Non l’equilibrio tra vita privata e lavorativa, e nemmeno i carichi e le ore di lavoro: quello che preoccupa maggiormente chi svolge un'attività nel mondo della ristorazione è il turnover del personale, ossia il cambio dei collaboratori. Lo rivela il progetto La Psicologia al servizio della ristorazione, il primo studio scientifico sulle cause dello stress in ambito lavorativo nel settore della ristorazione e sugli effetti che la pandemia ha provocato. L’iniziativa, promossa dall'Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto e dall'Ordine degli Psicologi del Lazio, è stata premiata dal programma internazionale 50 Best For Recovery, nell’ambito di The World’s 50 Best Restaurants.
È un tema sempre più caldo quello dello stress da lavoro che si viene a creare nelle cucine e nelle sale dei ristoranti, al centro dell’indagine condotta. Il fine dello studio, oltre ad accendere i riflettori sulle cause del cosiddetto burnout, un tema di attualità sempre più al centro nella vita di chi lavora nell’accoglienza e nella ristorazione, è quello di analizzare le cause dello stress da lavoro con un approccio professionale, diventare consapevoli di tutto ciò che comporta, dalle conseguenze fisiche ai risvolti psicologici ed emotivi. In ultima analisi, l’idea è quella di fornire a chi è coinvolto gli strumenti per superare e affrontare questa condizione. Disagio, confusione e incertezza sono le parole emerse più frequentemente nel corso dello studio, durato due anni, e possono portare a risvolti ancora più complicati.
I risultati dell’indagine, disponibili in formato e-book scaricabile sul sito della delle due realtà promotrici, sono stati presentati il 28 febbraio in diretta streaming, sulla pagina Facebook degli Ambasciatori del Gusto. L’incontro, moderato dalla giornalista Eleonora Cozzella, ha visto l’intervento di Cristina Bowerman (Presidente AdG), Franco Amore (Psicologo e psicoterapeuta, membro gruppo psicologia del lavoro), Isabella Corradini (Psicologa sociale, referente area rischi psicosociali), William Drew (Director of Content di The World's 50 Best Restaurants e The World's 50 Best Bars global) e David Pelusi (Dottore in tecniche psicologiche e tesoriere dell’Ordine Psicologi del Lazio).
La Psicologia al servizio della ristorazione: uno studio sullo stress da lavoro
Il progetto La Psicologia al servizio della ristorazione è stato concepito prima della pandemia, ma di fatto è stato realizzato nel corso degli ultimi complessi due anni, trascorsi tra crisi sanitaria ed economica, con webinar, focus group, colloqui individuali e sondaggi. Il rischio burnout per i lavoratori della ristorazione era già molto alto prima del Covid. Poi, l’emergenza sanitaria non ha fatto altro che aggravare la situazione in maniera repentina.
Già prima del Covid era nota la forte correlazione tra ristorazione e burnout, ma la pandemia non ha fatto altro che aggravare la situazione molto velocemente. “Nel 2020, a causa della situazione pandemica, la problematica dello stress è risultata essere ancora più centrale, dal momento che molte realtà della ristorazione si sono trovate a gestire enormi difficoltà dettate dall’incertezza del futuro e dalle chiusure forzate, che hanno portato diverse imprese a scegliere di non riaprire, alcune in via definitiva”, si legge nella presentazione dello studio.
"La ricerca è stata in grado di documentare un quadro dì criticità preesistenti alla pandemia che l’emergenza Covid ha ridefinito in modo del tutto nuovo e, talvolta, inaspettato”, spiega Davide Pelusi dell’Ordine Psicologi del Lazio. È un insieme di fattori che porta chi lavora nei ristoranti al burnout, come spiega molto bene Cristina Bowerman, presidente degli Ambasciatori del Gusto, chef e patron di Glass Hostaria a Roma: “La fatica fisica, la concentrazione, l’accentramento di tante responsabilità, l’allargamento della platea, le review dei giornalisti e clienti, sfibrano profondamente. Un giorno ci si alza e ci si rende conto di essere burned”, racconta.
Burnout e ristorazione: come si è svolta l’indagine e i suoi risultati
Due gli strumenti di indagine principali: una serie di webinar aperti, con cluster di partecipanti specifici (cuochi, pasticcieri, ristoratori, pizzaioli, gelatieri, sala e chef) e un questionario di 30 domande, che è stato distribuito agli associati, con risposta multipla.
Lo studio ha tracciato un identikit degli intervisati: l’89,2% è nella fascia di età fra i 31 e i 65 anni, circa il 73% afferma di svolgere questo lavoro da più di 20 anni, nell’84% dei casi si tratta di soggetti titolari o cotitolari dell’attività. Quasi il 77% dei rispondenti sono ristoratori o cuochi, il 70% del campione è di genere maschile e per oltre l’85% ha una relazione stabile (conviventi o sposati), il 55% ha figli conviventi
La notizia, dicevamo, è che il turnover del personale, che già nel periodo precedente al Covid rappresentava una delle aree di maggiore criticità, si conferma come al primo posto tra le cause di stress, per l’80,18% dei rispondenti. A seguire, l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata (55,85%), gli orari di lavoro (54,95%) e i carichi di lavoro (54,05%). Tra i sintomi fisici correlati allo stress: le criticità del sonno, in crescita nell’ultimo anno, sono segnalate dal 54,45%, mentre per disturbi in ambito psichico l’ansia è la primo posto con il 40,54%, seguita da tristezza (38,73%) e isolamento sociale (34,90%).
“A dimostrare come le mansioni della ristorazione siano fisicamente e mentalmente usuranti è l’aumentare dell’incidenza dei disagi psico-fisici, proporzionale all’aumentare degli anni di esperienza lavorativa: sono i soggetti con più di 20 anni di attività a segnalare infatti la maggiore presenza di sintomi fisici e la percezione di sintomi psichici”, si legge nel report.
Ma come hanno affrontato la pandemia e la difficile situazione del settore i lavoratori della ristorazione? Niente psicologici o psicoterapisti: il 72,08% degli intervistati ha utilizzato il tempo di chiusura per seguire corsi di aggiornamento professionale, il 63,07% si è dedicato agli hobby, il 59,46% ha cercato notizie o informazioni. Oltre il 78% ha riferito di essersi confrontato con i colleghi, mentre più dell’80% dei lavoratori della ristorazione ha pensato a eventuali alternative per mantenere l’attività. La dedizione per il proprio lavoro al primo posto, nonostante tutto: oltre il 98% ha confermato di continuare l’attività di ristorazione, il 52,3% di modificare il tipo di offerta, il 62,86% di voler intervenire sull’organizzazione.
Stress da lavoro e ristorazione: i risultati dei focus group
I focus group, suddivisi per categorie, hanno partecipato a un altro tipo di analisi: tutti gli intervistati, in merito al periodo pre-pandemico, hanno riportato una percezione del lavoro estremamente frenetico, intenso, con orari impegnativi. Nel caso degli imprenditori, la preoccupazione principale era quella di far quadrare i conti. L’emergenza pandemica ha fatto precipitare tutte le criticità presenti già prima, cui se ne sono sommate altre, dalla difficoltà a trovare collaboratori alla difficoltà di trovarli competenti o già formati.
Tra le criticità post-pandemiche, invece, si segnalano problematiche come il far rispettare regole stringenti come il controllo del green pass, soprattutto ai clienti, che spesso fanno nascere incomprensioni. Dall’altro lato, i clienti sono stati percepiti più esigenti e aggressivi nel post-pandemia.
Il medico del lavoro Carla Palmarini, inoltre, è stata invitata a fare una sua analisi, visto che il benessere psichico è strettamente legato a quello fisico. La dottoressa ha concluso affermando che il medico del lavoro e lo psicologo dovrebbero essere professionalità di supporto alle brigate.
Lo studio termina con testimonianze e con una serie di “consigli sulle buone pratiche per il proprio benessere psicologico”, per evitare lo stress da lavoro, con tanto di check-list per verificare lo stato di salute psicologica delle proprie attività.
Tra le testimonianze, quella dello chef tre stelle Michelin Enrico Bartolini del Mudec di Milano, in merito al supporto psicologico: “Non serve avere bisogno, si può fare prevenzione, quindi si può (e si dovrebbe) chiedere un aiuto per migliorare le cose anche quando pensiamo che vadano già abbastanza bene”. La prevenzione si conferma sempre un valido strumento per iniziare a porre rimedio alle criticità.