Albergatore e uomo di grande cultura, Michil Costa, originario dell’Alta Badia, si occupa da sempre di ospitalità. Seguendo i princìpi dell’economia del bene comune, a Corvara dirige l’hotel La Perla, membro di The Leading Hotels of the World, e il Berghotel Ladinia, mentre a Bagno Vignoni, in Val d’Orcia, è alla regia dell’Albergo Posta Marcucci.
Costa crede nel dialogo, nello scambio, nell’empatia, nell’accoglienza e nel valore umano dell’ospite, a partire dal rapporto e dalla crescita dei propri collaboratori. Non è un caso, dunque, che sia stato nominato dai lettori di Fine Dining Lovers una delle Stelle dell'Ospitalità, un titolo che riconosce la sua leadership nel settore.
Ambientalista convinto, Costa è presidente della “Maratona dles Dolomites”. Ma il suo impegno sociale va oltre: nel 2007 ha fondato con la sua famiglia la Costa Family Foundation, che promuove progetti di sviluppo per donne e bambini in Africa, Asia e Sud America.
Ecco che cosa ha raccontato Michil Costa a Fine Dining Lovers.
Qual è l’esperienza o la persona che ha contribuito di più alla sua formazione di albergatore?
Luigi Veronelli e Angelo Gaja sono le persone che mi hanno fatto entusiasmare per il cibo e per il vino, in questo dialogo continuo tra oste e ospite, mettendo al centro dell'attenzione non solo cibo e vino, ma anche tutto ciò che ruota attorno: il canto, la poesia… Gigi aveva, e Angelo ha, questa passione innata per il simposio. E poi anche Giorgio Grai, che è stato il naso più fine che abbiamo avuto in Italia, per decenni.
La sua concezione di ospitalità si basa sui princìpi dell’Economia del Bene Comune: quali sono gli aspetti salienti?
Il bilancio dell’economia del bene comune è un concetto molto complesso. Per semplificare, possiamo dire che è uno dei possibili sistemi per capire finalmente che c’è anche un altro tipo di economia, che non prendiamo in considerazione. Un tema che è stato toccato spesso da personaggi quali Jeremy Rifkin, Joseph Stiglitz, Edgar Morin (e, all’epoca, dal Club of Rome): tutte persone che non sono ambientaliste come me, ma che hanno analizzato l’economia, dicendo cosa funziona e cosa non funziona del capitalismo. Principalmente, l’Economia del Bene Comune si basa sulla giustizia sociale, dignità dell’uomo e della donna, trasparenza e condivisione delle decisioni, sostenibilità ecologica e solidarietà.
Ha scritto un libro, FuTurismo – Un accorato appello contro la monocultura turistica, dove tratta il tema dell'industrializzazione dell'economia turistica: qual è il primo passo da compiere per una nuova ospitalità?
Quello che facevano duemila anni fa: occuparsi dell’altro, capire che noi siamo relazione, dare ospitalità da un punto di vista vero e sincero, mettendo al centro l’umanesimo, il rinascimento umano. E non pensare che l’ospitalità consista in un becero turismo, o nel costruire infrastrutture e aeroporti, o nell’essere solo efficienti. Perché è importante essere umani e accogliere l’altro come produttore di valore, e non solo come chi ci porta la pecunia. Quindi bisogna fare le cose con consapevolezza, avendo cura del paesaggio e di tutto quello che ci circonda, non solo dell’essere umano. Infine, vorrei sottolineare che l’ospitalità non è solo quella nei confronti dell’ospite (spesso, sbagliando, si parla di cliente), ma parte dall’accoglienza del collaboratore e di chi è meno fortunato di me. Dunque penso ai fornitori, ma anche a tutti quelli che sbarcano a Lampedusa. Se non faccio accoglienza, non posso pensare di fare turismo: è impossibile. Se non mi occupo anzitutto dei miei collaboratori, è inutile che mi occupi di ospiti: per me sono più importanti i collaboratori, perché sono coloro che stanno con me un’intera stagione, o un anno, magari per decenni. L’ospite va e viene.
Ha esperienza come albergatore sulle Dolomiti e in Val d’Orcia: come cambia, se cambia, l’ospitalità e la clientela?
Ogni albergatore ha l’ospite che si merita: quello che noi mettiamo sul mercato, viene accolto e attrae un certo tipo di ospiti. In Val d’Orcia abbiamo una vasca termale con tante sedute in direzione Rocca d’Orcia e le persone si siedono lì a leggere un libro, perché non abbiamo cinque piscine e sei spa: non siamo una spa con hotel annesso, ma un albergo storico, dove non diamo nulla, se non un po’ di umanità, dell’acqua calda e del cibo fatto bene. Le camere sono anche piccole, ma facciamo il massimo per accogliere gli ospiti al meglio. In Alta Badia, invece, durante la stagione invernale, dal momento che la struttura è vicina a un circuito di 1200 chilometri di piste, viene l’ospite che la sera vuole vantarsi degli 80 chilometri che ha percorso in sci. Tutto è molto logico: siamo noi che abbiamo la facoltà di attrarre un certo tipo di clientela. In estate, sempre in Alta Badia, l’ospite cambia: si mette lo zaino e cammina, lo fanno soprattutto gli stranieri, si cerca molto il contatto con la natura. Certamente, ho notato che le persone hanno la necessità di fare sempre qualcosa, di riempire anche lo spazio e il tempo per l’otium: è il motivo per cui noi albergatori tendiamo a dare mille servizi, ma credo che oggi sia necessario togliere e non dare. Torniamo all’otium dei latini.
L’Alta Badia in passato è stata la regione con la più alta densità di stelle Michelin: un caso unico, una terra fertile per l’ospitalità di alto livello. Perché secondo lei?
I primi ad aver avuto la stella Michelin siamo stati noi tanti tanti anni fa. Sono stato il primo a dare valore a una cantina vini, quando qui si beveva solo Santa Maddalena. Poi, dopo la mia esperienza all’estero, motivato dai personaggi di cui sopra (Veronelli, Grai ecc.), ho dato il via a un’accoglienza diversa. Oggi purtroppo non ci sono più stelle Michelin in Alta Badia (ha chiuso la Siriola, due stelle Michelin, e il St. Hubertus, tre stelle Michelin), ma ciò che mi fa piacere è che la gastronomia di qualità, fatta bene, è arrivata nei rifugi di alta montagna, vere e proprie mense di lusso. Il bello è che si mangia bene anche in quota.
Che consiglio darebbe a un giovane che vuole intraprendere una carriera nel mondo dell’ospitalità?
Io ascolto molto gli altri: mi piace il dialogo, carpire dagli ospiti le loro storie. Il mio consiglio, dunque, è di ascoltare, e di non pensare solo agli aspetti tecnici, ma di immergersi anche nel mondo dell’empatia, della psicologia e della sociologia, capire effettivamente l’importanza e la bellezza dell’essere umano che abbiamo di fronte a noi. Il mondo dell’ospitalità è così bello perché tu hai la possibilità di dare gioia e felicità a chi hai di fronte, comprendendo le sue esigenze e le sue peculiarità: puoi ottenere tantissimo così, ma ovviamente devi essere empatico, propenso ad ascoltare. L'accoglienza fatta bene sarebbe la soluzione di tutti i conflitti del mondo: noi possiamo dare felicità. Consiglio anche di provare a educare le persone che lavorano con noi. In azienda adottiamo come filosofia di base quella di far crescere tutte le persone interne (circa 200) e di fare in modo che, in un secondo tempo, diventino chef di cucina, direttori, facendo formazione continua in albergo. Il mondo è cambiato: gli ospiti hanno bisogno di essere ascoltati, non serve solo sapere come posizionare i piatti e le posate a tavola, nelle scuole dovrebbero insegnare l’empatia e la psicologia. Viviamo nel Paese più bello del mondo, con la possibilità di fare il mestiere più bello del mondo: abbiamo tutte le porte aperte.