Nel cuore di Ceglie Messapica, tra pietra viva e silenziosi archi, si incontra un indirizzo che parla sottovoce a chi sa ascoltare: Cibus. Questo ristorante impone il proprio ritmo, lontano dai canoni dell’apparenza, preferendo raccontare la cucina attraverso gesti misurati e sapori essenziali. L’atmosfera è raccolta, quasi protettiva, con sale rivestite di materiali naturali che evocano la storia agricola locale e danno respiro a una dimensione conviviale, mai pretenziosa. Le luci restano soffuse, i tavoli ben distanziati, e sulle pareti fanno capolino scaffali di bottiglie dalla selezione ragionata, come una promessa di scoperte.
La mano di Camillo Silibello e Giuseppe Russo emerge dalla precisione dei dettagli. La loro è una filosofia poco incline allo spettacolo: parlano attraverso la materia prima e il suo rispetto, lasciando che ogni ingrediente racconti la propria origine. La Puglia offre varietà e generosità—qui si esprime nelle consistenze dei pani rustici fatti in casa, nella mineralità dei formaggi selezionati e negli ortaggi che arrivano profumati di sole. Il percorso del gusto non cede mai alla tentazione dell’eccesso; ogni piatto, dalle paste tirate al momento alle preparazioni di carne locali, sfoggia esecuzioni regolate solo dalla tecnica e dalla tradizione.
L’impiattamento sceglie linee sobrie, preferendo la naturalezza alla costruzione forzata. Una vellutata di legumi si presenta quasi austera, impreziosita solo dal verde intenso dell’olio extravergine che la vela. Le carni, spesso cotte a bassa temperatura, conservano sapori profondi e consistenza piena; nessuna nota urlata, piuttosto un crescendo che stimola progressivamente i sensi. Ad accompagnare, verdure di stagione conservate come una volta, dolci semplici con richiami agli aromi mediterranei.
Cibus si rivela dunque come una tappa di rara coerenza, un luogo in cui sono esclusi effetti speciali o scorciatoie emozionali. Il rispetto per la cultura gastronomica locale diventa cifra stilistica, invitando chi si siede ai tavoli a rallentare, ad assaporare ogni sfumatura, lasciando che la memoria del palato si intrecci con quella del territorio. Qui l’autenticità è discreta, svelata solo a chi è disposto ad ascoltare.