Siamo ad Albiate, sulla riva destra del fiume Lambro, nel cuore di quella che la nuova provincia di Monza Brianza. Per molti questo è un territorio scarno e povero di bellezza, ma per chi ha la sensibilità dell’osservatore questo è un pezzo di terra ricco di meraviglie, a cominciare da quelle gastronomiche. Siamo da Grow Restaurant, il ristorante dei fratelli Vergine (26 e 30 anni, questo è un dato molto importante da tenere a mente) che, meritevole della stella verde della Michelin, diventerà uno dei punti di riferimento per l’alta gastronomia di questo fazzoletto di terra.
Definire Grow è faccenda assai complessa. Non è un ristorante di carne, è un luogo in cui si riscopre la tanto discussa pratica della caccia e le sue stagioni. Non è un ristorante a prevalenza vegetale, ma ha molti piatti vegetariani che celebrano il ciclo della terra e si piegano al volere del cielo. È un ristorante da centro storico, ma quando si entra si ha la sensazione viva di sedersi nel bosco. È un luogo elegante, in cui si mangiano alcune portate senza posate e ci si sente a casa propria. Sono ossimori eppure è realtà.
Siamo stati a cena da Grow Restaurant in una sera di un giugno di pioggia che quest’anno sembra non voglia lasciare spazio all’estate, un giugno che ha danneggiato numerose coltivazioni e qui abbiamo imparato che entusiasmo e pazienza possono essere ingredienti della stessa pietanza. Ecco cos’è Grow e come si mangia.
I fratelli Vergine e il progetto Grow Restaurant
Grow significa crescere, un verbo molto profondo che non conosce età eppure le coinvolge tutte dal primo all’ultimo momento. Crescono gli umani, i vegetali, gli animali, questo è un verbo che riguarda tutti gli elementi dell’ecosistema e anche l’anima di essi. Matteo, in cucina, e Riccardo in sala, sono nati e cresciuti in Brianza e benché questo luogo si trovi a due passi dalla velocissima Milano, ha mantenuto viva un’importante parte rurale fatta di tradizioni culinarie e abitudini contadine segnate dal rispetto del tempo.
Matteo e Riccardo puntano a questo, a riscoprire i valori agricoli di questa terra per portarli nel futuro in quelle che saranno le tradizioni di domani. Pronti ad aprire nel 2020, Matteo e Riccardo si ritrovano giovanissimi e pieni di sogni a fare fronte a quello che è stato uno dei periodi più bui del nostro secolo. La pandemia, i cui effetti sono stati vigliaccamente messi come polvere sotto al tappeto, ha bloccato l’apertura e invece di aspettare, i ragazzi di Grow hanno trasformato quello che doveva essere il loro primo ristorante in una panetteria. Panificavano per il quartiere e in un periodo in cui tutto era fermo, loro erano in movimento. Hanno avuto modo di approfondire e sperimentare, hanno usato questo momento per crescere appunto. Possiamo dunque dire che Grow è nato dal pane e questo ha un significato ricco e profondo.
La filosofia di Grow affonda le sue radici nel concetto di crescita della natura che favorisce la crescita dell’uomo in un circuito virtuoso e reciprocamente rispettoso. Gli studi di coltivazione e di conservazione si sono sommati alla riscoperta delle abitudini alimentari degli avi e il risultato è l’evocazione della memoria gustativa di questo territorio attraverso la creazione di un nuovo ricordo contemporaneo.
La caccia, la pesca e l’orto
Difficile pensare che la stella verde, quella che la Michelin riconosce per la sostenibilità, venga assegnata ad un ristorante che serve cacciagione e pescato. Diventa più semplice nel momento in cui la filosofia di Grow viene spiegata. Tutti gli ingredienti che entrano in cucina sono di origine lombarda e i vegetali provengono dall’orto coltivato personalmente dai Vergine o dai piccoli produttori a una manciata di chilometri dal ristorante. Il pesce, rigorosamente d’acqua dolce, è di piccoli pescatori locali e le carni non allevate sono di animali selvatici cacciati quando la stagione lo consente. Quella di Grow è una cucina agricola scandita dal tempo, un tempo lento e dettato solo dalla natura, privo di qualsiasi forzatura umana. Fermentazioni, salamoie, marinature: questi sono gli strumenti che chef Matteo Vergine usa per dirigere questa musica fatta di suoni del bosco.
La stella verde della Michelin
In molti sostengono che questo riconoscimento inizi a contare più dell’iconico macaron rosso e qualcuno sospetta che presto arriveranno anche la seconda e la terza stella verde. Il futuro è un segreto, quello che possiamo però dire con certezza è che Grow Restaurant questa stella verde l’ha proprio meritata. Il perché è semplice e ve lo spieghiamo qui:
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Energia: il 100% dell’energia di Grow è affidata ad un’azienda specializzata in fonti rinnovabili e questo significa che l’intera fornitura elettrica è completamente green (fotovoltaici, geotermici, pale eoliche e via dicendo). Il gas metano è stato completamente eliminato e in cucina si lavora con due piastre a induzione e brace per cotture dirette e indirette;
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Plastica e pulizia: per pulizia e sanificazione si sano solo prodotti naturali certificati eco label e per quando concerne la plastica, Grow è plastic free all’80% poiché alcuni imballi sono obbligatoriamente imposti per la conservazione. Ma va detto che questi imballi sono tutti di plastica riciclata. Per le tecniche di stoccaggio e frollatura si utilizza il vetro;
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Consumo dell’acqua: la caldaia con boiler da 100 litri ha dato modo a Grow di imparare ad avere più consapevolezza sull’uso dell’acqua in quanto quella a disposizione è autolimitata. Per l’orto è stato installato un sistema di raccolta di acqua piovana;
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Orto: circa 2000 sono i metri quadri dell’orto di Grow ed è suddiviso in produzione di verdure, erbe aromatiche e piccoli frutti. All’interno saltellano 9 felici galline ovaiole ed è presente una preziosa compostiera. Per la gestione dell’orto sono stati coinvolti ragazzi del progetto di Regione Lombardia, dell’Istituto alberghiero Inpresa e dell’associazione Antonia Vita che si occupa di inserire nel mondo del lavoro giovani con disabilità, ex detenuti e persone affette da sindrome di Down e autismo. L’approccio alla coltivazione è completamente naturale, vengono usati solo letame, scarti vegetali compostati e pollina. Tutto quello che viene prodotto nell’orto soddisfa il 100% del fabbisogno del ristorante;
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Carne: nelle cucine di Grow non entra nessun animale proveniente da allevamento. I Vergine si relazionano direttamente con cacciatori e pescatori. Questo implica l’uso di animali selvatici e completamente privi di stress. L’uso di animali interi significa dover usare tutte le loro parti nelle preparazioni, lo vediamo soprattutto dai salumi e dai vari ragù presenti in carta. Inoltre caccia e pesca sono dettate da rigorosissimi calendari di prelevamento regionale, se non è sostenibilità questa non sappiamo cos’altro lo possa essere;
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Fornitori: i fornitori di Grow sono pochi e selezionatissimi, tutti locali e certificati biodinamici che prediligono un approccio naturale con una contaminazione ridotta.
Cosa abbiamo mangiato da Grow
Importantissime sono filosofia e sostenibilità, ma come si mangia da Grow Restaurant? Il sapore e il gusto sono al centro, le portate sono prive di quell’ego maniacale che ha caratterizzato gli chef degli anni 2000 e sebbene Grow porti alta la bandiera della creatività, ogni singolo piatto racconta una storia comprensibile. È fondamentale sapere cosa stiamo per mangiare e qual è l’obiettivo dello chef. Queste cose sono apparentemente ovvie ma va riconosciuto che si erano un po’ perse negli ultimi tempi e per fortuna, grazie anche a giovani come Matteo e Riccardo, la nuova gastronomia sta riscrivendo l’alta cucina con un vocabolario più immediato e semplice che è comunque in grado di stupire ed entusiasmare. I fratelli Vergine sono, insieme ad altri giovani colleghi, i responsabili di quelle che saranno le tradizioni culinarie di domani e, possiamo assicurarvelo, se continuano così la cucina sarà salva. Ma veniamo ai piatti.
Tre sono i percorsi che si possono scegliere: Tra i boschi, con i signature dello chef; Mùria, caratterizzato da marinature e salamoie; Oltre la foresta, una completa immersione nello stile Grow. Al momento della prenotazione online, per tutte le degustazioni, è indicata la durata del percorso, una cosa interessante che evita quelle cene lunghissime che somigliano più a rapimenti che al puro piacere dello svago.
Tutte le degustazioni iniziano con Assoluto di bosco, una vera e propria immersione gustativa attraverso i profumi che caratterizzano questo ambiente grazie all’estratto di radice e foglia di certfolio, sedano, zenzero e limone. Un modo fresco e leggero per preparare il palato all’inizio della degustazione.
L’aperitivo di benvenuto orienta il palato verso la filosofia di Grow. Divertente ed elegante la presentazione che si articola in tre assaggi che possono essere consumati senza posate. Delizioso il piccolo cannolo di patata e missoltino (la sardina di lago), grazie anche alla sua cialda sottilissima e friabile che racchiude un ripieno morbido e avvolgente. Segue la foglia di nasturzio con maionese al polline e petali di fiori, un assaggio vegetale che, nonostante il polline, non invade il palato con le note di miele ma lo pulisce per il terzo e ultimo assaggio della serie. Si tratta della crocchetta di collo di cervo, scarto di lievito madre e la sua maionese, una piccola polpettina goduriosa con un carattere deciso che invoglia a proseguire.
Si passa al primo antipasto, Chips di pane con cinghiale marinato e cotto alla brace, crema di peperone di Voghera e gel di birra. Questo è un piatto che nasce dall’esigenza di trattare la problematica del cinghiale che sta colpendo l’Italia. ASSICA a gennaio 2024 stimava che le perdite causate dalla non esportazione di questo prodotto all’estero avrebbero raggiunto circa i 20 mln mensili. Ecco dunque che da Grow nasce un piatto dal sapore unico e inaspettato. La carne del cinghiale è difficile che esca dai classici e casalinghi intingoli che, seppure deliziosi, non danno spazio a tutte le caratteristiche di questo ingrediente. Il sapore è eccellente, la consistenza è ingentilita dalla marinatura e questa è una rivelazione per questo tipo di carne che, non sarà certamente mai tenera, ma può liberarsi da quella texture coriacea e solitamente gommosa.
Arriva finalmente il cestino del pane ed è un tripudio di aromi, sapori e consistenze. L’abilità dello chef nella panificazione è esemplare e questa selezione è un vero e proprio viaggio nel territorio. Pane al mais affumicato, pane sfogliato, schiaccia al grano saraceno, il tutto servito con Burro di Marco Previtali e Olio extravergine d’oliva Il Pendio Michele Loda. Non confondetelo con un accompagnamento al pasto, questo pane è una portata a tutti gli effetti ed è anche parecchio buona.
Proseguiamo con il Carciofo, vaniglia e aceto balsamico. Lo avevamo già intuito dal cinghiale, ma qui ne abbiamo la conferma: chef Matteo Vergine non ha paura delle consistenze resistenti. Il carciofo, cotto alla brace e marinato in estratto di carciofo, viene accompagnato da un’avvolgente crema di vaniglia e aceto balsamico. Il piatto gioca con i profumi e i sapori in un equilibrio impeccabile, riporta a sapori confortevoli e stupisce che uno chef così giovane abbia saputo abbinare così elegantemente uno degli ortaggi più complicati.
L’ultimo antipasto è il Coniglio alla milanese. Ceci caramellati al fondo di coniglio ospitano i rognoni alla brace marinati con prugne selvatiche della scorsa estate, brodo di limone ossidato e affumicato. A completare il piatto c’è l’olio alloro dosato egregiamente. Questo è un piatto di carattere e personalità che dona una nuova dignità ai rognoni rendendoli dolci e delicati, spogliati dalla loro parte rurale e vestiti a festa con abbinamenti inaspettati. La cottura del rognone è da manuale.
Si entra nel vivo con il Risotto alle erbe di campagna. Mantecato alle erbe di campagna, fatulì, garum di polline, fave di cacao e peperoncino. È un piatto buono e delicato che viene esaltato dalla scelta dell’aggiunta del peperoncino che rende il tutto più sostenuto. Il gusto è tondo, il riso è cotto, finalmente!
L’ultima portata salata che abbiamo provato è Uova e asparagi alla milanese, bottoni di pasta fresca ripieni di salsa bernese e serviti con asparago selvatico alla brace, asparago di Mezzago in purea e in gambi, limone, liquirizia e peperoncino. Sono piccoli bocconcini che esplodono in bocca scatenando un cortocircuito che va vibrare il palato.
Per accompagnarci al dolce ci viene servita una granita di baccello di piselli con gin e polvere di piselli. Gustosa ma anche funzionale dopo la grassezza tipica della salsa bernese.
La Crostata alla rosa canina è servita con panna al pepe, polvere alle erbe e gelato allo stracchino. Questo è uno di quei dessert in grado di farsi ricordare. Difficile approcciarsi alla rosa canina eppure Matteo Vergine ci riesce con grandi risultati. Inutile specificare la qualità altissima dello stracchino, un prodotto eccellente preparato come si faceva una volta da Marco Previtali.
Il servizio di Grow Restaurant
Il servizio è uno di quei fattori che spingono a consigliare ai propri amici di andare da Grow. Al timone della sala c’è Riccardo Vergine, il fratello maggiore. Riccardo è un maître e sommelier di grande competenza, in grado di mettere a proprio agio qualsiasi tipo di ospite. Il suo entusiasmo è travolgente e mai invadente. Il consiglio è quello di domandare a lui il più possibile su ingredienti e loro provenienza, vi racconterà storie incredibili che renderanno la vostra esperienza indimenticabile e che dimostrano che è sempre tempo di imparare e crescere.
Come marinare il cinghiale secondo Grow
La marinatura del cinghiale è per Grow una tecnica di esaltazione dell’ingrediente, permette di alterare le classiche consistenze ottenendone di nuove. Il cinghiale, soprattutto determinati tagli di esso come la pancia, senza marinature o alterazione della texture sarebbe impossibile da mangiare con una cottura veloce, risulterebbe troppo duro o gommoso.
Matteo Vergine crea una marinatura liquida e salina a base di miso di ceci all’interno della quale aggiunge pepe lungo jamaicano pepe di Sichuan pepe affumicato al legno di melo, cannella, coriandolo, cardamomo e senape. Ovviamente questo mix di spezie deve essere bene calibrato per non coprire il sapore del cinghiale ma per riuscire ad estrarre tutte le parti che naturalmente hanno sentori di nocciola, di caffè e di cacao. Prima di marinare il cinghiale viene fatta una frollatura in cella per minimo 15 giorni per poi immergerlo nella marinatura e lasciarlo per minimo 72 ore. Viene cotto direttamente sulla brace per un tempo molto breve.
Grow Restaurant
Via S. Valerio, 4 - 20847 Albiate MB
Tel 0362 13 60 111
Email: info@growrestaurant.it
Website: https://growrestaurant.it/
Martedì – sabato: 19:30 – 22:00
Martedì – venerdì: 12,30-13,30
Domenica e lunedì: chiuso