Monica Sbaragli e Flavio Ponzo, insieme nella vita e nel lavoro, gestiscono con successo L’Altro Campagnolo a Candiolo (Torino), un ristorante completamente vocato alla cucina del territorio, che a gennaio 2024 spegne 20 candeline. In questi anni hanno conquistato un pubblico di fedelissimi, che prenotano i tavoli con largo anticipo, sia per ricorrenze speciali sia per serate di routine. Uno di quegli indirizzi che resistono nel tempo, superando mode e tendenze del momento.
“Non siamo presenti su nessuna guida, se non sul Golosario”, raccontano. “La nostra pubblicità migliore è il passaparola". In occasione del ventesimo compleanno, a gennaio, L’Altro Campagnolo festeggerà l'importante traguardo. “Celebreremo il compleanno sicuramente con una torta: sono stati 20 anni di grosso impegno, abbiamo voluto dare l’idea di un approccio un po’ più moderno, ma sempre con un occhio al passato. Chi conosce la cucina piemontese, e guarda la nostra carta, riconosce tutti i must. Noi puntiamo su impiattamenti diversi e tocchi leggermente moderni”, spiegano.
Abbiamo intervistato Monica Sbaragli e Flavio Ponzo in vista dell’importante traguardo ventennale. Ecco che cosa hanno raccontato a Fine Dining Lovers.

Monica Sbaragli e Flavio Ponzo con lo staff de L'Altro Campagnolo
Come nasce L’Altro Campagnolo?
Il nostro è un ristorante della tradizione, perché è il naturale proseguimento del ristorante di famiglia dei genitori di Flavio, Il Campagnolo, che è stato operativo a Vinovo dal 1961 al 2003. Poi, dopo che ci siamo sposati, a gennaio 2004 abbiamo deciso di continuare l’attività di ristoratori e di aprire L’Altro Campagnolo, appunto. Volevamo conservare il nome del locale da cui è iniziato tutto per ricordare il passato, ma anche per dare l'idea di una rinascita e di un cambiamento, in un ambiente nuovo con una punta di modernità in più, anche se continuiamo a fare cucina di territorio.
Quali sono i piatti che vi identificano di più?
Il fassone in tre maniere, che è l’antipasto che non togliamo mai dalla carta: un tris composto da battuta, vitello tonnato e girello marinato. I risotti, che cambiano sempre in base alle stagioni: a settembre con fichi e Castelmagno, in questa stagione con zucca, Gorgonzola e riduzione di Barolo chinato, in primavera con asparagi di Santena Dop e stracciatella di burrata. Tra i dolci non manca mai lo zabaione, che è un classico, così come non togliamo mai il Giandughiotto, ossia un cremino al gianduia accompagnato da gelato alla nocciola. Nell’ultimo periodo abbiamo introdotto il gelato al fiordilatte che viene mantecato al momento e servito con caramello salato.
In 20 anni qual è stata la più grande soddisfazione professionale?
Il fatto che a ottobre avevamo già concluso le prenotazioni di Natale, anche senza un menu da far visionare ai clienti: per noi è stata una grande soddisfazione, perché hanno prenotato tutti sulla fiducia. In genere per Natale c’è gente che ci chiama sotto data o, al massimo, a novembre. A ottobre, invece, hanno prenotato tanti, a occhi chiusi. Le soddisfazioni le abbiamo nella quotidianità, perché le persone tornano e ci mandano altri clienti. Non investiamo in pubblicità, non siamo presenti su tante guide, se non sul Golosario: la nostra pubblicità migliore è il passaparola.
Qual è una ricetta antica che secondo voi andrebbe riscoperta e perchè?
Introdurremmo volentieri in menu una minestra o una zuppa. Abbiamo notato che nelle carte spesso manca un piatto di questo tipo e secondo noi andrebbe riproposto: dalla pasta e patate alla zuppa di lenticchie. Magari presentate in maniera carina, in modo da invogliare per persone a mangiarle volentieri. Non escludiamo, in futuro, di reinserire una zuppa in carta.
Quanto è amata la tradizione dal pubblico giovane?
Noi abbiamo una clientela con un’età media 50 anni, ma negli ultimi anni i più giovani si stanno vedendo più al ristorante… Magari escono una sola volta alla settimana e riscoprono piatti come i plin, il fassone: tutti i classici della tradizione. I più giovani apprezzano anche il buon vino e, perché no, la grattata di tartufo, quando è stagione.
Avete un sogno nel cassetto per i prossimo 20 anni?
Vorremmo poter lavorare meglio: senza problemi di personale, per esempio. È un mestiere di sacrificio e di impegno e facciamo in effetti fatica a trovare chi ha ancora voglia di lavorare in questo tipo di attività. Oggi, forse, prendendo coscienza delle difficoltà del nostro lavoro, sia in sala sia in cucina, forse penseremmo di ridimensionare il ristorante, con meno coperti e meno persone. Capisco che sia dura avere una vita privata, magari noi cerchiamo di dare una mezza giornata in più, per andare incontro alle esigenze delle persone, quando è possibile. Vorremmo essere più sereni e tranquilli, ma senza dubbio vogliamo continuare questa attività, che abbiamo nel sangue.