Classe 1991, di origini campane, Nicola Annunziata è lo chef alla regia de I Portici a Bologna, il ristorante collocato all’interno del Teatro Eden, uno dei primi café chantant di fine Ottocento. Un indirizzo storico, su cui splende una stella Michelin dal 2012. Giovane, ma con una grande consapevolezza e maturità professionale alle spalle, Nicola è approdato alla guida di questo longevo indirizzo a dicembre 2022, senza mai sbagliare un colpo.
Da allora si confronta con un modus operandi che implica la gestione di diversi outlet gastronomici, all'interno dell'Hotel I Portici, gioiello del Liberty cittadino, dove i sapori mediterranei incontrano la storia e prendono forma. Abbiamo intervistato lo chef per conoscerlo meglio: ecco che cosa ha raccontato Nicola Annunziata a Fine Dining Lovers.

I Portici: la location
Cosa significa “ereditare” una stella Michelin in una location così importante?
Questa è già la seconda volta che “eredito” una stella Michelin, che ho sempre confermato. Era accaduto anche nel mio lavoro precedente, a Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, al Praia Art Resort, dove avevo confermato la stella (prima di me c’era Alfonso Crescenzo, chef che è di Sarno come me). Anche al Vistamare di Latina avevo preso l’eredità di Rocco De Santis, ed è stato il ristorante dove ho conquistato la prima stella Michelin, confermando la precedente, nel 2018. Quella è stata la mia prima esperienza di responsabile di cucina, ero molto giovane, non avevo l’esperienza di oggi. Venire qui a Bologna è stata una scelta di vita, la proposta di guidare I Portici era molto allettante, dal momento che si tratta di un luogo storico, dove sono passati molti colleghi importanti. Ho accettato perché volevo capire fin dove potevo spingermi con le mie conoscenze: ereditare una situazione più impegnativa e vedere come funzionano i vari outlet gastronomici, perché qui, oltre al fine dining, ci sono il caffè, il bistrot e la pizzeria.
Da chi ha ricevuto i più grandi insegnamenti durante le sue tappe professionali?
Ho una mia personalità ben definita, sono di Sarno, in provincia di Salerno, vengo da un territorio particolare, che non è certo una zona facile… E la cucina mi ha portato via dalla strada. Ho studiato all’Istituto Alberghiero di Nocera Inferiore e la prima esperienza lavorativa fatta durante le scuole superiori è stata al Faro di Capo D'orso con lo chef Michele De Blasio, neo stellato della Guida Michelin 2025: ho iniziato con lui in Costiera Amalfitana, era responsabile della banchettistica, mi ha dato tanto. Ho trascorso accanto a lui 4-5 anni, poi sono passato a Latina con Rocco De Santis, ero il suo sous chef e ho ereditato la stella Michelin. Qui c’era la consulenza di Anthony Genovese, che mi ha insegnato molto, sono stato anche in stage da lui a Il Pagliaccio a Roma. Poi, nel 2020, avevo preso accordi con il Pietramare del Praia Art Resort, a Crotone, dove ho riconfermato la stella e dove ho lavorato fino a novembre 2022.

Guancia di maiale, fieno, kimchi e topinanbur
Cosa significa fare fine dining in una città dove la tradizione gastronomica è molto forte?
Questo è un tasto dolente: il cittadino bolognese è un po’ restio a venire al ristorante fine dining, perché è molto legato alla tradizione di casa, al cibo della nonna. Negli ultimi anni i clienti locali si stanno avvicinando un po’ di più, perché ho un modo di vedere la cucina diverso: riesco a spaziare dalla creazione super contemporanea al piatto molto tradizionalista. Ho capito che l'importante è non proporre mai rivisitazioni delle ricette della tradizione e, se si fanno, bisogna approcciarsi con rispetto. Stiamo facendo molta ricerca sul prodotto, portando avanti un maggior rispetto per le materie prime. Questo si traduce in azioni concrete, come per esempio prendere un fungo e rimodularlo nello stesso piatto in tanti modi.
Un piatto che rappresenti il suo passato, uno per il presente e uno per il futuro?
Quello del passato è il piatto che mi ha avviato nel mondo del fine dining. Si tratta di un mio signature dish, una ricetta storica che a rotazione inserisco sempre nei miei menu, soprattutto nei periodi estivi in cui il pomodoro si trova facilmente: Risone con acqua di pomodoro datterino giallo, infuso di tè lapsang souchong (un tè nero cinese che viene ritrattato e affumicato), che completo con stracciatella di bufala, curry e polvere di prezzemolo. Per il presente ce ne sono tanti di piatti rappresentativi del lavoro che stiamo facendo, ma scelgo il Fungo al Cubo (o "alla terza", detto in termini matematici), una portata presentata in tre servizi: un cardoncello scottato e nappato al burro, di scuola francese, con erbe, timo e sale affumicato (con gli scarti del fungo facciamo dei sottaceti e li usiamo come texture diversa del fungo, beurre blanc a base di fungo e olio al prezzemolo); per il secondo servizio prepariamo la cotoletta di fungo con maionese al prezzemolo, servita in un agglomerato di foglie che bruciamo e che dona un aroma fumé; dal momento che facciamo sempre un lavoro di recupero degli scarti, per il terzo servizio prepariamo un brodo di fungo molto intenso, fatto proprio con gli scarti: lo facciamo bere alla fine, viene fatto con scalogno, fungo e vino bianco. Il piatto del futuro? In questo momento mi risulta difficile pensare a una ricetta specifica, ma senza dubbio la filosofia che caratterizzerà la mia cucina di domani sarà dedicarmi sempre più al vegetale e alla raccolta di prodotti spontanei, che saranno al centro del prossimo menu.

Fungo al Cubo
A proposito del prossimo menu: ci dà qualche anticipazione?
In primavera lanceremo il nuovo menu basato su una ricerca di etnobotanica sul territorio: cercheremo fiori, erbe spontanee commestibili e riporteremo il tutto al ristorante: imposteremo la cucina sul vegetale e serviremo la proteina animale in accompagnamento. Partiremo dal foraging classico, per poi arrivare a riportare il concetto nei piatti stellati. Questo è un lavoro che facevo già in Calabria, dove con lo staff raccoglievamo 57 erbe spontanee che crescono nei dintorni di Crotone. È un’attività che porteremo avanti con degli esperti in materia: il primo raccolto lo faremo sui colli bolognesi e zone limitrofe tra un paio di settimane, per iniziare a studiare e mappare la regione e i confini cittadini. Fuori dal capoluogo, nel giro di 4 chilometri, trovi una macchia mediterranea importante: il mio intento è di valorizzarla al massimo.
Tutte le foto Michela Balboni