Varcando la soglia di A' Massaria si percepisce immediatamente una cura sottile, quasi familiare, nell’ambiente: tavoli di legno chiaro, linee essenziali che abbracciano qualche dettaglio rustico, e un’atmosfera rischiarata da luci calde che sussurrano quiete. Il profumo di lievito e farine invade l’aria, e l’arredamento, mai gridato, accompagna la sensazione di modernità misurata e appartenenza al territorio.
Nel cuore pulsante di questa esperienza ci sono Simona Zingaro e Giuseppe Giummo. La loro è una cucina che rifugge dalle scorciatoie; si avverte, piatto dopo piatto, la volontà di rileggere la tradizione con gentilezza e rispetto, senza concessioni all’effimero. L’approccio non si esaurisce in una fedele riproposizione dei sapori isolani, quanto piuttosto in una narrazione attenta, fatta di scelte per nulla casuali: ogni materia prima richiama storie di piccoli produttori, orti familiari, eccellenze di una Sicilia non sempre scontata.
Le pizze – vera anima di A’ Massaria – si presentano con una crosta dorata e soffice, volutamente lontana dagli standard omologati. La ricerca sull’impasto è rigorosa: la lievitazione lenta, l’idratazione calibrata, elementi che si traducono in leggerezza e fragranza. La presentazione dei piatti gioca su cromatismi delicati, tra crema di pomodoro intenso, erbe aromatiche distribuite con equilibrio, e olio extravergine che rifinisce senza mai coprire. La cucina si lascia riconoscere per una sintesi di attenzione tecnica e dedizione materica: il condimento non sovrasta mai il sapore vivo dell’impasto e gli ingredienti vengono valorizzati nel loro carattere più autentico.
Non si trovano in carta effetti scenografici o virtuosismi fini a se stessi. La filosofia che muove Zingaro e Giummo si potrebbe definire come una ricerca dell’essenziale, in un dialogo costante tra passato e presente. Ogni proposta sa di identità, l’innovazione è misurata e serve a restituire profondità a quei dettagli della Sicilia gastronomica troppo spesso trascurati. A’ Massaria si conferma così locale capace di coinvolgere il palato e la memoria, valorizzando lo spazio dove la sperimentazione incontra la sensibilità di un territorio vissuto e raccontato senza artifici.
