“Mia mamma ha iniziato friggendo il pesce, con una damigiana di vino rosato e qualche cicchetto”. Così racconta Lionello Cera, anima dell’Antica Osteria Cera a Lughetto di Campagna Lupia, in provincia di Venezia: una storica insegna di famiglia nata come semplice trattoria di pesce e diventata negli anni un ristorante molto amato dal pubblico e dalla critica, su cui oggi splendono due stelle Michelin. “Tutto è cominciato nel 1967, con i miei genitori. Mia mamma era cuoca, aveva già un’osteria a Vicenza e, una volta arrivata a Campagna Lupia, c’era mio padre che faceva il pescatore e spesso tornava dal mercato di Chioggia con degli avanzi di prodotto invenduto. Così, lei ha pensato: perché non proviamo a friggerlo e a preparare dei cicchetti?”, ricorda lo chef.
L’attività, un bar di paese con cucina, gradualmente, è cambiata: “Mio padre si occupava della sala, inizialmente si proponevano solo il fritto e la polenta la domenica. Poi, ha iniziato ad aprire due giorni alla settimana, quindi tre giorni, sino a diventare un vero e proprio ristorante. All’epoca io ero piccolo, davo una mano a mia sorella in sala”, spiega chef Lionello. Una fenomenologia affascinante, quella dell’Antica Osteria Cera, che è passata dai cicchetti di pesce fritto alle due stelle Michelin.
Un ristorante dove si lavora ancora come una volta, con il pesce fresco nostrano e di qualità. “C’è un compratore che va tutte le notti al mercato di Ancona, mentre al mercato di Chioggia andiamo due volte al giorno”, racconta Cera. “Oggi si trova sempre meno pesce, si fa molto fatica, ci sono meno barche che escono, perché le spese dei pescatori sono aumentate tantissimo. A volte abbiamo i prodotti giusti per il servizio e nulla di più, ma non prendiamo mai il pesce d'allevamento, quello è un altro prodotto”, precisa lo chef.
Ecco che cosa ha raccontato Lionello Cera a Fine Dining Lovers.
Come è riuscito a trasformare una trattoria di pesce a conduzione familiare in un due stelle Michelin?
Sono quei percorsi che nascono ogni giorno, cercando di migliorarci: quando avevo 20 anni ho preso in mano tutto e oggi - che ho 58 anni - sono esattamente 38 anni che mi occupo del ristorante. Non è cambiato molto: siamo sempre in famiglia, c’è mio fratello Daniele, mia mamma che ha 89 anni e ci dà ancora una mano. Oggi ci sono tanti ragazzi che lavorano con noi: ogni giorno cerchiamo di migliorarci. Negli anni ‘90 è arrivata la prima stella Michelin e sinceramente l’ho scoperto per caso: all’epoca non si veniva avvisati, era una cosa lontana a cui non pensavo, me lo disse un ragazzo che venne a fare il cameriere da noi. Negli anni 2000 la seconda stella è stato un traguardo molto importante per noi: dobbiamo cercare di migliorarci tutti i giorni e fare tesoro delle critiche per crescere. Oggi c’è la terza generazione al ristorante: in cucina, assieme a me, a mio fratello Daniele e a mia sorella Lorena, è entrato mio nipote Pietro, 21 anni (figlio Lorena).
Come vede le nuove generazioni in cucina?
Mio nipote è molto giovane, è rientrato da noi dopo uno stage, ma non voglio fermarlo, ho il desiderio che vada ancora fuori a farsi le sue esperienze. Noi puntiamo molto sui giovani, molti dicono che sono “scarichi”, ma a volte arrivano al ristorante ragazzi meravigliosi dalla scuola alberghiera. In totale siamo in 30 (solo in cucina 14, il resto del personale è impiegato tra sala, parcheggio, addetti alle pulizie): alla base della gestione c’è un meccanismo che non è da sottovalutare. Un ristorante è come una macchina: se si inceppa qualcosa, non è facile andare avanti. Questo lo dico perché noto che molti giovani, anche solo dopo 6 mesi di esperienza, vogliono aprire un locale. E questo mi spaventa, proprio perché so che non è facile gestire un ristorante come si deve, soprattutto in questo periodo che è molto difficile: la ristorazione sta attraversando un momento particolare, ci sono giorni di lavoro molto belli e giorno meno belli. Non tira una bella aria nelle aziende e lo percepiamo anche nel nostro settore.
Qual è stata la più grande difficoltà e quale la più grande soddisfazione professionale in tutti questi anni?
La più grande soddisfazione? Sono maniacale, cerco sempre la perfezione, soffro molto quando non arrivo a qualcosa, quindi essere riconosciuti e avere mio nipote in azienda è davvero una grande soddisfazione: Pietro, con tutti i sacrifici del caso, mi sta seguendo, rappresenta la terza generazione e mi fa piacere. La più grande difficoltà, invece, l’ho affrontata quando mi sono ammalato e sono mancato per quattro anni dal lavoro, anche se la mia famiglia mi ha supportato, cercando di portare avanti l’attività. Come? Andando piano, senza correre rischi, senza prendere molte prenotazioni, in modo da fare poco e bene. Sono stati bravi, all'epoca c'era anche la mia ex moglie, che ha contribuito: devo dire che è stata la circostanza in cui ho avuto più paura nella mia vita, avevo 38-39 anni… L'età in cui di solito si spinge al massimo sull’acceleratore, e per me è stata dura, una vera sofferenza fermarmi. Adesso sono felice e do un valore diverso alle cose.
Un piatto che rappresenti il suo passato, uno per il presente e uno per il futuro?
Per il passato, ma anche per il presente, siamo molto legati ancora al Cicchetto di Fritto che faceva mia mamma e che oggi prepara mio fratello: ha una mano pazzesca, è l’artista del fritto di pesce. Poi c’è lo Spaghettino Freddo con lucerna, acqua di pistacchi di Bronte e acqua di capperi: un signature dish che viene scelto dall’80% delle persone, è uno dei piatti più importanti per noi, in carta da 25 anni. Per il futuro? Stiamo lavorando molto dall’inizio dell’anno sulla profondità dei vegetali, ma non perché ora è un trend e lo fanno tutti, ma perché abbiamo capito che avevamo bisogno di ampliare il menu, non facendo solo pesce: negli ultimi mesi abbiamo messo in pratica caramellizzazioni ed estrazioni dei vegetali: facciamo dei fondi di radicchio e di carciofo che sono pazzeschi, sembrano fondi delle migliori carti. In particolare, stiamo lavorando su un piatto che si chiama Mareggiata, è in carta da un mese: ci proietta in avanti su varie estrazioni concentrazioni di sapori.
Quale consiglio vuole dare a un/a giovane che vuole diventare chef?
Affacciarsi sulle grandi cucine: iniziare a lavorare nelle “cucine della nonna”, dove la mattina si fanno le basi (qui, per esempio, il martedì si entra alle 7 del mattino per fare tutte le basi). Poi, consiglio di salire un po’ alla volta, e di non partire subito da certi nomi importanti della ristorazione: alcuni giovani sbagliano l'approccio, vogliono fare subito la spuma in cucina, ma magari non sanno pulire un pesce, con il giusto trattamento per fare un fumetto e le giuste caramellizzazione. La gavetta ci vuole sempre.