No spreco, chilometro zero, filiera corta. È impressionante vedere quanto lontano siano arrivati gli chef nella loro ricerca di sostenibilità. Ma tra alveari sul tetto e coltivazioni acquaponiche, quanto tempo rimane per dedicarsi alla sostenibilità umana?
C'è qualcosa di sbagliato nel fatto che le persone che si preoccupano della sostenibilità di fattorie, oceani e popolazioni indigene siano anche le stesse persone che lavorano da 60 a 80 ore a settimana, con un alto rischio di crollo psicofisico ed esaurimento nervoso. Non è certo un caso se l'Associazione Professionale Cuochi Italiani del Regno Unito ha annunciato che da maggio lancerà un servizio di assistenza psicologica per chef, per aiutarli a sostenere meglio la tensione e lo stress del mestiere.
Una ricerca commissionata da VisitEngland nel 2015 ha svelato che il 47% delle offerte di lavoro come chef rimanevano vacanti, mentre l'U.S. Bureau of Labour Statistics rivela che entro il 20125 ci sarà bisogno di 200.000 nuovi chef negli Stati Uniti. Ma come si attraggono i giovani a una professione che è così fisicamente e mentalmente impegnativa?
"Dobbiamo rendere le cose migliori" ha detto René Redzepi in un articolo del 2015 per Lucky Peach. "Magari il vecchio modo di lavorare ha funzionato fino ad adesso, ma nel lungo termine allontana le persone e le esaurisce. C'è un motivo se le persone fanno fatica fatica a trovare cuochi. Il nostro settore è popolato da giovani: più si invecchia più si è fuori mercato, perché non si è più disposti ad accettare gli abusi. Quanti chef hanno trentadue, trentatre, trentaquattro anni? Al massimo l'head chef e il sous chef".
“Le persone vogliono lavorare in cucina, ma non vogliono farlo per 80 ore settimanali. E perché dovrebbero?" ci racconta l'inglese Sat Bains, che nel suo ristorante due stelle Michelin a Nottingham ha da poco ridotto i giorni di apertura a quattro alla settimana. Un cambiamento che gli costerà circa 180.000 sterline alla settimana, ma che ha esponenzialmente aumentato il numero di curriculum che riceve, visto che la paga è rimasta la stessa.
Ma il problema non può essere solo dei ristoratori. Hanno una responsabilità anche le scuole di cucina, la nuova educazione dei Millennials e anche noi consumatori: riflettiamo mai che il costo dei piatti che ordiniamo ha un legame diretto con le paghe degli chef?
Il dibattito è più aperto che mai.