“Mi piace essere definito portavoce (e non titolare) di Pit’sa, perché con questo progetto trasmettiamo un messaggio”. Giovanni Nicolussi definisce così il lavoro che sta portando avanti con la moglie Valentina Giacomin attraverso l’insegna che ha fondato due anni fa a Bergamo, approdata a Milano a giugno 2024. Un’affermazione che mette subito a fuoco i valori veicolati dall’attività a cui ha deciso di consacrare il proprio tempo.
Pit’sa è una pizzeria vegetale che pone l’inclusività come obiettivo primario, con un approccio concreto e tangibile. Se, sul fronte dell’offerta gastronomica, si apre a tutti i palati, con lievitati dall’impasto leggero e digeribile e topping vegetariani, nella gestione quotidiana dei locali coinvolge persone con sindrome di Down, favorendone l’inserimento nel mondo del lavoro. Un progetto tutto da scoprire: ecco che cosa ha raccontato Nicolussi a Fine Dining Lovers.
Lo staff di Pit'sa
Come è nato il progetto di Pit’sa?
L’idea del progetto è nata tre anni e mezzo fa, quando hanno diagnosticato un cancro a mia mamma, e le hanno eliminato dalla dieta carni e derivati. Abbiamo voluto dedicare a lei il menu 100% vegetale. Le pizze sono quasi tutte prive di derivati animali, tranne il Viaggio del Ferdy, con lo stracchino quadro, il formaggio del Ferdy, e la Malgarita, con un formaggio di malga trentino. Tutto il resto è vegetale: dalle pizze ai dolci. Abbiamo studiato il menu con una chef che è stata allieva di Pietro Leemann al Joia. L’impasto della pizza, invece, è stato messo a punto con Valerio Torre, campione del mondo della pizza in pala, che ci ha aiutato a creare un prodotto molto digeribile. Non ci rivolgiamo solo a chi è vegano o vegetariano, ma cerchiamo di creare prodotti che possano piacere e ingolosire tutti i palati. Mio fratello è una persona con disabilità, quindi abbiamo pensato di assumere in sala sette ragazzi con sindrome di Down nella sede di Bergamo e cinque ragazzi con sindrome di Down nella sede di Milano, dove i lavoratori in totale sono otto.
Ci spiega la scelta del nome dell’insegna, Pit’sa?
Il nome Pit’sa nasce dal fatto che spesso giudichiamo con gli occhi le persone: a prima vista, il nostro logo si legge “strano”, ma a livello fonetico il suono è lo stesso di “pizza”. Ho creato il format grazie anche alla forza dirompente di mia moglie, che all’interno del locale segue tutta la produzione, dal menu alla brigata, sia a Bergamo sia a Milano. I ragazzi con sindrome di Down sono impiegati in sala, ma abbiamo brevettato un metodo di farcitura della pizza molto facile, che semplifica il lavoro: un metodo che abbiamo brevettato e che si presta a situazioni come la nostra. Vogliamo sdoganare il fatto che una persona con disabilità non possa stare in un laboratorio o davanti a un forno.
Cosa significa lavorare con la diversità in un ambiente inclusivo?
Pit’sa non è un progetto che nasce per dare lavoro ai ragazzi con sindrome di Down, ma vogliamo che cambi la società: desideriamo che tutte le persone che passano nelle nostre pizzerie e non hanno persone con disabilità in casa, capiscano che anche questi soggetti possono essere molto bravi sul lavoro. Il cliente deve uscire con qualcosa in più nel cuore e non solo nello stomaco. I ragazzi stanno avendo un incremento dell'autostima, ma ovviamente il messaggio, nel nostro piccolo, cerchiamo di lanciarlo. Chi viene da noi a mangiare la pizza dà una mano a una srl che comunque vuole lanciare un messaggio.
La gente secondo lei è mediamente pronta all’inclusività?
Io sono rimasto piacevolmente stupito, perché quando abbiamo comunicato che volevamo aprire una pizzeria vegetale a Bergamo, nella patria dei salumi e dei formaggi, impiegando del personale con sindrome di Down… ci hanno dato dei pazzi! Siamo comunque molto apprezzati come pizzeria, le recensioni che ci lasciano parlano molto del menu ed elogiano prodotti come la Gorgolosa di Montagna, farcita con gorgonzola vegetale, oppure la Porcino fuori di zucca. Le persone vengono e sono contente di aver assaggiato un menu particolare, con pizze che digeriscono facilmente, vedendo il lavoro che facciamo sull’inclusione sociale. Ripeto, sono sorpreso piacevolmente: i clienti sono entusiasti e apprezzano molto la nostra attività. Quando ti chiamano da Google Italia o da Amazon per dei catering, significa che il progetto è riuscito.
Quali sono le specialità da non perdere da Pit’sa?
Anzitutto, il cornicione: accompagniamo sempre la pizza con una ciotolina di pomodoro, per fare la scarpetta. L’impasto è inclusivo: presenta la morbidezza della pizza napoletana e, allo stesso tempo, la croccantezza della pala romana, quindi scrocchia restando morbido. Da assaggiare la Regina dei Cuori, con pomodoro, pomodorini gialli confit, crema di basilico fresca fatta da noi, cremoso di anacardi a ciuffetti e basilico fritto, olio a crudo sul cornicione. Anche la Chanel n. 6 è tra le più amate, farcita con crema di patate al rosmarino, porcini di Asiago arrosto, formaggio cremoso vegetale in crosta (Camembert vegetale) e olio al tartufo. Da provare anche la Gorgolosa di Montagna, con Gorgonzola vegetale che sa di formaggio, salsiccia vegetale e porcini. Prepariamo noi i formaggi vegetali in casa: abbiamo lo stagionatore in laboratorio, che segue mia moglie.
Progetti futuri e/o sogno nel cassetto?
Vogliamo aprire pizzerie Pit’sa in tutto il mondo: abbiamo un format sostenibile e abbiamo in mano tutti i numeri per cui funzioni, con margini buoni per riuscire. Una squadra forte potrebbe lavorare bene: è un format scalabile in maniera semplice, anche per portare il nostro messaggio in tutto il mondo.