Nel mondo contemporaneo il cibo assume sempre più un valore trasversale che va al di là dell’arte gastronomica e della sua funzione di (mero) nutrimento. Viene usato a scopo di indagine sociale e psicologica - basti pensare a quanto narrato in una pellicola controversa come The menu, che evidenzia limiti e parossismi del fine dining, seppur in maniera iperbolica e caricaturale - ma anche come autentica forma di espressione artistica, che punta sulla multisensorialità. La pensa così Francesco Rigosa, giovane fondatore di Contradiction a Villafranca di Lunigiana, un centro di riflessione gastronomica e di studi sul pensiero, come lo definisce lui stesso.
“Non abbiamo la pretese di dire qualcosa di nuovo, ma cerchiamo di interpretare una nostra necessità: Contradiction è un centro di riflessione gastronomica e di studi sul pensiero”, racconta alludendo a chi nel mondo sta portando avanti discorsi analoghi, da Rasmus Munk, nel suo Alchemist di Copenaghen, a Federico Rottigni, al Sensorium di Milano. “Questo - continua - significa che all’interno di Contradiction noi non usiamo solo il cibo per comunicare la nostra necessità: nello spazio a nostra disposizione, per esempio, approfondiamo, tra le altre cose, anche la fotografia concettuale”. Per capire quello che fa Rigosa, immaginate una sorta di factory warholiana, dove le creazioni gastronomiche diventano una declinazione artistica a tutti gli effetti. Il cibo, così, acquista una valenza multidisciplinare e rientra di fatto in una live performance.
Contradiction: il percorso di Slegati
Lunigianese da parte di madre e bresciano da parte di padre, Rigosa è nato a Brescia ed è cresciuto tra la città lombarda e la Lunigiana. “Mi sono spostato tanto, ben 17 volte, poi ho deciso di fermarmi qui e di usare questo palazzo del ‘700, di proprietà della mia famiglia, per dare una cornice a Contradiction”, racconta. Un progetto che muove dai suoi studi in ambito filosofico e psicologico, come spiega. “Lo avevo già in testa, è un progetto nato con me 31 anni fa. Contradiction è il risultato di tutte le esperienze che ho vissuto sino ad ora: vengo dalla filosofia, ho studiato all’università di Bergamo, prima psicologia e poi filosofia, mi sono dedicato alla filosofia analitica e, in ultima battuta, alla filosofia della scienza e della mente: da qui arrivano una serie di istanze che trasportiamo all’interno di Contradiction”, racconta.
L’approccio (e la riuscita del progetto) di Rigosa deriva proprio dai suoi studi, lontani dal mondo culinario. “Non provengo dalla cucina, ma c’è stata tanta ricerca, il tentativo di trovare qualcosa che potesse testimoniare il pensiero da cui parte tutto: ogni nostro piatto viene alla luce con l’idea di comunicare qualcosa”, precisa. “Il mio approccio al cibo nasce per cercare uno strumento immediato, come la musica o l’arte visiva, per poter comunicare una situazione, una pulsione, un pensiero, uno stato della mente”.
Ogni servizio di Contradiction è uno strumento di ricerca e di analisi, ed è esclusivo, nel senso che, una volta prenotato (per una o per 10 persone, non importa il numero), si è gli unici clienti in quel contesto, c’è un solo tavolo. “La situazione così è più immersiva”, commenta il founder. I percorsi qui prendono nome di Slegati: si va dal 7 portate a 60 euro al 14 portate a 100 euro, sino allo Slegati al buio, 14 proposizioni in assenza di luce artificiale a 160 euro. “In realtà - precisa Rigosa - si parte dal numero di portate indicate, per poi sperimentare, con portate in più fuori carta”.
Contradiction: i piatti-manifesto
In questo contesto, ogni creazione gastronomica assume un significato (e un ruolo) unico. “Tutti i nostri piatti sono piatti-manifesto, perché mangiare qui è un esercizio”, sintetizza Rigosa. In una situazione molto intima, dunque, vengono presentati piatti-studio che rappresentano dei veri e propri esercizi. Ecco allora Pomodoro e basilico, “un piatto nato per indagare come il gusto si rapporta al cervello e come il cervello gestisce il gusto”, composto da tre amuse bouche che condividono la stessa matrice (pomodoro e basilico, della stessa varietà), presentati in tre consistenze diverse: solida, semisolida e liquida. “Questo serve per far capire all’ospite come cambia la percezione della matrice".
Non manca il Piccione, alias necrosi. “Ha 300 giorni di frollatura e viene servito crudo, ma è uno studio sulla necrosi dei tessuti. La domanda cui cerchiamo di rispondere con questo piatto è: come sopravvive il corpo post mortem? C’è una vera e propria divisione dei tessuti”, spiega Rigosa, che spiega di avere un tipo di impronta nordeuropea. Non c’è pane e non ci sono carboidrati: “è una scelta, perché consideriamo il pane un distrattore”, commenta. “Mi ha ispirato tanto lo chef Alberto Gipponi, ma le mie competenze sono innate”, dice. In sala ci sono tre persone e altrettante in cucina, il giovane fondatore si occupa di dialogare com le persone, “per stimolare la riflessione che per spiegare i piatti in sé e per sé".
Ma che tipo di clientela c’è? “Potrei definirla mista, anche internazionale, ma non sono persone che vengono dalla gastronomia: sono per lo più fotografi, artisti, musicisti”, risponde. “Se si vuole capire la gastronomia, si deve uscire dalla gastronomia: il modo per comprendere la cucina è uscire dalla cucina stessa, insomma, perché se si vuole capire davvero, bisogna osservarla dall’esterno”, afferma con la grande consapevolezza di chi offre una vera e propria esperienza multisensoriale basata sulla performance di ispirazione artistica. “Stiamo ospitando Veli al momento, una installazione numerata, per cui le persone mangiano sopra questi veli adagiati sul pavimento, è come se si mangiasse dentro una grande placenta”.
L’idea è quella di una sorta di seduta gastro-psicologica… “Sì, c’è gente che viene per capire qualcosa in più di sé, ma anche per noi come team, è una sorta di analisi di gruppo quella che avviene da Contradiction”, precisa Rigosa. Le reazioni più curiosa dei clienti? “Durante la cena al buio alcune persone si sono stese a terra piangendo e una persona, durante un percorso Slegati, si è alzata ed è stata 25 minuti a fissare il muro, poi è tornata al tavolo”, ricorda il founder. Progetti futuri? “Adesso stiamo lavorando a un cambio di portate: uscirà in autunno un nuovo Slegati (il contenuto varia al variare del nostro sensibile, indaghiamo ciò che stiamo vivendo), concentrato sulla sofferenza e sulla paura; ci saranno piatti che si chiameranno Conoscenza, Censura, Tensione, Tocco, Strappo, Rabbia”, anticipa. “Da ottobre verrà servito come amuse bouche, all’interno di una boccettina del colluttorio, una sorta di liquido anestetizzante, e in sala le portate verranno servitie da camerieri vestiti come personale medico”.
Negli spazi di Contradiction senza dubbio si è parte integrante di uno spettacolo, di una live performance che va oltre il concetto di ristorante e che attiene più alla sfera artistica: che sia questo il futuro della gastronomia?