Tra le luci calde e le volte secolari di un edificio che racconta la storia millenaria di Matera, Dimora Ulmo svela una proposta gastronomica che dialoga con il territorio, ma si lascia guidare da una visione personale e consapevole. Varcando la soglia, si percepisce subito un’eleganza discreta: le pareti in tufo, sapientemente illuminate, dialogano con arredi contemporanei — linee pulite, toni neutri, qualche dettaglio di design mai eccessivo — a creare un’atmosfera che invita a concentrarsi sul piacere della tavola.
In cucina, la mano di Michele Castelli predilige l’essenzialità senza rinunciare alla profondità di gusto. La filosofia che guida la sua ricerca nasce dalla volontà di rispettare la materia prima, valorizzando modelli di armonia nei sapori e nella presentazione. I piatti si susseguono in una perfetta coreografia di colori e consistenze: le verdure locali giocano un ruolo da protagoniste, portando al palato fragranze e sfumature che raccontano la Basilicata in modo sottile, mai didascalico. Al centro, emerge una predilezione per le stagionalità: in ogni creazione si percepisce la volontà di far arrivare in tavola la natura, così com’è, con minimo intervento ma massimo riconoscimento delle sue caratteristiche.
Osservando i dettagli, risalta la cura nella disposizione degli ingredienti, che si fanno quasi architettura sul piatto. Le cromie delicate dei vegetali convivono con il chiaroscuro di carni lavorate all’insegna della precisione, e nulla appare lasciato al caso. Lo stile di Castelli non indulge in eccessi: ogni elemento trova il suo posto senza sovrastare gli altri, lasciando spazio a equilibri spesso poco appariscenti ma di grande originalità.
La scelta dei prodotti, in gran parte provenienti da piccoli produttori locali, tradisce una ricerca costante, che si riflette nella freschezza degli aromi e nella consistenza delle preparazioni. Nulla viene esasperato: la tecnica si mette al servizio dell’esperienza più che dell’estetica, e le portate si fanno racconto di una cucina sincera, costruita sull’identità e sulla memoria senza mai cercare scorciatoie modaiole.
Curiosamente, la sala mantiene una riservatezza che permette di ascoltare i suoni della materia prima: il pane spezzato, il taglio preciso delle verdure, il lieve sfrigolio di una salsa. È una cucina che parla con voce nitida, attenta ai dettagli, pensata per quei commensali che sanno leggere dietro ogni ingrediente una storia di dedizione e ricerca.