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Chef Eugenio Roncoroni

Foto: Gaia Menchicchi

Classici Gastronomici: il nuovo inizio di Eugenio Roncoroni

Un bistrot che sa di casa, ma serve foie gras e caviale. E no, non è (solo) nostalgia: è selezione, maestria. Una visione matura e consapevole della cucina classica di cui avevamo bisogno. Ecco a voi Classici Gastronomici di Eugenio Roncoroni.

Classici Gastronomici, il nuovo ristorante di Eugenio Roncoroni ha aperto il 6 maggio. Abbiamo lasciato qualche giorno di respiro, giusto il tempo per organizzarsi e il 16 siamo andati a cena per provare - e raccontarvi - il ritorno dello chef. Un ritorno che ha il sapore delle cose pensate, mature, centrate. Con Classici Gastronomici, Roncoroni riscrive la sua storia con l'inchiostro della memoria e della maturità, scegliendo come tavola da disegno la sua stessa pelle: una sala in via De Amicis, intima come una casa — la sua, appunto. Dentro ci sono i ricordi, le ispirazioni, le stoviglie di famiglia e quel tavolo dove da piccolo ascoltava i genitori parlare di separazione. Il risultato? Un luogo che sembra cucito su misura per chi ha voglia di sentirsi ospite in uno spazio in cui sembrano esserci mille ninnoli disposti a caso, ma che in realtà rappresenta la timeline della vita vissuta fino ad ora a cui non manca quella milanesità che, arrendiamoci, è piena di fascino. Gusti decisi, francesi, piemontesi, profondamente suoi. Ci si può sedere al bancone, ci si può stringere attorno a tavoli condivisi: il calore è autentico, la selezione colta, lo spirito disinvolto. Con lui, Cristina Giordano, storica socia dai tempi di Al Mercato, anima accogliente e attenta del locale. Una cena da Roncoroni non è solo mangiare: è prendere parte a una narrazione gastronomica fatta di cuore e cervello (in tutti i sensi, ma poi capirete), selezione e pancia. E sì, anche un bel po’ di carattere. Roncoroni, che noi tutti conoscevamo come il ragazzone silenzioso e fuori dagli schemi che però dava quello che il pubblico voleva, si è fatto uomo e di compromessi non ne fa più. Oggi offre ai suoi tavoli quello che è necessario, anche quando non ne siamo consapevoli. 

Il Roncoroni di ieri e di oggi

Classe 1983, Eugenio Roncoroni ha iniziato tra le trattorie milanesi e i catering, ma è dall’altra parte dell’oceano che ha messo a fuoco il suo sguardo da cuoco. San Francisco, le cucine di Janine Falvo, Michale Tusk e Angelo Garro (che diventerà il suo mentore), la grammatica farm-to-table e quella consapevolezza gastronomica che diventa fondamento. Tornato in Italia, si muove tra Sergio Mei, Claudio Sadler e il Grand Hotel Et De Milan, dove incontra Beniamino Nespor (che salutiamo, ovunque esso sia): nasce così Al Mercato, ristorante cult che mischia burger, fine dining e umami sfacciato, cambiando per sempre il volto della ristorazione milanese.

Poi, la voglia di nuove strade: consulenze, street food vegetale con PAS – A Vegetarian Trip, fino a Roncoroni Cook. Un periodo di fermento e sperimentazione a mano libera, che lo riconduce oggi a un luogo preciso e personale: Classici Gastronomici. Un bistrot che è anche salotto, un rifugio d’autore in cui Roncoroni abbandona l’iper-concetto per tornare alla cucina cucinata. La tecnica c’è, la testa anche, ma il filtro ora è più diretto, carnale, quasi intimo. Si ritorna ai classici, sì — ma nel modo in cui li può raccontare solo chi li ha prima scomposti fino all’osso.

Roncoroni agisce sul piatto senza compromessi, senza il politically correct gastronomico che un po’ forse ci sta uccidendo. Vuole raccontare il gusto delle cose buone, quelle che fanno salivare, quelle che ne ordini un secondo piatto, quelle che “ci devo tornare per riprendere” questo o quello. E, piccolo spoiler, abbiamo il terrore che il suo patè in crosta possa diventare il piatto simbolo di questo posto e che un giorno lui si stanchi di prepararlo e dica cose tipo “che noia, non capisco cosa ci trovino tutti in questo piatto”, come abbiamo sentito dire a tanti chef con alcuni loro svariati piatti iconici. Speriamo che questo snobismo non lo raggiunga mai e che per sempre sia rispettoso dei palati che lo apprezzano. Ma andiamo avanti. 

Come e cosa si mangia da Classici Gatronomici

Qui si viene per entrare nel pensiero di uno chef che ha deciso di dire la sua con piatti dal peso specifico notevole, ma serviti con mano leggera. 

Ok, ora tornate su, rileggete quest’ultima frase e dimenticatela. Qui si viene per mangiare bene, per assorbire una cucina che ha a che fare con il godimento. Ci è piaciuto tutto allo stesso modo? Ovvio che no. È il momento, questo, di essere sinceri sia in cucina che al tavolo. Ma in questi anni abbiamo mangiato in un po’ di ristoranti – un po’ tanti – e possiamo affermare che ogni cosa è fatta come si deve, quello che non conquista ha a che fare con la banale, e preziosa al tempo stesso, soggettività. 

In carta si legge una dichiarazione netta: pochi piatti, niente fronzoli, grande attenzione al prodotto e zero timidezza nel sapore. Ogni piatto arriva al tavolo senza chiedere permesso. Ma attenzione, non confondete questo fatto con il famoso eccesso di ego dello chef. Qui di ego non ce n’è, almeno nei sapori che sentirete. 

Ecco quello che abbiamo mangiato. 

Tanto per iniziare, c’è un servizio aperitivo che introduce benissimo alla filosofia dei Classici Gastronomici. Arrivano le olive, carnose e succose, e pane e burro. Un burro di montagna che profuma di aria fresca e alture, con un trito finissimo di erbe che smorzano lievemente la grassezza di questo cibo degli dèi. 

Le acciughe in salsa verde ci portano dritti in Piemonte e nel frattempo siamo al secondo cestino del pane, un pane croccante e soffice, profumato, che non fanno qui ma che è stato scelto da chi di prodotti da forno in stile francese ne sa molto. 

Le uova di Paolo Parisi del ritorno, sono sode con maionese fatta a mano, semplici, dritte, vellutate come lo sono sempre state le uova di Paolo Parisi in questi anni. Stuzzichino sfizioso, ma senza particolari note da fare, sono le patate granaglia, erbe aromatiche e sour cream

Andando avanti a leggere la carta scopriamo, con non poco stupore, che non ci sono paste. E neppure risotti. Che scelta coraggiosa!

È il momento della ventresca di tonno, salsa marinara al fuoco, scorze di limone, crumble ai capperi e olive. Qualsiasi persona, di questi tempi, penserebbe di veder arrivare un filetto scaloppato, rosa al centro, scottato all’esterno, una salsa puntinata con accanto una “terra” di capperi e olive. E invece no, benedette siano le aspettative disattese. È un tonno cotto, alla mediterranea. Un tonno di una qualità commovente avvolto da un intingolo che, ci perdonerà Csaba dalla Zorza, ci ha fatto fare la scarpetta (e siamo al terzo cestino di pane, mondieu!).

Si entra nel vivo con il Pâté en croute. Siamo in Francia, non ci sono dubbi. Questo pasticcio di carne è un equilibrio di consistenze eccezionale. La carne è grassa, la pasta sfoglia sa di burro e, ad “accompagnare il tutto c’è un purè”, pensiamo prima si scoprire che invece no, è burro montato, in purezza. Altro cestino di pane: volato via. 

Ordiniamo anche il petto di anatra frollato alla lavanda con scaloppa di foie gras, insalata frisèe e vinaigrette agli agrumi. Nulla da dire sull’anatra, anche se forse ha una masticazione lievemente eccessiva, ma la star del piatto è certamente la scaloppa di foie gras cotta come se Roncoroni in questi anni non avesse fatto altro per trovare il punto giusto (e invece, di cose, ne ha fatte eccome). 

In carta c’è sempre un carpaccio che cambia a seconda della disponibilità. Quello che tocca a noi è il carpaccio di cuore che ci è stato presentato in un piatto singolare a forma di testa di scimmia. Le fettine del muscolo, sottilissime, sono adagiate nello scalpo del primate e questo, ça va sans dire, colpisce un po’. Il carpaccio è accompagnato da una salsa tonnata classica e tradizionale, vale a dire senza maionese, e foglie di cappero in salamoia. Nell’insieme è un piatto gustoso, intelligente e... di cuore. 

Il nostro ordine termina qui, ma chef Roncoroni ci fa assaggiare altri due piatti. Il primo, sono i granelli (testicoli di manzo). In carta è sempre presente un taglio di quinto quarto sempre a seconda della disponibilità e questo era quello della serata. Un piatto di ottima consistenza, buono, ma che non lascia il segno. 

A lasciare il segno è invece la Selezione di bresaole estreme, servite con verdure pickled (carote, rape, finocchio, cetriolo). Mangiamo una bresaola punta di petto 8 mesi di Sergio Motta e una bresaola di sottofesa di Denis della Val Chiavenna. Eccezionali entrambe, ma la seconda è paradisiaca e restituisce tutta la dignità – purtroppo persa negli anni – a questo salume così nobile e raffinato. 

Il caffè è preparato con la moka, finalmente nessuna bevanda bruciata compromette il palato alla fine di un pasto così favoloso. Insieme a questo arriva il bonet piemontese con prugne e ribes, la ricetta è quella della nonna di Cristina Giordano. Che gli vuoi dire? Niente, solo grazie. 

Mangiare qui ci racconta tante cose del palato di Roncoroni. Sembra di sentire i sapori con le sue papille. 

Quattro vere ragioni per cui bisogna andare da Roncoroni – Classici Gastronomici

Siete vittime di FOMO e avete bisogno di popolare compulsivamente il vostro feed Instagram? Nessun giudizio. Andateci da Roncoroni, ma aspettate un attimo, lasciate prima il posto a chi ha voglia di rimettersi in contatto con sapori decisi e una cucina che non ha niente da nascondere se non mostrare semplicemente quello che è: un’ode al palato. Per semplificarvi la vita, ecco un elenchino degli imperdibili con una breve, brevissima motivazione: 

1. il burro di montagna alle erbe: perché il burro sta tornando come simbolo di gusto democratico e di lusso al tempo stesso;

2. le bresaole: perché sono un tripudio di sapidità e scioglievolezza;

3. il foie gras: perché Roncoroni lo cucina come se fosse l’ultimo pasto della vostra esistenza in questa vita terrena per accompagnarvi nel paradiso della gastronomia;

4. ll patè en croute: perché è uno di quei piatti per cui vale la pena di tornare nello stesso posto più e più volte. 

Costa caro? Forse. Ma facciamo una riflessione

Classici Gastronomici ha aperto il 6 maggio. In meno di un mese si è già sollevato il solito polverone alla milanese: «Buono, ma è troppo caro». Ecco, mettiamola così: il punto non è il conto finale, ma cosa ci aspettiamo quando usciamo a cena. A Milano. Qui la selezione del prodotto è attentissima, le porzioni sono giuste, la cantina è ben pensata, il servizio è solido. Sapete come alleva le sue galline Paolo Parisi? Facciamo un brevissimo ripasso, che a volte abbiamo la memoria corta. Paolo Parisi alleva galline livornesi all’aria aperta, le medesime si nutrono di granaglie e bevono latte di capra proveniente dalla stessa fattoria. Tutto questo, purtroppo, ha un costo e, per fortuna, esistono produttori che scelgono di lavorare in questo modo anche se sarebbe più semplice e remunerativo fare altro. 

Altra questione. La Macelleria Motta ha aperto la saracinesca nel 1962 grazie al mestiere e alla dedizione di Giuseppe Motta che ancora oggi rappresenta uno dei punti di riferimento per carni e salumi a Milano e nell’Italia tutta. Bestiame selezionatissimo, cura e passione per un lavoro che non vuole fare più nessuno. Queste cose si pagano, facciamocene una ragione. Come ce la siamo fatta sul caso avvenuto proprio l’altro giorno, in una panetteria sui Navigli, dove abbiamo pagato cinque euro per un bicchierino tè freddo industriale e un misero pezzetto di pizza rossa. 

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