Varcata la soglia di Du De Cope, lo sguardo si posa subito sulle linee essenziali di uno spazio pensato per fondersi con la quieta eleganza della Galleria Pellicciai. L’ambiente si racconta attraverso dettagli minimali: luci soffuse scolpiscono le superfici chiare, tavoli in legno naturale e una palette neutra che accoglie gli ospiti senza mai rubare la scena a ciò che accade nei piatti. Qui, la convivialità assume contorni raffinati, scanditi dal susseguirsi di profumi che anticipano l’arrivo delle portate.
La mano di Giancarlo Perbellini e Alaa Morsi si riconosce nel tono misurato con cui l’esperienza prende forma: la cucina abbraccia la materia prima selezionata senza eccessi, preferendo una modernità mai gridata che convive con il rispetto per la tradizione italiana. Una filosofia che si riflette nell’impasto delle pizze, frutto di una lunga lavorazione che punta alla leggerezza, alla digeribilità e a una croccantezza quasi eterea. La scelta degli ingredienti segue la linea della stagionalità, con verdure e condimenti che si avvicendano secondo il ritmo naturale, dando vita a un menu agile, essenziale, eppure capace di lasciare il segno.
L’ingresso nell’esperienza sensoriale è scandito dal colore vivo delle guarnizioni — il verde brillante dei basilici freschi, la lacca caramellata che impreziosisce i bordi del cornicione — e dai profumi che emergono al taglio: note fresche di pomodoro maturo, la dolcezza sottile dei formaggi lavorati con cura artigiana, leggere affumicature che avvolgono la farina cotta a puntino. Ogni pizza rivela una struttura pensata per sostenere le farciture senza dominarle, in un equilibrio fluido e persistente tra consistenze e sapori.
Du De Cope si posiziona così in una zona di frontiera tra passato e presente, senza adagiarsi sulle definizioni canoniche della cucina. Non sorprende che guide del calibro di Gambero Rosso e Identità Golose abbiano riconosciuto nel progetto una coerenza rara: qui l’identità si costruisce soprattutto nel gesto quotidiano, nella coesistenza di tecnica e sensibilità che traspare dalle preparazioni quasi fossero gesti silenziosi ma incisivi. La cucina, da queste parti, è un atto di ascolto verso l’ingrediente e verso il tempo, che vieta scorciatoie e chiede dedizione costante, senza mai rincorrere l’effetto.