“Quando sei nelle cucine dei grandi devi saper leggere i sottotitoli”. Riassume così Andrea Miacola quello che ha capito in oltre dieci anni di esperienze in cucina, di cui diversi passati alla corte degli stellati d'Europa. Vila Joya ad Albufeira in Portogallo, De Librije in Olanda, Geranium ed Era-Ora a Copenhagen, ma anche in Italia, con un’iniziazione al ristorante Del Cambio a Torino e passaggi fra Cracco e Le Calandre dagli Alajmo: un elenco di cucine da far tremare i polsi, che per Miacola è una valigia piena di esperienze, di prodotti, di tecniche, che ha riportato a casa, a Vieste, sul Gargano, entrando in punta di piedi nel ristorante di famiglia.
Dall’Alma alla S.Pellegrino Young Chef Academy
Classe 1987, Miacola frequenta nel 2012 l’Alma (stessa classe di Antonio Ziantoni di Zia a Roma, per dirne una). “All’epoca non bastava il diploma di alberghiero per entrare, prima dovevi aver accumulato due anni di esperienza”. Che Miacola aveva passato per buona parte a Torino al Ristorante del Cambio. E quando dice “stra-buono” di un prodotto ancora si sente l’influenza sabauda nell’accento.
Lo chef Andrea Miacola
Finita l’Alma inizia a viaggiare. Va prima in Portogallo a Vila Joya dallo chef Dieter Koshina. È il 2015 quando partecipa alla S.Pellegrino Young Chef Competition per la prima volta, in Portogallo. Tappa successiva, l’Olanda, un’esperienza che ha lasciato un segno indelebile. Qui lo chef Jonnie Boer del tristellato De Librije lo inizia alle affumicature con il Big Green Egg, tuttora molto presenti nella cucina di Miacola, nonché a un nuovo modo di vedere i prodotti: usare il fresco quando c’è, conservarlo con le fermentazioni per quando non ci sarà. Ma, riflette, “in fondo non è quello che facciamo anche in Italia, a fine estate, quando si fa la salsa?”.
Boer gli fa da mentore per la seconda partecipazione alla competition, anno 2016, per il Benelux, ad Anversa. Qui Miacola capisce che la contaminazione è la chiave, ma è importante che ci sia anche la componente italiana: cucina un coniglio di Carmagnola, ci mette i pomodori del Vesuvio, ma interpreta tutto facendo un Tom Kha, ovvero un piatto thailandese. Il piatto funziona e Andrea arriva a Milano alla finale.
Il richiamo della Puglia nel profondo Nord
La conquista della finale milanese è stato il miglior piazzamento per Miacola, che in seguito ci riproverà nella competizione dei paesi scandinavi, in quota danese, arrivando secondo. E questa volta ancora di più ci mette le sue radici nel vero senso della parola: nel piatto ci sono le carote di Polignano. Un presagio, forse, la voglia di tornare in Puglia si fa sentire. “Ma non non mi sono mai curato troppo del risultato, ho sempre partecipato perché quelle per me sono state esperienze di confronto e di conoscenza. Per chi partecipa è l’occasione di farsi vedere, ma anche di leggere negli occhi degli altri colleghi un entusiasmo che ti dà una forza incredibile”.
Per lo stesso motivo dopo l’Olanda è andato a Copenhagen, dove ha lavorato con l’Era-Ora, in cui la sua italianità ha un ruolo fondamentale. Passa per il Geranium, poi l’esperienza più estrema in Islanda, qui conosce il foraging su coste asprissime, le fish factory, l’importanza dell’attesa e della capacità di organizzarsi con la materia prima, perché i rifornimenti arrivano una volta alla settimana.
L’ora di tornare a casa
“Alla fine però stavo accusando tutto questo Nord. Nei giorni in cui non tramontava mai il sole mi sentivo Checco Zalone nel film Quo Vado?”. Era l’ora di tornare a casa, a Vieste. Qui lo attendeva La Ripa, ristorante a conduzione familiare in cui oggi lavora con il fratello, la mamma, la compagna. Ma anche con una brigata di colleghi internazionali chiamati per la stagione.
Il ristorante La Ripa a Vieste
“In cucina siamo un pugliese, un toscano, un trentino, uno spagnolo e un argentino, sembra la barzelletta. La maggior parte sono colleghi con cui ho lavorato in Olanda. Li ho convinti a venire con la promessa che gli avrei fatto scoprire il Gargano”. Promessa mantenuta, perché in cucina conoscono i prodotti della terra e del mare Adriatico, mentre nelle poche ore libere Andrea li porta alla scoperta del territorio: “siamo andati a fare il formaggio, in un frantoio, a fare una corsa in bicicletta nella Foresta Umbra”. E loro ricambiano cucinando le ricette della loro terra per la crew: “è un momento bellissimo e di grande condivisione”, racconta Miacola.
La cucina della Ripa e le radici
Il mare c’è, è a pochi passi da questo locale che sembra una grotta, in pieno centro storico, ma soprattutto è nella maggior parte dei piatti, anche se non mancano le ricette di tradizione. Una cucina moderna, centrata e rispettosa dei prodotti. È la sintesi dei viaggi compiuti da Miacola, la valorizzazione di quello che aveva lasciato a casa: “I prodotti della terra qui hanno un profumo che avevo dimenticato: il pescato che arriva direttamente dai pescherecci, la salicornia e la rucola selvatica che mi portano tutte le mattine appena colta”.
Tutto deve avere la sua importanza, anche la pasta al sugo per i bambini: “Ce lo ha insegnato Cannavacciuolo in una lezione all’Alma. Noi pensavamo che chissà quale piatto ci avrebbe fatto cucinare, ci disse che se non sapevamo fare un buon sugo di pomodoro fresco non saremmo andati da nessuna parte”.
E a proposito di bambini, essere diventato papà è la radice che tiene oggi Andrea attaccato sempre più saldamente alla sua terra. Alla domanda “ti mancano le cucine stellate?”, quasi con i lucciconi ammette che sì, l’adrenalina di quel tipo di lavoro manca, ma oggi, ha l’esperienza per dire che lavorare a quei ritmi e vedere il proprio figlio crescere non sono due cose compatibili. “Arrivi a un certo punto della vita che ti devi godere quello che hai costruito”.