Varcata la soglia di Il Tiglio, ci si trova immersi in un'atmosfera che concilia sobrietà ed equilibrio. L’arredo del locale riflette un gusto discreto, legno chiaro e superfici materiche che rimandano ai paesaggi circostanti senza eccessi; la sala accoglie la luce naturale che filtra dalle finestre, intrecciando ombre leggere su tavoli essenziali, destinati a mettere l’ospite al centro di un racconto gastronomico composto con rigore.
La cucina di Enrico Mazzaroni si dispiega in un dialogo costante tra tecnica e istinto. L’identità della sua proposta si coglie nell’attenzione maniacale verso stagionalità e origine degli ingredienti: raccolti a poca distanza, selezionati per qualità e freschezza, diventano materia di una ricerca che predilige l’essenza rispetto all’effetto. I piatti di Mazzaroni riescono a trasformare la semplicità di un ortaggio o la mineralità di un’erba spontanea in un’esperienza sensoriale che chiama in causa olfatto, gusto e vista, senza artifici.
Il menu, mai statico, si fa specchio delle stagioni. Il ritmo della natura guida la mano dello chef, che costruisce composizioni in cui i colori intensi dei vegetali incontrano cromie più profonde, giocando sulle contrapposizioni—come una crema setosa accostata a croccanti frammenti vegetali, o fondi saporiti trattenuti da impiattamenti essenziali e curati nei dettagli. Niente è scontato: ogni preparazione suggerisce un equilibrio studiato fra acidità, dolcezza e freschezza, ma lascia spazio anche all’imprevisto, a note affumicate o sentori boschivi capaci di sorprendere.
La filosofia di Mazzaroni si definisce come una costante interpretazione del territorio, mai subita, ma tradotta attraverso uno sguardo personale e aggiornato. L’intenzione è quella di evitare compiacimenti o mode transitorie, rifiutando l’idea di protagonista unico a vantaggio di un dialogo armonico tra materie prime e memoria. Ne deriva una degustazione densa, in cui ciò che arriva al tavolo si lascia leggere facilmente ma invita a una riflessione attenta su consistenze e aromi.
Il Tiglio si muove così sul filo sottile che separa la classicità dall’innovazione, riuscendo a costruire un linguaggio gastronomico riconoscibile e coerente, adatto a chi considera la cucina non solo come nutrimento, ma come atto di pensiero.