Nel cuore di Bologna, Oltre invita chi ama l’alta cucina contemporanea ad affacciarsi su un percorso in cui la curiosità si intreccia al rispetto per la memoria gastronomica dell’Emilia. L’ingresso rivela uno spazio in cui i dettagli dialogano con equilibrio: tavoli in legno chiaro, pareti spoglie che riflettono una luce morbida, sedute minimali e atmosfere scandite da un brusio discreto – niente qui è lasciato al caso, ma tutto resta essenziale, quasi a suggerire che la vera protagonista debba essere la cucina. Daniele Bendanti guida un ristorante che rifiuta l’ostentazione. La sua filosofia punta a una creatività discreta, dove la ricerca della materia prima e il desiderio di innovare non scardinano mai il senso della convivialità emiliana. Si percepisce immediatamente un approccio artigianale nella scelta degli ingredienti, che si riconoscono per freschezza e precisione. Ogni piatto, nella presentazione, riflette una cura silenziosa: cromie calibrate, impiattamenti lineari e una predilezione per forme che conservano una traccia di semplicità, in contrasto con l’apparenza spesso barocca della cucina creativa. La carta, priva di eccessi eccessivamente tecnici o gesti sopra le righe, sembra oscillare tra l’evocazione di sapori familiari e la reinterpretazione pensata. Chi varca la soglia di Oltre scopre una cucina che sussurra piuttosto che gridare, dove materia e memoria si bilanciano senza nostalgia forzata. Piatti e menu si rinnovano spesso, facendo spazio alla stagionalità e alla curiosità dello chef, ma senza mai imporre la sorpresa come unico scopo. La memoria della tradizione bolognese attraversa le proposte, ma s’incunea in sentieri nuovi attraverso piccoli espedienti nella scelta degli abbinamenti e delle consistenze. La menzione sulla guida Michelin non passa inosservata: è il segnale di una costanza che non cerca la ribalta, ma che costruisce un rapporto solido con chi si avvicina al ristorante. Ben più di uno sterile esercizio di stile, Oltre si fa interprete di una cucina che costruisce legami sottili, invitando ciascuno ad abbandonare il già noto per affidarsi a una narrazione gastronomica che ha il respiro della Bologna di oggi.