Può un giovane chef recuperare tradizioni antiche, ricette perdute e sapori dimenticati? La risposta è sì, ed è quello che sta facendo Michele Antonelli, chef del ristorante GastroBi di Villa Musone (Ancona), finalista italiano di S.Pellegrino Young Chef Academy Competition 2022-23. Il cuoco under 30, il 17 maggio, ha duettato ai fornelli nella cucina di Simone Caponnetto, chef di Locale a Firenze, per una cena del ciclo FoodFellas. Per l’occasione, Antonelli ha preparato tre piatti che rivelano molto del suo stile e del suo progetto gastronomico, ma soprattutto raccontano e omaggiano il territorio marchigiano, tra presidi Slow Food, preparazioni di una volta, tradizioni rurali e formaggi di nicchia.
“Quelli che ho utilizzato per realizzare i piatti della serata sono prodotti tipici delle Marche difficili da trovare, perché man mano viene a perdersi l’artigianalità. Per esempio, il carciofo di Montelupone è molto delicato, viene raccolto ancora a mano, mentre la lavorazione dei formaggi nei Monti Sibillini è ridotta al minimo. La tradizione casearia marchigiana non è mai realmente esplosa, perché nella zona montana viene a mancare la manodopera: sono rimasti pochi artigiani che portano avanti questa lavorazione del latte, che è molto valida, anche se i loro formaggi fanno fatica a emergere e a farsi conoscere. Il mio progetto si basa proprio su questo, sul dare voce ai produttori del territorio con cui collaboro”.
Quella di Antonelli è una cucina che va a recuperare anche antiche preparazioni regionali, come quella del potacchio. “Per molti deriverebbe dal francese potage, minestra. Si tratta di una preparazione storica marchigiana, che si è sempre tramandata in famiglia, di generazione in generazione. Naturalmente, con i tempi moderni, si sta perdendo: era il classico cibo che mangiavi in famiglia tutti insieme la domenica, quando la nonna voleva cucinare per tutti. Prima c’erano i vincisgrassi e poi il coniglio, il pollo o l’agnello in potacchio”. Nelle ricette dello young chef, spunta anche il vino cotto marchigiano, antica preparazione enologica regionale, figlia di una grande tradizione.
Scoprite, qui di seguito, ingredienti, tradizioni e antiche ricette marchigiane attraverso i piatti di Michele Antonelli.
Sapori perduti e prodotti marchigiani: i piatti di Michele Antonelli
Tutto il menu proposto da Michele Antonelli è molto legato alle Marche e alle sue tipicità. In alcuni casi il giovane chef si rifà direttamente alla tradizione antica, che va a recuperare con una lettura fedele ma contemporanea, in altri ha condotto una vera e propria ricerca di prodotti sul territorio.
Carciofo di Montelupone alla giudia, latte di caprino fermentato, tarassaco
Ecco allora sapori perduti e ritrovati, a partire dal carciofo di Montelupone, un presidio slow food marchigiano, proposto in Carciofo di Montelupone alla giudia, latte di caprino fermentato, tarassaco. “Il carciofo di Montelupone si differenzia molto dagli altri perché, nella zona in cui cresce, il terreno ha delle caratteristiche che rendono il suo gusto più spiccatamente minerale e presenta una nota vegetale molto importante”, spiega Antonelli. Si tratta di un carciofo molto gustoso, da proporre sia crudo sia cotto. “Noi lo proponiamo alla giudia, quindi fritto, ma in realtà lo prepariamo con diversi passaggi: una prima cottura sottovuoto, poi una prima frittura, quindi una seconda. Il latte caprino è un incontro con il sud delle Marche, dove ci sono piccoli produttori che hanno greggi minimi, di 20 capi: sono loro che ci forniscono il latte caprino che mettiamo a coagulare con del succo di limone per un paio di giorni, in modo da ottenere la salsa fermentata che abbiniamo al carciofo. Il tarassaco, invece, fa parte della nostra tradizione campagnola delle erbe trovate: quando si va in giro per le case di campagna, in ogni dimora si trova sempre una pentola di erbe ripassate con il tarassaco dentro”.
Tortello di aglio orsino e caciotta stracchinata dei Monti Sibillini, guazzetto di gallina in potacchio
Il tortello invece è proprio un omaggio dello chef ai Monti Sibillini: il ripieno è realizzato con una caciotta stracchinata, proveniente da latte 100% mucca, abbinata all’aglio orsino. “La caciotta stracchinata è nata quasi per caso all’Angolo di Paradiso, una piccola azienda che produce formaggi dei Monti Sibillini: è uno stracchino che hanno lasciato a stagionare 15 giorni con gli altri formaggi. Il risultato? Un prodotto fantastico, perché in 15 giorni si è assottigliata la nota acido-lattica, mentre la parte sapida si è accentuata ancora di più”, spiega lo chef. “L’aglio orsino viene sbollentato e reso in crema, quindi inserito all’interno della farcia con la ricotta stracchinata”. La particolarità è il “sostegno” di questo tortello, che riprende un’antica preparazione marchigiana, il potacchio. “Ho realizzato un ristretto del potacchio, che non è altro che una tipica cottura in umido a base di olio, aglio, rosmarino e vino bianco (Verdicchio dei Castelli di Jesi): questa preparazione avviene facendo la rosolatura della carne, che viene poi bagnata con il vino bianco che evapora. Io vado a utilizzare il succo di questa preparazione, realizzata però con la gallina (che è ancora più povera come carne), andandola a restringere fino alla concentrazione di gusto desiderata”.
Lingua di Marchigiana, salsa verde alle ortiche, vincotto e capperi
Una ricetta di Antonelli che rende omaggio alla razza bovina Marchigiana, di cui viene usata la lingua. “Si tratta di un prodotto molto particolare, la lingua di Marchigiana si distingue per una grande callosità, rimane molto succosa la sua carne, sapida e minerale: è saporita di suo, senza aggiunta di sale”, racconta. “La salsa verde alle ortiche di accompagnamento è una salsa classica e semplice, che al posto del prezzemolo ha le ortiche, che si raccolgono in questo periodo: si trovano nella parte inferiore ai campi coltivati, nella ‘zona del fosso’ come si dice nelle Marche, dove crescono rigogliose. Vengono sbollentate e si fa la salsa verde: una preparazione che serve a ricordare anche il bollito, un piatto che noi in genere cuciniamo a Natale”.
Poi, a completare il piatto, c’è un fondo di manzo con riduzione di vincotto e capperi fritti. “Uso un vincotto che è figlio di un affinamento in botte di 12 anni, prodotto da Emanuele Dianetti”, precisa lo chef. Come nasce questo prodotto? “Non è altro che mosto di uva Montepulciano che viene fatto cuocere in una pentola di rame, sul fuoco a legna, molto lentamente, sino a ottenere la concentrazione di zuccheri giusta (solitamente evapora circa la metà dei liquidi del mosto, per avere una giusta densità). Poi, questa preparazione cotta viene messa in botti di legno dove raffredda e dove inizia la sua fermentazione come un vino vero e proprio, che dura dai 2 ai 3 mesi, sino a far raggiungere al prodotto i 14 gradi alcolici. A quel punto, i lieviti muoiono e lì rimane in affinamento per 10-12 anni: questo dona complessità al prodotto”, spiega. Il vincotto è un prodotto antico, che appartiene alla tradizione locale. “Si fa in casa e non si reperisce facilmente, io ho trovato Emanuele Dianetti che lo produce, e che lo fa sempre anche per me. çui stesso mi ha raccontato che la particolarità del processo di preparazione del vincotto è che, da tradizione, per farlo, bisognava lasciare il 2% della feccia del vincotto dell’anno precedente: un processo che portava alla formazione di lieviti spontanei (che i produttori chiamano “madre”): è un prodotto che si rinnova di anno in anno e ci sono produttori che hanno ancora botti centenarie tramandate di padre in figlio”, conclude lo chef.
Tutte le foto courtesy Locale Firenze