Il Garybaldi Japanese Restaurant & American Bar, per gli amici Gary, è uno storico locale di Stradella, una cittadina sull’Oltrepò in provincia di Pavia. Un’insegna insolita per chi capita in questi territori ed è abituato ad una cucina che proviene dall’agricoltura locale e profuma di salame di Varzi, ma che funziona per quei palati che hanno voglia di scoprire e sperimentare sapori che vanno oltre i confini di queste campagne. Il Garybaldi Japanese Restaurant è, ovviamente, un ristorante giapponese che racchiude un’atmosfera che tocca la tradizione culinaria nipponica e le materie prime mediterranee in una perfetta unione tra Oriente e Occidente.
Cercando su Google, scoprirete che I Garybaldi furono un gruppo musicale genovese degli anni ‘70 di genere rock-blues con elementi progressive. Quando nel 2010 i fratelli Caterina e Salvatore D’Urso rilevano il locale, hanno deciso di mantenere questo nome ormai così integrato nel tessuto sociale del posto. Qui il cliente si sente a proprio agio dalla colazione al dopocena, ma è dell’esperienza del ristorante che vogliamo parlare in questa occasione.
Le persone del Garybaldi
Caterina D’Urso voleva fare la giornalista, si è iscritta alla Facoltà di Comunicazione dell'Università degli Studi di Pavia. Quando aveva solo 21 anni, lei e il fratello perdono il padre improvvisamente e data la loro unione, decidono di passare ancora più tempo insieme assecondando quella che sa sempre era stata una vera passione del mondo dei distillati e dei vini. Frequentano un corso per bartender e nel 2010 rilevano il Garybaldi che all’epoca era un bar storico della città per trasformarlo in American Bar.
Oltre a Caterina e Salvatore, il Garybaldi porta il nome di Federico Baraldi la cui passione per la cucina era certamente nel suo DNA, ma si è palesata concretamente con il tempo. Nipote di Carlo Brambilla, per molti anni chef del Grand Hotel Cervinia, di lui conserva ancora un coltello, Federico studia alla Facoltà di Architettura Ambientale presso il Politecnico di Milano - sede di Piacenza. Nel frattempo, in estate, lavora presso l’ Az. Agr. “Zoni Filippo” a Muccinasso (Pc), gestendone il negozio di vendita diretta dove si appassiona alle materie prime della terra e alla loro stagionalità (tutte cose presenti nella cucina del Garybaldi).
Nel 2010 si occupa dei lavori di ristrutturazione del Garybaldi American Bar di Stradella e lì conosce i due proprietari Caterina e Salvatore D’Urso: sono tuttu giovanissimi, Salvatore ha 24 anni, lui 25 e Caterina 26. Durante i lavori Federico e Caterina si innamorano e nel 2013 si sposano.
Nel frattempo si rende conto che il lavoro di architetto non fa per lui, abbandona gli studi e prosegue a tempo pieno il lavoro presso l’ Az. Agricola Zoni. Nel 2015 gli viene proposto, viste le capacità gestionali acquisite nel negozio di vendita diretta dell’Azienda Agricola, di diventare il Restaurant Manager del ristorante di cucina Giapponese che i due fratelli vogliono ricavare all’interno di una parte del bar. Così entra a tutti gli effetti nel mondo della ristorazione partendo dalla sala e dalla gestione generale. Impara, dal primo chef giapponese Kenta Fujisawa, tutti i segreti della cultura gastronomica del Sol Levante rimanendone affascinato, ma trovando molto stereotipata l’offerta generale di questa cucina in Italia.
Successivamente impara le tecniche di preparazione e conservazione dallo chef Gustavo Duares (che ha lavorato per diversi anni da Armani Nobu). Nel 2019 viene deciso il suo passaggio in cucina e così frequenta diversi corsi con lo chef Naruse Fumiaki (Sous Chef dal 2002 al 2012 presso il Ristorante da Vittorio - 3 Stelle Michelin), che considera il suo Maestro per quanto concerne la sfilettatura, l’utilizzo dei coltelli giapponesi e la lavorazione del riso.
A Luglio 2019 inizia ufficialmente la sua avventura da chef con immediati riscontri positivi da parte della clientela che si dimostra entusiasta di questo passaggio dalla sala alla cucina e con la quale ha mantenuto sempre un contatto grazie anche alla cucina a vista. Nei suoi piatti porta tutto quello che è il suo pregresso esperienziale: i vegetali, le materie prime del nostro territorio, la contaminazione della cucina giapponese con la tradizione mediterranea, l’amore per il design e l’architettura.
Abbiamo intervistato Caterina D’Urso che ci ha raccontato questo progetto fatto di dettagli e attenzione all’ospitalità.
Qual è la filosofia di Garybaldi Japanese Restaurant?
La nostra filosofia richiama quella giapponese dell'omotenashi (お持て成し, おもてなし), che in italiano potrebbe tradursi con "ospitalità": esprime profonda dedizione verso l'ospite, ciò che si fa per l'ospite e con l'ospite, quindi anche verso se stessi. Caratteri fondamentali della omotenashi sono la ricerca dell'armonia, la cura, l'assenza di invadenza, la capacità di prevedere e intuire le esigenze e la sensibilità altrui: in quest'ottica si comprende meglio lo spirito che anima un cuoco giapponese che esprime gratitudine nei confronti del cibo che utilizza e la formula pronunciata da un commensale nell'atto di iniziare il pasto, “itadakimasu” (“ricevo con umiltà”). Per noi il complimento più bello non è “ho mangiato bene” ma “sono stato bene”.
Come è nata la vostra passione per la cucina giapponese?
Siamo una generazione cresciuta con i cartoni giapponesi: io e mio fratello abbiamo sempre amato anime e manga, inoltre ci accomuna la passione per il cinema che ci è stata trasmessa da nostro padre: quello orientale ci ha sempre affascinato per il diverso modo di approcciarsi ai grandi temi della vita e per la cultura rappresentata. Negli anime, nei manga e nei film, il momento del pasto ha spesso un ruolo centrale e una grande valenza sociale, un po’ come per noi italiani.
Amavamo la cucina giapponese, trovavamo però che fosse profondamente svilita dalla proposta degli "All you can eat". Nel 2015 abbiamo visto che a Expo il padiglione del Giappone è stato uno dei più visitati. Già da qualche anno pensavamo di aprire un ristorante di cucina giapponese e così abbiamo deciso di ricavarlo in una sala del bar, in un ambiente separato per dare due anime al nostro locale. Così il 23 Ottobre 2015 nasce il Garybaldi Japanese Restaurant. Nel 2019 quando Federico passa dalla sala alla cucina, io passo dal bar alla sala.
Oggi la cucina giapponese, soprattutto in Lombardia, è stata un po' "spremuta" e a volte si fa fatica a capire cosa sia autentico e cosa no, cosa ne pensate?
Adesso dirò una cosa che penso da sempre e che farà magari storcere il naso a molti: le parole “autentico” e “tradizione” non mi piacciono. Come non mi piace nemmeno la parola “innovazione” associata al cibo.
A me piace parlare di evoluzione: come l’essere umano anche la cucina cambia e muta, è figlia del suo tempo, si contamina e migliora, diventa altro. Noi non facciamo cucina giapponese pura, non potremmo farla perché gli occidentali molte cose non riuscirebbero a mangiarle, per cultura. Nella nostra cucina c’è una forte base che richiama il Giappone, come le tecniche e i condimenti utilizzati, oltre all’approccio alla materia prima, ma c’è anche tanto Mediterraneo e una forte identità che lo chef Federico Baraldi porta in ogni suo piatto.
Qual è l'atmosfera che si respira da voi?
Direi conviviale: una piccola sala di soli 20 coperti, una cucina a vista, i clienti che salutano lo chef quando arrivano e con cui possono scambiare due parole. È un po’ come quando organizzi una cena a casa con amici. Abbiamo una forte attenzione al servizio, ma senza formalità eccessive e quando ci si rivede con i clienti è sempre una festa.
Ci sono dei piatti della vostra realtà per voi iconici? Quali sono e perché vi rappresentano?
Sicuramente un piatto che è diventato iconico è la capasanta aburi. Partiamo da una materia prima eccezionale, una capasanta giapponese dalla consistenza carnosa e incredibilmente dolce, la scottiamo poi con salsa di miso. La decliniamo in modo differente in base alle stagioni: ad esempio adesso abbiamo terminato la versione estiva in abbinamento ad una spuma di patate cotte in brodo dashi, togarashi (una polvere speziata giapponese) e tartufo nero estivo per lasciare spazio alla versione autunnale con spuma di porcini, olio al nasturzio e tartufo nero.
Un altro piatto, se così si può definire, che recentemente è entrato nel cuore dei nostri clienti è il ko temaki, letteralmente “piccolo temaki”. Anche qui partiamo dalla materia prima di altissimo livello, usiamo una ventresca di ricciola giapponese ikejime (un metodo di sacrificio che conserva la tenerezza delle carni) scottata, salsa nikiri (una riduzione di soia, mirin e sakè), maionese leggermente piccante, riso e alga nori che dà la nota croccante e salmastra. Si chiude come se fosse un taco e si mangia con le mani: un vero piacere per il palato.