I giornalisti si passavano fazzoletti e un membro della giuria non riusciva a smettere di piangere. Anche il presentatore nell’angolo destro della stanza faticava a trattenersi. Noi stavamo seduti, in silenzio, ad ascoltare María Fernanda Di Giacobbe mentre, attraverso uno schermo, raccontava la sua storia.
Una storia cominciata dieci anni fa che ha cambiato l’intera industria del cacao in un paese scosso da agitazioni sociali ed economiche. Una storia in cui ci sono violenza e orgoglio, depravazione e determinazione. Una storia che include lo smantellamento sistematico di intere infrastrutture. Ma anche una storia che fortunatamente, come nelle migliori favole, finisce con la speranza.
María Fernanda Di Giacobbe, fresca vincitrice de Basque World Culinary Prize, creato per premiare gli chef che attraverso la cucina promuovono cambiamenti nella società, ha spiegato l’ispirante progetto che ha creato in Venezuela.
Cresciuta a Caracas, capitale del Venezuela, ha imparato a cucinare dolci venezuelani da suo padre e dalle sue zie. “Erano esperti nel fare dolci tradizionali .. sono stata fortunata a crescere in una famiglia piena di persone che cucinavano”. Nel 1990 hanno aperto il primo ristorante e il business è cresciuto velocemente. A un certo punto sono arrivati a guidare 16 locali a Caracas, ma nel 2002 la crisi nazionale del petrolio ha buttato a terra l’economia e la famiglia ha dovuto chiuderli tutti tranne uno.
È stato in quel periodo che un viaggio a Barcellona a una fiera di cioccolata ha cambiato tutto per Maria. “Ero sorpresa di vedere come quelle prestigiose marche di cioccolata mostrassero fotografie del Chuao (zona produttiva venezuelana) come prova della loro qualità. Nei loro discorsi, i cioccolatieri italiani sottolineavano come il cacao venezuelano fosse uno dei migliori del mondo. Sono tornata in Venezuela con l’obbiettivo di cambiare la mia vita e aprire una bomboneria dove utilizzare questo famoso cacao, che era così difficile per gli altri ottenere. Per la prima volta, i bonbons non venivano fatti di pistacchio e mandorle, ma di frutto della passione, mango e guaba”.
Maria non poteva saperlo, ma Kakao è stato l’inizio di un intero movimento “dal seme alla tavoletta”, che avrebbe aiutato centinaia di donne in tutto il paese a diventare imprenditrici del cacao.
Siamo stati vicini a perdere un paese
Insieme al negozio è nato un laboratorio dove Giacobbe e il suo team potessero fare ricerca sul cacao, e nel 2008 hanno iniziato a lavorare a stretto contatto con i produttori di Barlovento, località ricca di piante di cacao. È nato così Cacao de Origen, un progetto che segue ogni passo della produzione di cacao per ottimizzarne il processo.
Ed è stato questo progetto, con tutte le sue implicazioni nell’industria venezuelana del cacao, che ha convinto la giuria (alcuni dei maggiori esperti gastronomici a livello internazionale) ad assegnare a Maria, tra i 20 finalisti, un premio che la stampa ha indicato come il “premio Nobel della gastronomia".
Tutte le volte che piantiamo un seme di cacao, progettiamo il futuro del Venezuela
Maria ha cominciato un progetto educativo alla Simon Bolivar University a cui hanno partecipato 1500 studenti, per il 90% donne, desiderosi di creare un business incentrato su quella che è stata la prima moneta di scambio del paese.
Maria vede il cacao come il cuore della sua terra, qualcosa di profondo e significativo anche a livello culturale, che potrebbe aiutare molti a prosperare, se non fossero bloccati dal loro stesso governo. “Abbiamo grossi problemi nell'esportare semi. Il governo ha sequestrato le istituzioni pubbliche. Danno permessi alle ‘loro’ persone o agli amici di produrre ed esportare cacao. Tutta questa burocrazia mi ricorda Il Processo di Kafka … il nostro governo preferisce che le persone stiano sulle loro ginocchia ad elemosinare. Dal 2005, le piantagioni sono state sistematicamente bruciate e oggetto di atti di violenza. Le hanno invase, nazionalizzate e poi abbandonate. I campi dove coltiviamo riso, mais e canna da zucchero non stanno producendo. Questo rende più difficile da trovare - scusate se sono onesta - un chilo di zucchero piuttosto che un chilo di cocaina”.
Non ha lasciato dubbi nel pubblico su quanto difficile sia stato il suo lavoro e quanto pericolosa sia la situazione nel paese. “Ma non vorrei che ne vedeste l’aspetto drammatico. Vorrei che vedeste anche la gioia che c’è ogni giorno in ogni regione che produce il cacao. Il Basque Culinary World Prize ci ha dato l’opportunità di parlare di un paese chiamato Venezuela, una 'tierra de gracia”.
“Ogni volta che piantiamo un seme di cacao ripetiamo, come una preghiera, che stiamo costruendo il futuro del Venezuela. Ogni volta che temperiamo il cioccolato in condizioni difficili stiamo temprando il nostro spirito, e ogni volta che creiamo un bonbon costruiamo il paese in cui vogliamo vivere, il paese che amiamo”.
“Il Venezuela non è solo il paese che appare nei media, ma anche un paese di persone che lavorano nel cacao, il frutto che racconta la nostra storia e ci identifica come nessun altro. Questo premio ci restituisce la nostra identità e la nostra anima, così maltrattata negli ultimi anni. Riporta la fiducia in quello che le persone insieme possono raggiungere, perché è chiaro che attraverso la gastronomia, lavorando ogni giorno con entusiasmo e speranza, possiamo ricostruire un paese. Se tu pianti un seme, porta frutti”.