“Con l’orto puoi decidere quando, come e perché raccogliere. Con le erbe spontanee, invece, non si sceglie nulla: è la natura a dettare le regole”. Così Paolo Griffa, chef patron del ristorante al Caffè Nazionale di Aosta che porta il suo nome, introduce una giornata di foraging in Val Ferret assieme ad Alessandro Gilmozzi, chef dolomitico del ristorante El Molin di Cavalese (Trento), ospite per una sessione di raccolta alpina. “Noi non decidiamo dove crescono, e nemmeno quando, ma la natura farà il suo corso. A seconda delle precipitazioni, cambierà anche il gusto dei prodotti: se piove di più, tutte le erbe spontanee saranno molto tenere, dal sapore delicato e armonico. Quando invece il terreno è siccitoso, le foglie risultano molto dure e coriacee, con sentori molto forti, gusto amaro e concentrato”, precisa il giovane chef.
“Abbiamo anche gli orti a nostro servizio, ma prediligiamo la raccolta delle erbe spontanee, proprio per poter raccontare (e rappresentare) senza filtro la natura che ci circonda e il paesaggio che ci ospita, ai piedi del Monte Bianco, così come sulle Dolomiti”, aggiunge Griffa. Entrambi gli chef, seppur in due habitat di montagna diversi (le Alpi e le Dolomiti), si dedicano al foraging per preparare molte ricette. Se Griffa al territorio valdostano dedica un intero percorso, il Menu Natura, con piatti come Chiocciole e Chiocciole, una pasta che rievoca i profumi del sottobosco dopo la pioggia, condita con lumache ed erbette di montagna, o il Babà alle erbe alpine e gelato al latte fermentato, Gilmozzi da anni ricorre ai sapori delle vette per le sue creazioni, a partire da L’olio extravergine d’Oliva e la Montagna, un’insalata preparata con 18 erbe spontanee e 5 fiori raccolti dallo staff del ristorante, condita con diverse consistenze di olio evo, in un viaggio ideale dal Lago di Garda ai prati della Val di Fiemme.
Quando si va per boschi e prati di montagna a raccogliere, bisogna fare attenzione alle specie tossiche: spesso, la stessa pianta ha un “gemello”, molto simile, nocivo per l’uomo. Ecco perché bisogna prestare massima attenzione. “Per esempio, non bisogna mai raccogliere la bacca del fiore del sambuco quando è verde, perché è tossica: può essere mortale, dal momento che contiene il cianuro", ammonisce Gilmozzi durante la sessione di foraging. Il nostro consiglio (e quello degli chef) è di non improvvisarsi esperti di foraging e di alimurgia, ma di seguire le indicazioni di una guida che abbia le giuste competenze. “Nelle piante selvatiche i principi attivi sono molto concentrati, quindi bisogna fare doppiamente attenzione: se sono velenose possono risultare fatali”, aggiunge Griffa. “Anche noi non raccogliamo e non assaggiamo mai le piante che ci incuriosiscono senza che ci siamo prima informati”. “La barba di larice, per esempio, è uno dei pochi licheni a essere tossico: non raccoglietela, anche se vive accanto alla lupina, che è simile e molto buona”, aggiunge Gilmozzi.
Come usare le erbe spontanee in cucina? Ecco tutto quello che dovete sapere, con i consigli di Griffa e Gilmozzi.

Paolo Griffa e Alessandro Gilmozzi durante la sessione di foraging in Val Ferret
Erbe spontanee: come usarle in cucina
Achillea millefoglie

Achillea millefoglie | Foto Gaia Menchicchi
Si tratta di una pianta molto diffusa in questa stagione, caratterizzata da semi durissimi, ma ricchi di olii essenziali. “La particolarità dell’achillea è che l’olio essenziale può cambiare colore in base al terreno dove cresce e a come lo si distilla”, precisa Griffa. Come distillarla? “In una pentola, mettere un fondo d'acqua, sopra il materiale fresco o secco, che si porta a circa 90 gradi, in modo che l’acqua inizia a bollire. Poi, il vapore acqueo passerà attraverso la sostanza, andrà a condensare come in un alambicco e si separerà la parte acquosa da quella oleosa, che galleggerà in superficie”, illustra lo chef. Questo procedimento si può fare in una pentola in acciaio o in una pentola di rame, andando a determinare risultati diversi. “L’olio essenziale di achillea può essere trasparente, bianco, ma anche arancione o blu: quest’ultima colorazione, così particolare, si ottiene quando il terreno in cui cresce è altamente ferroso e l’olio viene estratto in un alambicco di acciaio. Se venisse usato il rame, invece, ossiderebbe e diventerebbe arancione”.
A casa, l’achillea si può usare al naturale: “Se è molto tenera, le foglie sono perfette come crudités, mentre i fiori - che sono durissimi per il loro seme - possono essere cotti in infusione. Si scalda dell’olio, si inseriscono i fiori e si aromatizza: l’olio all’achillea può essere usato per condire l’insalata, rendendola molto profumata". Con questa pianta spontanea è possibile anche preparare dei brodi, dei gelati, oppure le foglie possono essere usate per aromatizzare la carne di agnello al posto della classica salvia. Il fiore dell’achillea si può anche sbriciolare e aggiungere all’insalata, suggerisce infine Gilmozzi.
“L’achillea, assieme alla salvia sclarea e alla salvia vulgaris, può essere usata per creare una bevanda rinfrescante, adatta a stimolare la digestione: si tratta di quei saperi antichi (e rimedi) della nonna che restano sempre validi”, aggiunge Gilmozzi. “Proprio come l’achillea millefoglie, la salvia sclarea (conosciuta anche come salvia moscatella, ndr) spesso viene usata per aromatizzare le caramelle alle erbe alpine”, precisa Griffa.
Pino mugo

Le pigne del pino mugo | Foto Gaia Menchicchi
Dopo una sessione di foraging, imparerete che del pino mugo, proprio come del maiale, non si butta via nulla. “Il pino mugo è molto diffuso in montagna: si raccoglie anche la parte del polline, che diventa polline, appunto, una volta che si essicca”, spiega Gilmozzi. “Noi raccogliamo in primis la gemma del pino mugo: la mettiamo in salamoia e la lasciamo fermentare per dieci anni. Il risultato? Un prodotto dal sapore particolare: molto balsamico e terroso, quasi resinoso”, racconta lo chef di El Molin. Un prodotto dall’uso versatile.
“Raccogliamo anche gli aghi del pino mugo, soprattutto quando sono belli verdi: al palato regalano una sensazione tannica”, spiega lo chef trentino. “Noi lo mettiamo in una soluzione salina e facciamo il caviale di pino mugo, ma può essere usato, come se fosse una bacca, per aromatizzare pesci d’acqua dolce come il salmerino, oppure per le crudité”.
Può essere usata anche la pigna del pino mugo, quando è ancora verde e giovane: “Noi la mettiamo in una soluzione a base di miele, poi ci facciamo Pin Tonic”, spiega Gilmozzi. “Oppure, la spremiamo e la usiamo per aromatizzare i dessert e regalare una nota fresca. Mangiata al naturale, ha il sapore di una prugna, di una susina leggermente acidula”, aggiunge.
Abete rosso

Abete rosso: la pigna con resina | Foto Gaia Menchicchi
E la resina che si trova sulla pigna dell’abete rosso? “Si può mettere nello zucchero e usare come divertissement, per dolcificare con una nota balsamica”, risponde Griffa. “Ma si può usare anche per aromatizzare delle preparazioni da forno come dei biscotti”. “Con la pigna io preparo l’Ipotesi di rugiada: una goccia che chiude il mio percorso gastronomico”, racconta Gilmozzi. “La pigna trasuda, è piena d’acqua, è ancora verde, quindi contiene l’olio essenziale, ma anche la resina: mescolandola, sprigiona lo stesso profumo e la stessa intensità aromatica che ha la rugiada raccolta in tre punti diversi”, precisa.
Raperonzolo

Paolo Griffa con il raperonzolo | Foto Mariarosaria Bruno
“Le radici di raperonzolo (conosciuto anche come il nome dialettale di ajucca, ndr) vengono usate in tante ricette valdostane tipiche”, spiega Griffa. “In questa stagione è in fiore: va raccolto a settembre per utilizzare le sue radici, appunto, e preparare delle zuppe e delle minestre. Ricorda il sapore di un tubero: non è dolce come la patata, ma è molto più compatto, quasi come un topinambur”.
Furfuracea (o lichene di pino)

La furfuracea o lichene di pino | Foto Gaia Menchicchi
“Con la furfuracea (conosciuta anche come lichene di pino) noi prepariamo pane, dolci, polveri per equilibrare l’amaro delle pietanze: è diventato un ingrediente fondamentale per i nostri piatti”, dice Gilmozzi. “Viene essiccata e poi anche rigenerata, rimane molto morbida”, continua. A casa? “Può essere usata per preparare una tisana come rimedio efficace contro la tosse”, risponde. “Ma anche come gelificante naturale: si mette a riposo una notte nel latte, dopo averla lavata. Il giorno dopo si avrà un latte denso come uno yogurt: si pulisce e si può anche usare come una cicoria nell’insalata, per creare un equilibrio di amaro pazzesco”, conclude Gilmozzi.
Imperatoria

Paolo Griffa con l'imperatoria | Foto Mariarosaria Bruno
“L'imperatoria si può usare soprattutto secca per fare tisane e infusi, ma anche per aromatizzare i liquori, come si farebbe con un limoncello: al posto delle scorze di limone, si possono mettere le erbe a macerare, per poi diluirle con lo sciroppo”, spiega Griffa. “Si tratta di una pianta che appartiene alla famiglia delle ombrellifere, che è molto vasta: ci sono tante erbe che sono velenose: ecco perché diventa fondamentale riconoscere la tipologia di foglia, correlata al suo fiore”, precisa. Un erba molto aromatica, che fa bene all’organismo, dalle proprietà antinfiammatorie e digestive.