E se il suono fosse un gusto? Lo scricchiolio di una patatina sgranocchiata, lo schiocco di una carota addentata, l'effervescenza di una bevanda appena stappata: i “suoni” dei cibi influenzano enormemente la nostra percezione del loro sapore. Lo ha rivelato una serie di ricerche scientifiche recentemente pubblicate, che mette in luce ancora una volta come la percezione del sapore sia multisensoriale.
Già conoscevamo vari aspetti e sensi che influenzano quello del gusto: l'olfatto, naturalmente, e poi la vista, il tatto – pensiamo per esempio al materiale con cui è fatto un bicchiere - e lo stesso udito: è dello scorso anno lo studio che ci rivela come i suoni dai toni acuti siano associati prevalentemente a gusti agrodolci e acidi, mentre quelli arrotondati esaltano la dolcezza e quelli più bassi e gravi l'amaro e l'umami. Adesso ci rendiamo conto che non sono solo i suoni esterni ai cibi ad alterarne il sapore. Anzi, sono i suoni intrinseci all'alimento, peculiari a ogni boccone, a cambiare la natura della percezione che di esso abbiamo mentre ne facciamo esperienza in bocca. E a svelarlo è ancora lui, il professor Charles Spence, guru della scienza multisensoriale del cibo e ispiratore di grandi chef e aziende.
Quel suono è “il senso dimenticato del gusto”, dichiara Spence. E sono le più recenti tecniche sviluppate nell'ambito della neuroscienza cognitiva a poterlo dimostrare. Scrocchiante, croccante, crepitante, sono alcuni dei termini che descrivono alcune tra le più eccitanti esperienze uditive che avvengono sotto il nostro palato, durante l'atto del morsicare e quello del masticare. Per esempio, che gusto avrebbe una patatina senza il rumore che fa sotto i nostri denti? È molto probabile che questo cibo semplice e quasi universalmente apprezzato non avrebbe affatto lo stesso successo nel mondo. Una caratteristica, la croccantezza, sventolata infatti dai pubblicitari dell'industria del cibo ogniqualvolta sia possibile. E non a caso: croccantezza e piacere sono altamente correlati quando dobbiamo classificare i cibi. Perché? Innanzitutto, nella frutta e nella verdura croccantezza equivale a freschezza. E quel suono, quel suono così invitante... E il bacon: si è dimostrato che il suo suono crepitante, sfrigolante, e la sua consistenza sono altrettanto - se non più - importanti, di gusto e profumo nel renderlo l'alimento preferito di milioni di americani.
Ed è il tipo di suono a fare la differenza nella nostra percezione. Scrocchiare e croccare non sono la stessa cosa: il primo descrive un suono a più alta frequenza dato dall'atto di addentare – la lattuga, per esempio – mentre il secondo descrive suoni a più bassa frequenza - le mandorle o i crostini. Ma non esistono solo lo scrocchiare o il croccare. Esiste per esempio il suono della carbonatazione, che udiamo quando teniamo in mano una bibita frizzante. E il suono della cremosità: proprio così, quando la panna sul caffé avvolge la cavità orale, la bocca davvero inizia a produrre un suono sottilmente diverso, a causa della modificazione che quel manto cremoso apporta nell'attrito. Un suono che il nostro cervello associa, appunto, a una languida cremosità.
Insomma, il suono costituisce una preziosa fonte d'informazione sulle proprietà del cibo che stiamo mangiando, per lo meno per quanto riguarda la sua consistenza (texture), informazioni che elaboriamo senza rendercene conto. Alterare i suoni-emanazione dell'atto di mangiare cambia dunque la percezione dei cibi che abbiamo in bocca, e l'esperienza di quel meraviglioso atto vitale nel suo complesso.