C’è un senso di compostezza avvolgente al varcare la soglia di Le Colonne: luci soffuse, un arredamento che conversa con discrezione fra l’eleganza senza tempo del legno e dettagli contemporanei, e un’atmosfera che invita a rallentare. Si percepisce subito che qui ogni scelta porta impressa la volontà di esprimere una precisa identità gastronomica, lontana da facili clamori e mode transitorie. Le Colonne si distingue per la chiarezza del suo progetto: il lavoro dello chef Gianni Bona è orientato a restituire l’essenza dei prodotti ossolani, evitando deviazioni non necessarie e restando fedele alla stagionalità.
La cucina si racconta attraverso piatti che non inseguono l’effetto scenico, ma che svelano aromi limpidi e intensità dosate con misura. Persino la mise en place appare pensata in funzione del piatto, mai come una vetrina esibita ma quale sottolineatura delicata della materia prima. In ogni portata, la consistenza e il profumo degli ingredienti suggeriscono una filiera breve e una cura artigianale, dove le verdure fresche e i prodotti locali dialogano armoniosamente con la tecnica dello chef. Non si tratta di un’esibizione: la mano di Bona si riconosce proprio per l’assenza di forzature, in quell’equilibrio naturale che fa sentire tutto al proprio posto, senza mai sovrastare i sapori autentici.
Anche i colori dei piatti si inseriscono nella narrazione: tonalità terrose e verdi che portano in tavola la memoria del paesaggio subalpino circostante. Il menù si evolve con il ciclo delle stagioni; le proposte si adagiano su un registro di sobria eleganza, lasciando spazio a note rustiche che rispecchiano la storia gastronomica del territorio. Ogni assaggio sembra richiamare gesti lenti e consapevoli, quelli della cucina fatta con pazienza e rispetto.
Le Colonne non rincorre l’innovazione a ogni costo, ma si muove in una dimensione dove la ricerca convive con la consapevolezza. Lo chef descriverebbe così il proprio stile: una cucina senza protagonismi, che pone al centro il valore intatto della materia. In questo luogo, la memoria del territorio riaffiora nel piatto, offrendo un’esperienza che non ostenta ma accompagna, in un dialogo silenzioso tra radici e presente.
