero pieno di entusiamo. Una volta tornato in Italia, però, il mercato romano non mi offriva nulla di entusiasmante.
Come arriva a Stazione di Posta?
Mi metto in contatto con un'ex collaboratrice e incontro così Pino Cau, imprenditore dietro il progetto. Mi sono ritrovato così a Stazione di Posta, un luogo molto particolare un po’ internazionale, diverso dagli altri locali romani. Avevo ovviamente una serie di dubbi: era già un ristorante stellato e iniziando il percorso ad aprile (NdR: 2016) era già tempo per le ispezioni delle guide. Ho comunque accettato: ho dovuto riformare la squadra in cucina e in sala e in pochissimo tempo siamo stati già operativi. Tutti gli sforzi fatti hanno ripagato: la Guida Michelin ci ha riconfermato la stella nonostante il cambio di cucina.
Com'è cambiata la cucina?
Si, la mia cucina è diversa da quella del precedente chef: Parigi in questo mi ha dato moltissimo. Ho imparato a concentrarmi sulla materia prima. So che lo dicono in molti, ma cerco di lavorare davvero in modo diverso ad esempio la carne, prendendo sempre bestie sane ed evitando le cotture a bassa temperatura, cosa che rende tutto uguale. Ad un certo punto c'è stata l'omologazione sulle consistenze, sul sottovuoto, soprattutto una volta impostato un tempo e una temperatura hai il piatto. A me piace spadellare, il rapporto umano con la padella.
Cosa vuol dire davvero concentrarsi sulla materia prima?
Significa migliorare la ricerca del prodotto: il lavoro dello chef è anche quello. Di cucina se ne parla davvero tanto, si abusa di tutte le parole. Noi dobbiamo raccontare alle persone qualcosa di quello che serviamo: ho un pollo che prendo da un allevatore vicino a Siena, e che mette ai polli dei contapassi per vedere quanto camminano, mentre prendo il caprino da un pastore che ha 40 anni e non produce altro. Bisogna concentrarsi su queste storie e questi piccoli produttori, ovviamente senza estremismi, non sono per il km 0 a tutti i costi.
Chi è il cliente tipo di Stazione di Posta?
La conferma della stella aiuta molto sulla clientela straniera: siamo nel cuore di Testaccio un posto poco conosciuto dai romani, che i tassisti non conoscono, quindi arriva un pubblico più curioso e tendenzialmente giovane. Lavorando in passato molto a Prati ho anche una piccola clientela che mi segue da lì.
Parliamo invece dell'ultimo arrivato, Eit, dove una volta c'era il Pipero al Rex...
Nasce dalla volontà di lavorare solo sugli ingredienti: io e Pino ci siamo messi a ragionare su stagionalità e prodotti, ma un prodotto non dura quasi mai 4 mesi. Allora non bisogna parlare di 4 stagioni, ma di 8 mezze stagioni. Tutto si basa sul numero 8 (eight in inglese): otto gusti, ovvero quelli principali più il piccante, il grasso, l’estetica - non un gusto, vero, ma che fa parte sempre di più del giudizio di un cliente sulla bontà del piatto. Si parte da un ingrediente e non da un menu degustazione classico, e in cucina ci sono solo io con un altro cuoco.
Cosa cambia da Stazione di Posta, menu a parte?
Questo è un progetto molto più intimo, arriva in genere il cliente un po' più preparato, esigente e che non vuole per forza solo il signature dish, anche perchè io non ho signature dish: appena un piatto diventa riconoscibile mi annoia.