Avvolto da mura antiche che hanno mantenuto intatto il fascino del territorio etneo, Zash si offre come un rifugio dove la cucina siciliana si riscrive in chiave contemporanea. All’interno, la luce naturale filtra attraverso grandi vetrate che incorniciano giardini agrumati: uno scenario discreto, definito da un design elegante ma privo di ostentazione, in dialogo costante con la natura circostante. Il ristorante non conquista per eccessi, ma per la sobrietà di un’estetica che invita a concentrare lo sguardo sui dettagli, come le linee essenziali del legno e della pietra lavica, ingredienti silenti della scena.
Al centro di questa esperienza gastronomica si muove la cucina di Giuseppe Raciti, che interpreta la tradizione isolana evitando qualsiasi sovraccarico. La stella Michelin guadagnata dal locale è frutto di un percorso che privilegia l’identità del territorio, trasformando ingredienti autoctoni in piatti precisi e profondi, sempre riconoscibili. Raciti privilegia la materia prima e la stagionalità, costruendo preparazioni dalle texture nette, dove il gusto affiora senza deviazioni e ogni elemento entra in relazione con gli altri in modo armonico.
Il percorso sensoriale proposto dallo chef segue il ritmo delle stagioni: i profumi intensi degli agrumi locali, la fragranza delle erbe mediterranee e la freschezza del pescato si riflettono in composizioni curate, mai ridondanti. La presentazione dei piatti è calibrata, volta più a valorizzare la purezza degli ingredienti che a stupire l’occhio con virtuosismi. Si coglie subito la ricerca di un equilibrio sottile: l’immediatezza dei sapori, l’eleganza di una tecnica raffinata e la capacità di evocare memorie gastronomiche dell’isola senza fossilizzarsi nella ripetizione.
Nel silenzio ovattato della sala, ogni piatto racconta un pezzo di Sicilia vissuta e attuale, grazie a uno stile personale che si definisce più attraverso l’assenza di orpelli che non attraverso effetti speciali. Zash, in questo senso, si afferma come una tappa pensata per chi cerca autenticità e consapevolezza nel gesto culinario, dove ciò che conta è la materia e la visione delicata, consapevole, di uno chef che dialoga con il territorio senza forzature.