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Chiara Maci serie podcast

Spaghetti, podcast e verità: quattro chiacchiere con Chiara Maci

In fondo, cos’è che rimane di un incontro? A volte solo una sensazione, altre volte un’emozione o forse proprio un rumore, capace di significare molto di più. 

Chiara Maci con le sue Fine Dining Conversations ha viaggiato a zonzo per l’Italia, dal profondo Nord-Est alla metropoli meneghina passando per Verona e il verde del Modenese. Un viaggio fatto soprattutto di storie, di vite che si intrecciano e parlano attraverso ingredienti sapientemente uniti tra loro. Chiara ci ha condotto per mano alla scoperta di quattro racconti unici, e le sue chiacchierate sicuramente ci hanno fatto scoprire qualcosa di Carlo Cracco, Giancarlo Perbellini, Antonia Klugman e Jessica Rosval che noi non conoscevamo.

Ora però è il momento di mettere Chiara Maci davanti al microfono e di avviare una conversazione proprio con lei. Tra curiosità, aneddoti, dietro le quinte e tanta passione, Chiara racconta la sua esperienza con la prima stagione del podcast e anche un po’ di se stessa in questa intervista per Fine Dining Lovers.

 

LA SERIE PODCAST

Fine Dining Conversations con Chiara Maci

Scopri la serie podcast che ti invita a sederti a tavola insieme a talentuose figure che hanno saputo trasformare la cucina in arte, il silenzio in sapore, la memoria in visione. In ogni episodio Chiara condivide il pasto – e il pensiero – con uno chef stellato. Non ai fornelli, ma per una volta seduti a mangiare i propri piatti.

Lei lavora con tanti linguaggi e mezzi diversi. Cosa ha di speciale il podcast e dove sta, se esiste, il suo limite?
Il podcast mi piace perché toglie la vista e ti costringe ad ascoltare davvero. Non siamo più abituati: viviamo immersi nelle immagini e ci distraiamo subito. Con la voce, invece, ti concentri sul racconto. Lo puoi ascoltare mentre guidi, viaggi in metro, cucini… È intimo e potente. Il limite? Forse proprio la mancanza di immagini — ma io la vedo come una forza. Ti allena a un’attenzione diversa.

Conosceva già i quattro chef protagonisti del podcast?
Sì, tutti. Cracco da anni, Klugmann da poco ma siamo diventate subito amiche — una scoperta bellissima. Perbellini ha un’umiltà rara, traspare in ogni parola. Rosval è incredibile: giovane, ma con una cucina già personale e coraggiosa, non “figlia” di nessuno.

Chi l’ha sorpresa di più?
Antonia Klugman: racconta la sua terra e la sua storia senza mai parlare direttamente di sé, eppure ti arriva potentissima. Ha un’identità forte e libera, che mi ha emozionata tanto.

Avvocata mancata, poi la specializzazione in marketing, un passaggio in Alma e poi la cucina come centro delle sue attività. Ci racconta la genesi di questo percorso? 
In casa mia il cibo è sempre stato cultura: vacanze pianificate in base ai ristoranti, genitori appassionati, mamma cuoca pazzesca, papà appassionato di ristorazione. Io però studiavo giurisprudenza, poi marketing. La dimensione aziendale mi piaceva, ma sentivo una passione enorme per la cucina e la scrittura. Così ho aperto il blog con mia sorella, in un’epoca in cui non eri giornalista non potevi scrivere… e invece sì! Ci ho messo testa e cuore: studiavo, sperimentavo, pubblicavo tre post al giorno. Quel lavoro mi ha costruito un pubblico fedele, ancora oggi affezionato.

Non è mai incappata in qualche hater?
Certo, ma fortunatamente sono pochissimi rispetto ad altri. Parlo di cibo e famiglia, è difficile odiarmi (ride). Gli attacchi peggiori? Quando sono dimagrita, incredibile ma vero. Alcune donne si sono sentite come tradite: “Guarda quella, mangia e non ingrassa”. Ma ho imparato a non farmi condizionare, fa parte del gioco.

LA CURIOSITà

Verdure, amore e fantasia: ecco cosa c'è nel mio frigo

Da anni ha aperto virtualmente le porte della sua casa alla sua fedelissima community , ma oggi Chiara Maci ci apre qualcosa di ancora inesplorato: il suo frigorifero. Tra curiosità e aneddoti, scopri cosa si nasconde nella dispensa di Chiara.

In un episodio della serie podcast parla di mangiare da soli al ristorante. Cosa consiglia a chi proprio non ci riesce?
Di provarci! All’inizio è strano, ti senti osservato, ma poi diventa bellissimo: ti concentri sul piatto, sul servizio, ti godi il momento. Spesso il personale ti coccola di più. È un modo per conoscersi e stare bene con sé stessi. Io le emozioni più forti a tavola le ho vissute da sola.

Come riconosce il talento di un cuoco?
Non solo nella tecnica. Puoi avere un piatto perfetto ma senza emozione. Il talento è nel riuscire a toccarti dentro, farti sentire una storia e provare un’emozione.

Giochiamo a Fine Dining Conversations con Chiara Maci: per chi cucinerebbe, se potesse scegliere, e cosa servirebbe in tavola? 
Il mio sogno irrealizzabile è Oriana Fallaci: è stata il mio mito assoluto. Le avrei fatto uno spaghetto al pomodoro, il piatto che mi riporta a casa. Mi piacerebbe avere a cena Roberto Saviano, per ore di chiacchiere e una genovese napoletana. O l’artista Andrea Berruti: lo immagino davanti a un tagliolino al tartufo parlando di arte e bambini.

Ha mai raccontato bugie a fin di bene ai suoi figli per farli mangiare?
Con Andrea, sempre! Pastina con verdure frullate che lui crede ceci (e non lo sa ancora). Bianca invece mangia di tutto, ha una curiosità incredibile anche su cose che io, alla sua età, non avrei mai osato avvicinare.

Se potesse tornare bambina per un giorno, cosa correrebbe a mangiare?
Gli Gnocchi alla sorrentina che mangiavo ovunque in Cilento e la cheesecake di mia mamma: quando la faceva era festa grande.

Può portare solo tre cibi su un’isola deserta. Cosa sceglie? 
Pomodoro, mozzarella e basilico. Il sapore della mia Campania.

C’è un alimento che proprio non le piace?
Le ostriche. Ho provato, ma non c’è niente da fare: non mi vanno giù.

Ha un talento segreto che nessuno immagina?
Sono un’estetista mancata: capelli, trucco, manicure. L’ho sempre fatto sia per me sia per le mie amiche. Mi rilassa.

E un talento che invece vorrebbe possedere?
Saper dipingere davvero. Mia madre è pittrice, io me la cavo ma non ho “quel quid”. Però credo nel lavoro costante più che nel talento puro.

E infine, la domanda la rivolgiamo a lei: se la sua cucina fosse un suono, quale sarebbe?
Il “pippiare” del ragù che sobbolle e la moka sul fuoco. Due rumori che per me significano casa, infanzia, Sud.

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