Dopo essersi formata, tra le altre, all'Accademia Niko Romito, Giulia Romano ha avuto modo di lavorare da Spazio Niko Romito, sia a Roma che a Milano. È proprio nell'anno di studio nella scuola di cucina del grande chef che conosce quello che sarebbe poi diventato suo marito.
Dopo alcune esperienze nel mondo del catering e della ristorazione classica, approda al Marco Bistrot, con una cucina all'insegna della semplicità,
Quando è iniziata la sua passione per la cucina?
Tutto è nato grazie ad una cotoletta con patatine fritte. Ero chiusa nella mia camera, reduce da un litigio con mio padre, avevo otto anni. Mia madre mi raggiunse e mi suggerì, per fare pace con papà, di cucina qualcosa con lui. Così feci e da qual momento mi si aprì un mondo: iniziai a dire che volevo fare la chef. Devo ammettere che, arrivando da una famiglia per metà romana e per metà napoletana, la buona cucina è sempre stata di casa. Decisi di fare l'Istituto Alberghiero, anche un po' contro la volontà di mio padre.
A quando invece il primo impiego?
Finiti gli studi sentivo di non aver appreso il mestiere a sufficienza e iniziai a lavorare presso l'attività di un parente, che gestisce una residenza in cui si fanno matrimoni. Tramite i miei insegnanti venni poi presa in un piccolo locale a Roma, in zona Eur. Ma ancora non sentivo di essere completamente pronta ad affrontare una professione per cui nutrivo tanto rispetto. Feci così un nuovo corso, seguito poi da alcuni stage. Finalmente poi l'arrivo da Relais Le Jardin, catering di prim'ordine romano per cui lavorai oltre un anno.
Ma a quel punto non aveva ancora abbandonato il mondo della formazione...
Esattamente. Avevo sempre più voglia di cresce e aumentare la mie conoscenze e decisi di frequentare l'Accademia Niko Romito. Erano solo sedici i posti disponibili ed eravamo seguiti passo per passo. Fu un anno molto intenso: imparai moltissimo su ogni aspetto della cucina e inoltre fu proprio lì che conobbi mio marito.
Dopo tutte queste occasioni di apprendimento, c'è qualcuno che ancora oggi considera il suo maestro?
Il mio maestro fu soprattutto Claudio Bellavia, secondo di Niko Romito e grande chef. Mi insegnò molto non soltanto professionalmente: trovò anche il modo di plasmare molto il mio carattere, facendomi affrontare le sfide con più calma e concentrazione. Successivamente ho lavorato da Spazio Niko Romito, sia a Roma che a Milano.
Quando arriva da Marco Bistrot?
Dopo una brutta esperienza milanese: io e mio marito fummo chiamati a lavorare in un ristorante di cucina italiana, ma il trattamento che ricevemmo dal titolare non fu certamente dei migliori. Alcuni clienti nel frattempo si affezionarono a noi e ad un certo punto uno di loro ci mise in contatto con il nipote, che stava investendo nella ristorazione. Fu così che conoscemmo Bruno Forte che, con Andrea Autieri, è titolare di un'agenzia di moda. Approdammo poco dopo da Marco Bistrot, dove inizialmente ad occuparsi della cucina doveva essere in primis Marco Sabbioni, affiancato da me e mio marito. Per motivi personali di Marco fui poi io a portare avanti il lavoro dietro ai fornelli e quindi a realizzare il menu. Mentre mio marito è coinvolto nell'apertura di un altro ristorante, sempre della medesima proprietà.
Che tipo di cucina realizza?
La mia cucina mi assomiglia. Realizzo piatti semplici, tradizionali che magari lavoro con preparazioni più contemporanee. Penso ad esempio all'utilizzo del sottovuoto: spume, arie, gel non sono la mia materia. Il mio intento non è sbalordire l'ospite, semmai andare a stimolare un ricordo e magari, perché no, superarlo. Marco Bistrot è un po' così, con la sua sala in stile newyorkese e la cucina della nonna, con i primi, le polpette, le verdure di stagione. E poi, anche se sono qui da soli cinque mesi, sto imparando a conoscere i miei clienti, a capire cosa apprezzano e cosa no, a confrontarmi con loro. Sto molto in sala quando mi è possibile.