Varcare la soglia de Il Basilisco significa abbandonare ogni tentazione di eccesso per entrare nel territorio di una cucina pensata, dove ogni elemento trova il proprio posto in un quadro rigoroso. Le sale, essenziali nell’arredo, accolgono con calore mitigato: luci non invadenti, tavoli ben distanziati e pochi dettagli sapientemente scelti per creare un’atmosfera raccolta, quasi meditativa. Qui la scenografia resta volutamente discreta, lasciando parlare senza distrazioni la cucina di Diego Tomasi.
L’approccio dello chef si avverte già dalla materia prima: nessun compromesso sulla provenienza, attenzione meticolosa alla stagionalità e scelte che privilegiano freschezza e autenticità. Nei piatti, i profumi si rivelano schietti e precisi: note erbacee, sapidità calibrate, delicate sensazioni di tostato o agrumato che non cedono mai il passo all’ostentazione. La presentazione segue lo stesso principio, con composizioni pulite ed essenziali, in cui i colori della natura si offrono senza artifici.
Il menu non rincorre mode passeggere, ma si sviluppa con coerenza su un’idea di cucina che dialoga con il territorio, rifuggendo gesti ridondanti. Le proposte cambiano assecondando il ritmo delle stagioni e riflettono una filosofia incentrata sulla sostanza più che sulla spettacolarità. Si avverte il rispetto per la tradizione, ma anche la volontà di muoversi con cauta apertura verso suggestioni contemporanee, senza forzature.
Il legame con Treviso non si limita alla mera origine degli ingredienti: si ritrova anche nell’equilibrio dei sapori, nella struttura delle portate e nell’armonia generale dell’esperienza. La menzione nella Guida Michelin non sorprende: il valore del percorso culinario si percepisce nel rigore silenzioso di ogni scelta, nella costanza dell’identità definita. Tra gli elementi che distinguono Il Basilisco, spicca proprio questa chiarezza: una cucina che procede senza clamori, fidandosi del peso della sostanza e della solidità del proprio racconto gastronomico.
