Tra le mura di The Spirit si respira una compostezza rilassata, fatta di luci soffuse e materiali che giocano tra legni scuri e accenti metallici, in un equilibrio tra modernità e intimità. La sala, raccolta ma dinamica, favorisce una discreta concentrazione sui dettagli: l’attenzione viene catturata tanto dai piccoli gesti dei commensali quanto dalle linee essenziali che caratterizzano l’arredo. La scelta di evitare dichiarazioni eccessive trova eco anche nel modo in cui vengono presentati i piatti: forme essenziali, porzioni contenute, cromatismi giocati sulla naturalezza degli ingredienti e accostamenti che non cedono mai all’ovvietà. La cucina di Ivan Francesco Filippelli e Chiara Domenichini si presenta come un invito alla scoperta: nulla è prevedibile, ogni portata sembra suggerire una personale interpretazione della stagionalità e della materia prima. Non ci si trova di fronte a una successione di piatti simbolo né a ricette codificate una volta per tutte; la ricerca è continua, e il menù riflette uno sguardo curioso e attento alle possibilità offerte dai prodotti del momento. Si percepisce, nella filosofia dei due chef, il desiderio di offrire un’esperienza dinamica che sappia dialogare con la curiosità di chi si accomoda a tavola, evitando tanto l’ostentazione quanto la ricerca di effetti speciali fini a sé stessi. Instradati da queste scelte, i sapori si manifestano netti ma mai rigidi, ordinati secondo una logica narrativa che predilige la coerenza alla sorpresa fine a sé stessa. Le preparazioni rivelano tecniche precise senza mai appesantire i sensi; ingredienti freschi, selezionati con attenzione, emergono con identità nitida, pur nella loro essenzialità. Gli accostamenti si giocano spesso su discreti giochi di consistenze e delicate variazioni aromatiche, restituendo una cucina rispettosa ma mai scontata, sempre proiettata a offrire qualcosa in più di quanto si possa indovinare a prima vista. The Spirit si distingue nel panorama milanese per una riservatezza che diventa cifra stilistica; il suo percorso, lontano da premi e riconoscimenti altisonanti, è segnato dalla coerenza e dalla capacità di essere sé stesso anche nel cuore di una delle città più eclettiche d’Italia. Entrare qui significa concedersi tempo e spazio per lasciarsi sorprendere dal dialogo silenzioso tra piatto e materia, guidati da una visione culinaria che non teme l’anonimato, ma lo trasforma in atto di libertà creativa.
