Quella di Samuele Di Murro non è la classica storia dell’adolescente che inizia il suo percorso di studi all’istituto alberghiero. Comincia infatti per caso quando lo chef, ora in forze al Ristorante San Giorgio, si trovava a Genova a studiare economia. Mancava qualche esame, ma Di Murro molla tutto ed entra a fare uno stage al ristorante partendo dallo scalino più basso. Dopo poco viene assegnato al ruolo di commis in pasticceria e lì comincia a capire la costanza, la chimica, la tecnica e la precisione di questo ambiente. “Non sono un grande fan dei dolci, ma questa posizione mi ha aiutato tantissimo perché mi ha dato una formazione e un’impostazione molto rigide”, dice oggi.

Dopo tre mesi la pasticceria è completamente sotto il suo controllo e porta avanti brillantemente la partita. Durante il periodo della pandemia, lo chef studia moltissimo e si avvicina al mondo della panificazione. Subito dopo la pandemia arriva la stella Michelin, ma i tempi, lo sappiamo tutti, sono difficili e la brigata si deve rimboccare le maniche per mantenere alto il livello del San Giorgio. Di Murro diventa l’executive chef del ristorante e dopo i tanti sacrifici oggi dirige una cucina di tutto rispetto con una brigata giovane e una squadra molto affiatata. Ecco cosa ha raccontato a Fine Dining Lovers.

Dal punto di vista del cliente, com’è l’esperienza al Ristorante San Giorgio?
Il Ristorante San Giorgio è guidato da Danilo Scala e propone una cucina innovativa, in un ambiente elegante e raffinato, Danilo ha sempre avuto una smisurata passione per il vino, curando sin dall'inizio la cantina. Oggi la sua carta vini conta circa 1400 etichette. Lui è per me e per la squadra un vero mentore ed è grazie a lui se oggi ho potuto raggiungere questi risultati. La nostra è una cucina fatta con il cuore, non vogliamo che la gente venga solo per la qualità della materia prima, ma anche per la cura che mettiamo in ogni piatto. È una cucina molto orientata al territorio sia nei suoi prodotti che nelle sue ricette. Spesso andiamo nei paesini sperduti della Liguria, bussiamo alle porte e chiediamo alle signore le ricette di famiglia per poi rielaborarle al San Giorgio con una visione contemporanea.
Dopo tutto questo lungo percorso, come definirebbe oggi la sua cucina?
È una cucina diretta, dai sapori distinti e forti ma delicati al tempo stesso. In ogni piatto che creiamo c’è sempre un ingrediente che spicca, il protagonista che si deve sentire in tutto e per tutto, il resto è un contorno che deve solamente esaltarlo. La mia può essere definita come un’impronta forte che accarezza il palato.

Qual è il piatto che più la rappresenta al momento?
Senza dubbio gli gnocchi al pesto, ma quello che sento più vicino a me è la capasanta che ho in carta ora. È una capasanta scottata con pannocchia di mais arrostita al barbecue, un ragù di spugnole, delle spugnole ripassate in padella e dei friggitelli. La salsa è fatta con friggitelli e mais arrosto. È un tripudio di sapori che esaltano in modo sublime la capasanta.
Se dovesse invece scegliere un solo ingrediente per rappresentarla, quale sarebbe?
Io amo tutto ciò che è acido, direi quindi o aceto o limone.
Cosa vede del suo futuro di chef?
Innanzitutto crescita, sia dal punto di vista professionale che umano. E poi voglio migliorare sempre di più per raggiungere risultati sempre più alti.