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Chef Carlo Cracco

Foto: courtesy of Cracco Portofino

La rotta di chef Cracco: “La mia Portofino e il nuovo concetto di lusso”

“Basta un fagiolino cotto bene per cambiare la percezione di un piatto. Il lusso oggi è questo.”

Anche il racconto ha un ruolo importante?
Moltissimo. Saper spiegare ti aiuta a farti conoscere. E poi arriva la nostra parte più concreta: prendere quel fagiolino e abbinarlo agli elementi giusti.

La stagione di Cracco Portofino è ufficialmente partita. Ci sono novità?
La novità, in cucina, è sempre il menu: cambia, evolve, si trasforma in base a ciò che arriva dall’orto, dal mare, e in base alla nostra capacità di valorizzarlo. Ogni anno è una sfida nuova. L’altra novità è l’allestimento: quest’anno partiremo con uno molto particolare, ma perfettamente coerente con il territorio e con Portofino. Valorizzeremo le due terrazze, rinnovando l’atmosfera senza tradire l’identità del luogo.

Dinner Club è un format che ha divertito e incuriosito, e per certi versi anche formato. Quanto ha contribuito alla sua visione della cucina legata al territorio e ai piccoli produttori? È stato lei a portare quel mondo nel programma, o il programma l’ha portata lì?
Dinner Club ti fa incontrare un mondo incredibile, fatto di persone non giovanissime che vivono in territori dimenticati, ma con una ricchezza gastronomica e culturale enorme. È un vaso comunicante: tanto ti dà, tanto devi restituire.
Non è faticoso scoprire: sembra che queste persone siano lì ad aspettarti. Anche per noi, quando andiamo in giro, non è sempre facile. Ma quella è l’Italia. Non l’unica, certo, ma è un tessuto sociale lontano dalle grandi città che fa la differenza. Passi in certi paesi e ti chiedi “Ma chi ci abiterà?” e poi scopri mondi interi fatti di prodotti e personaggi straordinari, artigiani… la famosa pancia del paese.

La diverte ancora fare il programma?
Sì, molto. È interessante portare con sé prodotti che spesso non conosce nemmeno chi ci lavora accanto. In questo programma non c’è una gara o un obiettivo preciso: il vero traguardo è il viaggio. Stare insieme, prendersi tempo, scoprire se c’è qualcosa che può tornare utile, incontrare persone che fanno cose meravigliose che non hai mai assaggiato — o che hai assaggiato, ma mai così.

C’è stato un momento in cui ha pensato: “Questo non lo mangio”?
No. Di solito no. Non sono mai cose estreme. Sì, magari qualche volta ho tentennato, ma non mi sono mai tirato indietro.

Chiudo con una domanda non prevista: come sta?
Sto da Dio. C’è molta serenità, consapevolezza, positività. Anche se non è un periodo tranquillo, ma pieno di cose da fare, il lavoro mi aiuta a tenere il timone dritto, a seguire la mia strada. È una questione di libertà. Oggi mi sento molto più libero rispetto al passato.

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