Ci sono ristoranti che vanno oltre la semplice esperienza gastronomica, diventando custodi di storie, sacrifici e scelte decisive. IZU è uno di questi. Nato oltre trent’anni fa, in una Milano che ancora non conosceva il fermento gastronomico di oggi, il ristorante ha tracciato un solco nella storia della cucina giapponese in città.
Quando i genitori di Jin Yue Hu arrivarono in Italia negli anni ’90, l’integrazione non fu semplice. Milano non era ancora la capitale cosmopolita che conosciamo oggi e proporre una cucina autenticamente giapponese – pur non avendo radici nipponiche – era una sfida culturale oltre che imprenditoriale. IZU nacque così, dalla determinazione di una famiglia che ha trovato nel cibo un ponte tra mondi diversi, un modo per costruire il proprio futuro.

Crescere tra i tavoli del ristorante significava per Jin un destino già scritto? Forse. Ma quando è arrivato il momento della scelta, ha capito che il passato da solo non basta: un’istituzione resiste solo se ha il coraggio di cambiare. Ha scelto di restare, con la consapevolezza che un’istituzione può sopravvivere solo se evolve. La ristrutturazione recente ha portato IZU a una nuova dimensione, raffinata ed elegante, senza tradire le sue radici. Il menu, oggi, è una celebrazione di questa crescita: piatti iconici della cucina nipponica si intrecciano con influenze italiane e suggestioni dai viaggi di Jin, dando vita a una cucina creativa che sorprende e conquista. Oggi, la ricerca della materia prima è un pilastro di IZU, così come i viaggi di Jin, da cui torna sempre con nuovi spunti da trasformare in piatti per il suo ristorante di Porta Romana.

E se è vero che gli italiani sono tanto legati alle tradizioni culinarie, è vero anche che i milanesi sono particolarmente legati alla cucina giapponese. Certo, ci è voluto un po’ per sganciarli dal mondo del sushino ma poi, complice anche la facilità con cui oggi ci si può recare nella terra del Sol Levante, hanno finalmente capito che quella giapponese è una cucina molto più complessa e, facciamocene una ragione, anch’essa in continua evoluzione. Da Izu si mangia molto bene, lo dimostra la sua longevità e la sua tipologia di ospiti, una clientela pressoché fissa e fidelizzata.
Due elementi definiscono l’identità di IZU oggi: la qualità della materia prima e la continua ricerca. Non tutti i momenti sono stati facili. Jin mi ha raccontato un episodio che racchiude perfettamente la storia del ristorante: suo padre aveva scelto un riso tondo di altissima qualità, ma in un momento difficile dovette chiamare il fornitore per interrompere la fornitura, perché non poteva più permettersela. Fu proprio il fornitore a insistere per continuare le consegne, credendo nel progetto e nella serietà della famiglia. Quel gesto non è mai stato dimenticato, e oggi il riconoscimento della Michelin premia anche questa dedizione alla qualità, affinata nel tempo con una tecnica in continua evoluzione.
Un altro elemento distintivo della proposta di IZU è la tecnica, che si intreccia alla continua scoperta di nuovi ingredienti e combinazioni. Le salse esaltano gli ingredienti principali con equilibrio: esplosive e sorprendenti, ma mai invadenti. In carta compaiono certamente i grandi classici della cucina fusion giapponese di pesce, ma non mancano contaminazioni come il ceviche e inserzioni italianissime all’interno di preparazioni asiatiche.
Oggi, l’ingresso nella selezione Michelin è una consacrazione per IZU. Ma per Jin, più che un traguardo, è l’inizio di un nuovo percorso. Di tutto questo – e molto altro – ci ha parlato in questa intervista.

IZU è un'istituzione della cucina giapponese a Milano, ma nasce come un progetto familiare. Qual è il tuo primo ricordo legato al ristorante?
Mi ricordo i primi mesi dell’apertura, la felicità negli occhi di mio padre ogni giorno quando entrava in cucina a preparare la linea o quando saltava gli ingredienti in padella.
Crescere in un ambiente così legato alla ristorazione ha influenzato la tua visione del cibo e il tuo percorso professionale?
Sì. Per me è stato bellissimo crescere in un ambiente così tanto incentrato sul cibo. Ogni giorno scoprivo qualcosa di nuovo che mi affascinava tantissimo: gli ingredienti, le spezie, le tecniche di lavorazione, sono state tutte cose che mi hanno ispirato sin da piccolissimo.
Gestire un ristorante storico può essere un’eredità pesante ma anche un’opportunità. Qual è stata la sfida più grande che ha affrontato e cosa le ha dato la spinta per continuare?
L’orgoglio, ma non quello personale. L’orgoglio che ho provato per i miei genitori che hanno compiuto questa impresa. Continuare l’attività di famiglia mi ha messo sempre grande pressione, è vero, ma mi ha sempre dato quella carica per continuare a fare bene quello che hanno iniziato loro.

Negli ultimi anni il ristorante ha subito un restyling e un'evoluzione del menu. Cosa è rimasto dell’anima originale di IZU e cosa invece ha voluto cambiare?
Sembra assurdo, ma quello che è rimasto di IZU è la costante voglia di innovarsi, di mantenere la qualità della materia prima al centro del piatto. Diciamo che è cambiato il contenitore, ma non il contenuto. Ci siamo evoluti, certo, ma l’anima e lo spirito di IZU sono rimasti uguali, con la stessa voglia di misurarsi di 30 anni fa.
Entrare nella Guida Michelin è un riconoscimento importante. Come ha vissuto questa notizia e cosa significa per lei?
Per me entrare in Guida Michelin è come aver raggiunto un primo grande traguardo. Dopo tanti anni di lavoro è un bel momento questo.
Il menu di IZU combina i classici della cucina giapponese con creazioni originali e influenze mediterranee. C’è attualmente un piatto che per lei rappresenta perfettamente questa filosofia?
In carta ce ne sono tanti che raccontano questa filosofia, ma uno a cui sono molto legato è il Black Jack, nella sezione degli uramaki speciali. Lo prepariamo con salmone fiammato, basilico giapponese e italiano, lamine di avocado, tartare di pomodorini, salsa soia impreziosita con aceto balsamico di Modena e nebulizzata a chiudere il piatto.

La proposta enologica è un altro elemento distintivo del ristorante, con una selezione di vini e sakè molto curata. Qual è l’abbinamento più inaspettato che consiglia ai tuoi ospiti?
Forse non è un abbinamento insolito, ma io consiglio di fare una sequenza alternata di vino e sakè.
Se dovesse descrivere IZU con tre parole, quali sceglierebbe e perché?
Famiglia, equilibrio e innovazione. Famiglia perché questo è un progetto familiare ed è il suo punto di forza da sempre. Equilibrio che è quello che cerchiamo di mettere nei piatti sia quello che c’è nella brigata di sala e cucina. Innovazione perché siamo sempre alla ricerca di nuovi ingredienti, tecniche e abbinamenti, sia per stupire i nostri clienti sia per stimolarci in questo lavoro.
La sua famiglia è arrivata in Italia dalla Cina, la sua carriera è profondamente legata alla cucina giapponese e possiamo dire che è un vero milanese di Porta Romana. Come hai vissuto questo intreccio di culture nel tuo percorso?
Credo che questo mix di culture sia il mio punto di forza. Lo è nella mia interpretazione di cucina e nella mia visione del mondo.
Come si è evoluto il rapporto dei milanesi con la cucina giapponese?
Quando abbiamo aperto nel 1993, i milanesi non conoscevano ancora queste combinazioni di sapori. Oggi tutti possono andare in Giappone, ma all’epoca era una cucina inedita. Oggi i milanesi sono molto più consapevoli e curiosi di scoprire nuove sfumature della cucina giapponese.