La perdita temporanea di gusto e olfatto rappresenta una delle conseguenze più comuni e diffuse del Covid. Ma cosa succede quando a restarne privo è un cuoco, una persona che lavora proprio con (e su) questi due sensi? Lo abbiamo chiesto allo chef Gianni Tarabini, una stella Michelin a La Preséf, spazio gourmet all’interno de La Fiorida, in Valtellina, l'unico agriturismo italiano con un ristorante stellato.
Qualche mese fa, lo chef è risultato positivo al coronavirus. “Mi sono accorto subito che qualcosa non andava: avevo la febbre da un paio di giorni, eravamo a metà ottobre; ho fatto una serie di esami in ospedale, tra cui il tampone, risultato positivo. Da lì è iniziata la mia disavventura, ed è stata pesante, perché la temperatura da 37,5 si è alzata a 39 ed è rimasta tale per tre settimane. Sono rientrato in cucina il 5 dicembre”, spiega. Nel mezzo, la perdita del corretto funzionamento di gusto e l’olfatto e una forte debolezza del fisico. “Il mio timore - racconta - era che i sensi non tornassero più. Come faccio a lavorare?, mi domandavo”.
Scoprire di avere gusto e olfatto alterati: la paura
“So che c’è gente che è rimasta tanti mesi senza percepire gusti e sapori, a me per fortuna è accaduto solo per dieci giorni, poi la situazione è andata migliorando sempre più. La mia preoccupazione era in primis stare bene di salute, volevo uscire dal Covid. Poi, in un secondo momento, ho iniziato a pensare ai miei sensi alterati, con la paura che non tornassero più a funzionare in maniera corretta. In quei dieci giorni di terrore per la perdita parziale di olfatto e gusto, la consolazione è stata leggere che di solito i sensi tornano a funzionare, superata la positività. Così, sapevo che prima o poi sarebbe passata questa condizione”, racconta lo chef.
Come si è accorto della perdita di questi importanti sensi? “A dire il vero, inizialmente avevo appetito e mangiavo tranquillamente, ma dopo il terzo o il quarto giorno di malattia, ho cominciato a non distinguere più i sapori: percepivo solo l’amaro, un sapore simile a quello della scorzonera. Per una decina di giorni è stato così: facevo anche fatica a bere, perché l'acqua era amarissima più di ogni altro cibo o bevanda, probabilmente perché ha un gusto neutro”.
Lo chef racconta di non avere completamente perso l’olfatto, ma di avere subìto una importante alterazione dei sensi. “In quei giorni tutto era sfalsato a livello di percezione: sentivo gli odori molto attenuati e avevo costantemente l’amaro in bocca”, spiega.
Perdita del gusto per il Covid e amaro in bocca: cosa mangiare?
Come nutrirsi, dunque? “Per riuscire a percepire qualcosa e mitigare l’amaro sono dovuto ricorrere a cibi molto grassi o molto pepati o molto acidi o molto speziati”, spiega Tarabini. “Ricordo che ho preparato spesso la pasta all’Arrabbiata, con tanto pomodoro, aglio, olio e peperoncino. Nutrirmi era diventato anche un modo per eliminare quel costante gusto amaro al palato. Ho evitato, dunque, piatti dal sapore delicato come la crema di patate o gli affettati. Sono ricorso a numerose spremute di agrumi, che bevevo volentieri, proprio perché l’acido riusciva a contrastare l’amaro: non passava del tutto, ma lo attutiva decisamente e mi faceva sentire meglio”.
E aggiunge: “Per riuscire a bere, dal momento che l’acqua era il cibo più amaro in assoluto, sono ricorso al tè, aumentando tantissimo le dosi di zucchero e di limone, oppure al latte fresco intero, che ha una parte grassa che probabilmente aiuta ad alleviare il senso di amaro”.
Si ricorda che sapore aveva un piatto che ama particolarmente, durante la perdita dei sensi? “Il risotto giallo è il mio piatto preferito, mi sono sorpreso perché non sentivo più il gusto tipicamente speziato: ho abbondato tantissimo con la zafferano, ho usato dosi massicce per riuscire a percepire un po’ l’odore e vagamente il sapore”.
Quando uno chef perde i sensi con cui lavora: come affrontare il Covid?
“Durante la mia positività, per via delle disposizioni dei Dpcm, eravamo fermi al ristorante. Sono rientrato a dicembre, e devo dire che il recupero di gusto e olfatto è andato migliorando con il tempo: l’assenza totale dei sensi è durata dieci giorni, ma in generale ho impiegato un paio di mesi per riprendermi fisicamente del tutto. Credo di esserne uscito, e di aver recuperato completamente a livello fisico, all’inizio di febbraio. Sì, a dicembre e a gennaio ho lavorato, ma mi sentivo ancora debole, il Covid ti abbatte fisicamente e ti lascia senza energie, per me è stato più quello: debolezza e febbre, oltre a mancanza di odori e sapori per dieci giorni”, racconta lo chef. Ecco come ha affrontato il lavoro dopo la malattia.
Come ha studiato il nuovo menu dopo la malattia? “Abbiamo riaperto dieci giorni a dicembre e poi abbiamo richiuso. Poi, una volta riaperto, secondo le disposizioni, ho sempre lavorato: piano piano ho riacquistato completamente i sensi, mi sono affidato alla squadra per provare i piatti, anche se questa è una pratica che adotto sempre, soprattutto con i piatti creativi. Trovo che sia sempre importante che il team dia la propria opinione sulle nuove creazioni”, risponde.
Cosa ha provato quando ha riacquistato i sensi? “La memoria ha dei gusti registrati: la polenta, il Bitto, i pizzoccheri… Quando dici wow mentre mangi un piatto è perché si accende la memoria gustativa, ed è esattamente quello che succede con il profumo e gli odori - dice ancora Tarabini - Ecco, lo stesso processo accade sui piatti: quando ho iniziato a risentire i gusti, si è accesa la memoria, ho cominciato a mangiare tanto, e ho pure messo su qualche chilo”.
Su cosa ha puntato per il menu, dopo l’esperienza del Covid? “In generale, abbiamo riscoperto i vegetali con i lockdown: il territorio, la casa, la famiglia, lo stare insieme… Elementi che i ritmi frenetici della corsa non agevolavano di solito - spiega lo chef - Questo ha avuto dei risvolti anche sulla mia cucina: ho puntato sui piatti tradizionali. Se ci pensiamo, in periodi storici problematici, si ritorna sempre a casa, alla terra, quindi anche a una cucina con pochi voli pindarici, ma fatta di piatti di sostanza, appoggiati a terra. Altro punto su cui sto scommettendo, in linea con la filosofia sostenibile de La Fiorida e con il chilometro zero, è l’anti spreco, il riutilizzo di tutto”.
Un piatto per non dimenticare l'esperienza del Covid
Il Covid è un'esperienza che segna inevitabilmente. Ecco che cosa racconta Tarabini a tal proposito e... aspettatevi una nuova cagliata.
Ci fa qualche esempio di piatti nati dopo la malattia? “Ho deciso di dare ancora più importanza al fattore umano e alle relazioni con i produttori: per esempio, adesso abbiamo preparato la Crema di zucca con l’uovo di selva (uova biologiche valtellinesi, di galline che vivono libere in montagna, ndr), con l’uovo di lumaca per dare sapidità e i crostini di grano saraceno, tipici del territorio”.
Che rapporto ha con l’amaro dopo questa esperienza? “Mi sono ripreso del tutto. Nonostante io abbia avuto la sensazione di amaro in bocca per dieci giorni, una volta passato il Covid, non ho avuto più problemi ad affrontare questo sapore, anche se in menu per il momento non c’è nulla di amaro, anche perché non è ancora la stagione”.
Dedicherà un piatto a ricordo di questa sua brutta esperienza a lieto fine? “Mentalmente associo il latte, la panna e i formaggi al periodo della mia malattia, tra i pochi alimenti che riuscivano a donare sollievo al palato nei giorni in cui mi sembrava di avere costantemente in bocca una radice amara, forse perché il grasso la capacità di assorbire e mitigavano l’amaro - risponde lo chef - Bevevo il latte munto il giorno prima dalle mucche de La Fiorida, era freschissimo. Avevamo già in carta un piatto con la cagliata, penso che ne studierò un altro, appena riapriremo il ristorante gourmet all’interno dell’agriturismo: lavoriamo sempre su prodotti stagionali e non possiamo sperimentare se non sappiamo quando ripartiremo”.