A Guido, ogni dettaglio sembra orchestrato per riportare al centro della scena ciò che di più intimo e autentico offre la cucina piemontese. L’ambiente, privo di orpelli o richiami sfarzosi, si racconta attraverso essenzialità e rispetto per la storia del luogo: spazi ampi, luci pacate e arredi disegnati per non distrarre, ma piuttosto accompagnare con discrezione un’esperienza che privilegia il gusto e la materia.
Il lavoro di Ugo Alciati in cucina riflette una filosofia tutta rivolta all’ascolto della tradizione, ma senza rigidità. Ogni piatto ruota intorno a una materia prima selezionata con rigore: funghi carnosi e intensi in stagione, carni locali di una tenerezza non comune, formaggi e verdure che raccontano la biodiversità del territorio. Le preparazioni si distinguono per una tecnica affinata negli anni, quasi silenziosa, mai esibita. C’è una coerenza rassicurante che percorre il menu, dove ogni portata evita il superfluo per restituire sapori netti, equilibrati nella loro semplicità.
Entrando, ci si accorge subito di quel misto di accoglienza discreta e calore che nasce dal profumo di un brodo avvolgente o da una tajarin appena sfornata, dal lieve riflesso dorato. Le stoviglie, scelte con misura, fanno da cornice a portate la cui presentazione sfugge ai formalismi contemporanei: l’attenzione va tutta alle sfumature dei colori naturali, all’aspetto sincero e non costruito dei piatti.
Qui l’idea di cucina non rincorre l’effetto sorpresa, né si lascia sedurre dalle ragioni commerciali delle tendenze. Alciati preferisce definire il proprio stile come un equilibrio tra memoria e pulizia gustativa, dando valore al gesto quotidiano, alla costanza, all’aggiornamento che non tradisce mai le radici. Il menu, modulato in base alla stagionalità, diventa così un percorso variabile, ma sempre profondamente ancorato a una visione schietta della cucina regionale.
Il risultato è un senso diffuso di sobrietà, una cucina che non ha bisogno di gridare per essere riconosciuta e che, proprio per questo, definisce la propria unicità. Da Guido, ogni pranzo o cena si trasforma in un frammento di racconto locale, sospeso tra rigore e spontaneità.