Avete presente i classici della letteratura? Opere intramontabili, da leggere e rileggere, che non conoscono età: testi capaci di resistere a stagioni e tendenze. Il lavoro che lo chef Matteo Poggi sta facendo con la cucina bolognese Al Cambio è lo stesso: dare lustro a piatti che hanno sempre qualcosa (di nuovo) da raccontare, proprio come una favola di Esopo. I sapori della tradizione sono più vivi che mai Al Cambio di Bologna, anzi si ammantano della modernità che li rende attuali in ogni epoca. A questo (nobilissimo) approccio, aggiungete un servizio di sala impeccabile - quello premiato di Piero Pompili - e una mise en place curata in ogni dettaglio. Non è un caso se la lasagna di Matteo Poggi sia stata inserita dal New York Times nella lista dei 25 piatti di pasta da assaggiare in Italia.
Classe 1994, figlio d’arte (suo padre, Max Poggi, dopo 25 anni Al Cambio, nel 2016 ha aperto il ristorante che porta il suo nome a Trebbo di Reno), Matteo ha le idee molto chiare sul futuro della gastronomia, sulla tradizione e sulla cucina bolognese. Le esperienze professionali in importanti brigate (tra cui quella dell’Osteria Francescana di Massimo Bottura) hanno contribuito in maniera significativa alla sua formazione e al suo approccio.
Conosciamolo meglio: ecco che cosa ha raccontato Matteo Poggi a Fine Dining Lovers.
Quali sono le tre esperienze professionali che l’hanno formata di più?
Il più grande insegnamento di vita, come cuoco, è quello di mio padre: sono cresciuto con lui, al ristorante ci ho passato l’infanzia, da bambino mi sedevo sui sacchi di patate a giocare ai videogiochi mentre lui lavorava. Il ristorante che mi ha formato mentalmente come chef, invece, è l’Osteria Francescana di Massimo Bottura: è lui che mi ha insegnato la costanza in cucina, ma anche come studiare un piatto. Nelle Marche, dove mi sono trasferito per amore, ho imparato a fare un buon brodetto, un buon sugo di pesce: lì ho cercato i ristoranti di cucina di mare casereccia, e questo mi ha aiutato molto per formarmi sulla preparazione delle specialità ittiche.
Vengo per la prima volta Al Cambio: cosa non posso non assaggiare?
Sicuramente la lasagna, che negli ultimi due anni è diventato il nostro piatto simbolo, più delle tagliatelle al ragù: siamo finiti pure sul New York Times, tra i 25 piatti di pasta da assaggiare in Italia. Il suo segreto? Il bilanciamento e la stratificazione: siamo riusciti a trovare una giusta quantità di besciamella e ragù e una giusta acidità di ragù, che va a compensare la besciamella. Poi, quello che noi andiamo a fare è tagliarla e ultimare gli ultimi 20 minuti di cottura, porzione per porzione, prima di uscire e portarla al tavolo. La andiamo a gratinare con il Parmigiano Reggiano già porzionata, in modo che tutte le nostre lasagne escano croccanti, con un cucchiaio abbondante di ragù. I piatti da assaggiare Al Cambio sono tre, che costituiscono quello che noi chiamiamo per scherzare “il giro della morte”: sformatino di patate e mortadella, che è il classico antipasto della domenica che si faceva una volta (perché la mattina del giorno di festa a Bologna in casa si sente odore di ragù e mortadella), la lasagna e la cotoletta alla bolognese, rigorosamente con l’osso.
Al Cambio è segnalato come Bib Gourmand sulla Guida Michelin, una categoria di indirizzi che valorizza la tradizione con un buon rapporto qualità-prezzo: è questo il futuro della ristorazione?
Appena si apre il nostro menu, si legge una frase che secondo me è molto significativa: “A volte, per guardare il futuro, bisogna fare un passo indietro”. Una massima che ha trovato Piero qualche anno fa e che rappresenta al meglio noi. Siamo molto fortunati, perché abbiamo un pubblico davvero ampio: c’è gente che passa da noi per proseguire e raggiungere Uliassi a Senigallia, o per poi andare alla Francescana. Quello che fa la differenza Al Cambio sono i tempi di servizio, da noi non sei “preso in ostaggio”: il servizio è formale, perché Piero gira in doppiopetto, ma è veloce (massimo in un’ora e mezza hai finito, se mangi tre piatti). Credo che possano coesistere le due esperienze: cercare il gourmet e, allo stesso tempo, la tradizione. Noi ci definiamo “il fine dining della tradizione”: ci siamo collocati come nessun altro, credo, a Bologna. Certo, una piccola licenza ogni tanto ce la prendiamo. Ora, per esempio, in menu c’è la lingua, ma non facciamo il bollito classico con la salsa verde e rossa: la cuciamo intera in padella per fare la crosta croccante, poi usiamo una maionese di peperoni in agrodolce.
La guida Emilia-Romagna a tavola 2024 ha premiato Piero Pompili come Maître dell'anno: come interagiscono sala e cucina Al Cambio?
Il servizio conta: devi essere bravo… Noi abbiamo un’ora e mezza di servizio in cui lavoriamo sodo, poi alle 22.00 andiamo a casa. Lo staff di Al Cambio è costituito da due persone in cucina e due persone in sala, più il ragazzo addetto al lavaggio: tutti i giorni facciamo 40 coperti a pranzo e a 40 coperti a cena. Siamo molto affiatati, coltiviamo il più possibile il rapporto umano tra di noi, è essenziale soprattutto quando si è in pochi: dopo il servizio, per esempio, spesso usciamo insieme a bere una birra e a mangiare qualcosa. Cerchiamo sempre di avere orari umani e non finire tardi.
Lei è giovane: che rapporto hanno i suoi coetanei con i piatti della tradizione, che voi interpretate in maniera impeccabile?
Noi abbiamo un grande panorama di clientela: dal dirigente che viene a pranzo e ha poco tempo per mangiare alle persone che non hanno tempo o voglia di preparare le lasagne a casa. Ma abbiamo anche un pubblico giovane, che è quello che un domani sarà il tuo cliente più fedele: dobbiamo curarli bene. L’articolo uscito sul New York Times ci ha dato una spinta incredibile, con clienti nuovi, ma anche stranieri e gente da tutta Italia: tutti che vengono apposta da noi a Bologna per mangiare le lasagne. Che rapporto ho io con la tradizione?
E lei che rapporto ha con la tradizione?
Ho scelto di lavorare Al Cambio perché è un posto dove posso esprimermi e dove posso fare una cucina che non è concentrata sull'ego del cuoco. Voglio che il focus sia il racconto di Bologna e della sua storia culinaria: mi sento un cantastorie contemporaneo.
Progetti futuri e/o sogno nel cassetto?
Il mio sogno è quello di riuscire a portare Al Cambio la cucina tradizionale alla stessa stregua, come fama, di una cucina d’autore. Noi ci stiamo provando, ci impegniamo molto. Negli ultimi mesi siamo entrati in possesso di una delle prime edizioni del volume dell’Artusi, datata 1891: dentro abbiamo trovato delle chicche relative alla cucina emiliana, come l'originale Maccherone alla bolognese, che è condito con un ragù bianco di vitello (tagliato al coltello) con i “denti di cavallo”, un formato di pasta simile alle candele spezzate. L’idea è quella di rispolverare queste vecchie ricette bolognesi e proporle ai nostri clienti, con le dovute modifiche, per riattualizzarle e riportarle alla cucina contemporanea. È ciò che mi stimola: devi sempre trovare nuove scintille, altrimenti ti adagi e smetti di crescere. Una vera sfida, perché trovare stimoli nuovi nella tradizione è sempre più difficile.