Entrare da Romani regala subito l’impressione di lasciare fuori dalla porta il tempo che scorre: l’ambiente, raccolto e senza lussi evidenti, si distingue per un’eleganza sottile, fatta di arredi lignei dal gusto classico e pareti che sorprendono con dettagli sobri, privi di fronzoli. La sala riflette la filosofia del locale, dove prevale l’essenzialità: la luce morbida disegna i contorni dei tavoli ampi, invitando a una pausa che segue il ritmo del territorio parmense. La cucina di Romani è espressione di un radicamento profondo nel tessuto gastronomico dell’Emilia-Romagna. La scelta delle materie prime non si limita alla qualità, ma ricerca la tipicità: salumi di rara delicatezza, pasta fresca con sfoglie quasi trasparenti e carni selezionate con una sicurezza antica. In ogni portata si avverte la volontà di rispettare la tradizione — ma non si tratta mai di immobilismo. La mano dello chef si riconosce in tocchi misurati, che rinnovano ricette locali esaltandone la struttura autentica. L’attenzione ai dettagli emerge nella presentazione: piatti composti con precisione, senza eccessi cromatici, che rimandano a una cura silenziosa. I profumi raccontano storie di campagna, legno e spezie leggere, mentre i sapori parlano con chiarezza, portando in tavola la profondità di un territorio agricolo vissuto e pensato. La cucina si evolve rimanendo fedele all’identità emiliana, con una predilezione per preparazioni artigianali che puntano sulla ricchezza delle consistenze e sull’armonia degli aromi. Ogni piatto, anche il più semplice, invita a soffermarsi sui piccoli dettagli: una sfoglia perfettamente tirata, un brodo che racchiude il profumo di erbe di campo, un intingolo dal sapore vellutato. Lo chef di Romani, forte di una lunga esperienza nella cucina della provincia di Parma, descriverebbe la propria arte come un esercizio di equilibrio tra memoria e rigore: la tradizione viene rielaborata con rispetto, senza cedere alla tentazione della nostalgia sterile. Il risultato è una proposta gastronomica che non ricerca l’effetto scenico, ma piuttosto la profondità e la continuità del gusto emiliano, in un ambiente dove il silenzio dei gesti vale più di tante parole.