Una luce soffusa filtra tra gli arredi studiati con cura, dove legno e riferimenti contemporanei si mescolano, creando subito la sensazione di essere avvolti in un ambiente dalla calda familiarità senza tempo. All’interno di El Gringo, l’atmosfera parla sottovoce: tavoli ben apparecchiati, dettagli che omaggiano la sobrietà montana e una compostezza generale che ben introduce all’esperienza pensata da Livio Mancini. Nulla appare casuale, né forzato—dall’accoglienza silenziosa degli spazi alle note discrete di colori neutri sulle pareti.
La pizza, protagonista silenziosa del locale, emerge per la ricerca meticolosa che la accompagna. Il percorso di Mancini si legge in ogni disco d’impasto — alveolature ariose, bordi definiti, superficie appena dorata — frutto di una fermentazione controllata ed equilibrata. La cottura, mai aggressiva, restituisce profumi di cereali e un lieve sentore affumicato, mentre i condimenti vengono scelti con una logica che rifugge dall’effetto sorpresa a beneficio di una linearità gustativa. Qui tradizione e misura convivono: una rassegna di proposte che toccano l’essenza della pizze classiche ripensate con uno sguardo pulito, privo di eccessi. L’olio — dosato con attenzione — lucida la superficie senza mai offuscare i sapori principali.
Il menù si muove con stagionalità e coerenza, restituendo una filosofia che privilegia materie prime affidabili e lavorazioni trasparenti. Mancini predilige una cucina che non insegue sperimentazioni fini a sé stesse: ogni elemento trova il suo posto grazie a un ragionamento preciso, privo di forzature scenografiche. L’esperienza qui non è mai urlata — è semmai orchestrata secondo un’idea di rigore contemporaneo, lontana dal desiderio di stupire a tutti i costi.
Persino la disposizione dei piatti segue una simmetria studiata: pochi orpelli, una presentazione nitida, in cui ogni fetta di pizza invita all’assaggio con il suo profilo netto. Scegliere El Gringo significa entrare in sintonia con una visione che antepone la qualità interpretata alla luce dell’esperienza personale, offrendo una sosta gastronomica priva di ostentazione, carica però di piccoli accenti distintivi che lasciano traccia nella memoria sensoriale.
