Spingendo la porta de La Favellina, si entra in un universo dove sobrietà e cura si percepiscono in ogni dettaglio. La sala, col suo equilibrio tra minimalismo moderno e calore degli elementi naturali – legni chiari, luci morbide e qualche tratto di design contemporaneo – parla la stessa lingua della cucina: attenzione all’essenziale, rifiuto del superfluo. I tavoli sono spazi senza ostentazione, ampi abbastanza da valorizzare la mise en place che predilige linee pulite, una porcellana opaca, talvolta un tocco di ceramica artigianale.
La proposta gastronomica riflette la prospettiva di Federico Pettenuzzo, chef che, più che rincorrere tendenze o virtuosismi esteriori, accompagna il commensale lungo un percorso lineare ma mai prevedibile. La stagionalità è il filtro attraverso cui la materia prima viene selezionata e trattata: la scelta di ingredienti è vincolata al periodo migliore di maturazione, così che ogni piatto sappia raccontare la freschezza del giorno. Niente sovrapposizioni eccessive, nessuna esigenza di stupire con elaborazioni ridondanti: l’intento dello chef è di lasciar emergere la purezza di ogni singolo boccone, secondo una filosofia votata alla precisione e alla coerenza.
Le creazioni che si susseguono, anche nell’aspetto, suggeriscono una ricerca rigorosa: porzioni studiate, contrasti cromatici misurati, salse che non invadono ma sottolineano. Il profilo aromatico di ogni piatto risulta calibrato; gli accenni vegetali – magari una purea di ortaggi di stagione, una radice arrostita – trovano spazio accanto a proteine selezionate senza eccessiva grassezza, spesso arricchite da una nota acida o erbacea che tiene il palato sempre desto.
A ogni elemento della cucina viene riconosciuto un ruolo preciso, nulla appare casuale, e la narrazione culinaria rinuncia agli effetti speciali per restare fedele all’identità del luogo. È un’esperienza intima e raccolta, adatta a chi riconosce valore nella continuità di sapori netti, e nell’assenza di orpelli. In questo equilibrio rigoroso, La Favellina si definisce senza proclami, concedendo allo spazio e alla materia prima il compito di rivelare il carattere autentico della propria cucina.