Superata la soglia di A Rota, l’impressione è quella di entrare in uno spazio pensato per restituire autenticità e ritmo disteso alla fruizione della pizza romana. L’ambiente riflette questa intenzione: legno chiaro, tocchi di modernità senza eccessi, e una luce calda che accoglie ma non impone. Qui il movimento della sala sembra accompagnare quello del forno; c’è un rispetto silenzioso per la materia prima che si percepisce anche dai dettagli della mise en place, pulita e senza orpelli.
A Rota si distingue soprattutto per una lavorazione dell’impasto che rifugge la standardizzazione. Marco Pucciotti ha costruito il suo percorso su una ricerca approfondita, dove le farine selezionate raccontano storie di territori e il tempo di lievitazione è pensato per garantire leggerezza e digeribilità senza rinunciare alla croccantezza tipica della pizza romana in teglia. L’alveolatura ampia rivela mani esperte che conoscono la materia e la trattano con rispetto, mentre il profumo della pizza appena sfornata richiama ricordi d’infanzia, ma senza nostalgia.
Non c’è spazio per inutili virtuosismi nella presentazione delle pizze: l’equilibrio dei colori e la precisione nel dosare condimenti come pomodoro, mozzarella o ingredienti stagionali, confermano una filosofia dove la semplicità diventa disciplina. Il boccone offre una crosta sottile che sorprende per la tenuta e la fragranza, un contrasto calibrato tra croccantezza esterna e sofficità interna. Più che su varianti insolite, l’attenzione si concentra sull’eccellenza riconoscibile di ingredienti scelti con cura, spesso provenienti da piccole realtà locali.
La sala si anima senza mai farsi caotica; qui il piacere della convivialità conserva un tono intimo. Ogni dettaglio appare funzionale a riportare l’ospite al centro della scena gastronomica romana, valorizzando un prodotto familiare come la pizza senza profanarlo con sovrastrutture superflue. Per Pucciotti, la pizza è soprattutto un gesto culturale, un esercizio di equilibrio tra tradizione e innovazione che si rinnova a ogni infornata. Così, A Rota mostra come la raffinatezza possa coincidere con l’essenzialità, e come la vera modernità nasca dall’ascolto rigoroso della propria memoria gastronomica.