È stato in grado di coniugare la tradizione dell’arte bianca partenopea con la ricerca contemporanea, senza mai tradire la cultura, l’identità e l’indole del mondo della pizza. Salvatore Salvo è un vero fuoriclasse dei lievitati: assieme al fratello Francesco, rappresenta la terza generazione della Pizzeria Salvo, insegna presente nella storica sede di San Giorgio a Cremano, ma anche a Napoli, sulla riviera di Chiaia. È qui che il 20 novembre si terrà il quinto appuntamento del ciclo di cene Tra Fuoco & Ghiaccio - Pizze & Cocktail d'autore, sei serate volute da S.Pellegrino e Acqua Panna, in cui l’arte bianca incontra il mondo della mixology. Per l’occasione, le pizze di Salvo verranno proposte in abbinamento ai cocktail ideati da Vincenzo Pagliara, bartender alla regia di Ritorno, ad Acerra, ospite della serata.
Un’occasione per scoprire l’abilità di un pizzaiolo che è stato tra i primi a collaborare con gli chef e con il firmamento dell’alta cucina, che ha molto da raccontare su prodotti e produttori campani, ma anche sull’approccio moderno alla pizza napoletana.
Ecco che cosa ha detto Salvatore Salvo a Fine Dining Lovers.
Una piccola anticipazione sull'evento del 20 novembre: quali pizze ha scelto per la serata, in pairing con i cocktail di Vincenzo Pagliara?
Ho estrapolato dal mio menu alcune pizze che danno al palato una diversità di sapori: l’idea è di partire dal tradizionale e arrivare all'assaggio di una pizza più complessa, cercando di proporre una varietà di gusti, che rendono ancora più divertente il pairing. Si comincia con la Frittatina di pasta (bucatini di Gragnano Igp, besciamella realizzata con burro d'alpeggio e latte, ripieno al prosciutto cotto, Pecorino Romano Dop, provola affumicata e pepe), per proseguire con la Provola e pepe (con pomodoro di Gragnano Valle dei Mulini, provola affumicata, mix di pepi selezionati (Timut, Nero di Sarawack, Oro di Sarawack) olio extravergine d'oliva Roboris di San Comaio). Poi, la Capricciosa (con pomodori pelati San Marzano Dop, salame di Agerola, carciofi al naturale di Paestum, acciughe di Cetara sott'olio, olive nere di Gaeta, fior di latte di Agerola, olio extravergine d'oliva Jannia, basilico), quindi la Costiera (una pizza bianca con fiordilatte, alici fresche marinate al Vermut bianco Mulassano, insalata di limone di Costiera, battuto di prezzemolo e colatura di alici, olio extra vergine d'oliva Ortice di frantoio Romano) e la Oshirase (un’altra pizza bianca con fiordilatte, filetto di manzo marinato alla soia con spezie orientali, salsa di friarielli, olio extravergine d'oliva 9/93 di Gaudenzi). Per concludere con la ‘Nduja e Verzin (una pizza bianca che ho in carta da tempo, con fiordilatte di Agerola, ‘nduja calabrese, formaggio erborinato di latte vaccino Verzin di Beppe Occelli, olio extravergine d'oliva Titolo di Elena Fucci, basilico).
Siete stati tra i primi a scommettere su una pizza napoletana di alto livello, accostabile al fine dining, lavorando al fianco dei cuochi stellati con il ciclo di cene Chef in Pizzeria: a che punto siamo nell’evoluzione del mondo dei lievitati?
La prima volta che abbiamo collaborato con degli chef, lo abbiamo fatto con Antonino Cannavacciuolo e Nino Di Costanzo: a Napoli ci dissero che era una blasfemia, “non fate mettere le mani sulla pizza agli chef”, ci raccomandavano, perché sembrava una provocazione. Oggi, nel settore, le cose sono cambiate: se non c’è una collaborazione con uno stellato, sembra quasi di non esistere… Quella iniziativa ha di fatto aperto una nuova era della nostra pizzeria e del nostro lavoro, e ha condizionato molto tutto il mondo della pizzeria: è stata seguita e ripresa da altri colleghi, che hanno sdoganato l’interazione dei maestri dell’arte bianca con gli chef, e anche gli stessi cuochi hanno sdoganato la sinergia tra i due universi. In occasione del ciclo di cene Chef in Pizzeria (2013-14), ricordo che Chicco Cerea fu il primo 3 stelle Michelin a essere ospitato in una pizzeria napoletana. L’evento andò in overbooking: era così importante avvicinare i due settori, che decidemmo di chiudere la pizzeria e di andare dai Cerea a Brusaporto (Bergamo), a bordo piscina, per un altro evento che testimoniava l’interazione tra la pizza e la cucina stellata. Poi abbiamo ospitato anche Cristina Bowerman, Giuseppe Iannotti e tanti altri: alcune pizze nate in quelle occasioni sono state inserite in carta. Le ricette dei primi lievitati non erano così equilibrate: c’erano degli errori che siamo andati a correggere in un secondo momento.
Oggi il mondo della pizza ha ancora bisogno della collaborazione degli chef stellati per emergere?
Per emergere no: oggi anche il fine dining è democratico e la pizza riflette questa attitudine. Lo chef allora interpretava un suo piatto attraverso la pizza e rendeva l’alta cucina accessibile attraverso il mondo della pizza. Oggi gli chef mettono in discussione il proprio lavoro e prendono in considerazione il mondo della pizza come parte integrante della cucina italiana: basti pensare ai tanti stellati che hanno introdotto i lievitati in uno dei propri locali o hanno addirittura aperto una pizzeria, da Massimo Bottura ai fratelli Cerea, a Nino Di Costanzo, che quest'estate ha inaugurato a Ischia Lisola, con il pizzaiolo Ivano Veccia. C’è sempre più attenzione e valorizzazione del mondo dei lievitati da parte degli chef, insomma. Va detto che gli chef hanno una conoscenza della cucina e della materia prima che noi pizzaioli non abbiamo: hanno avuto un percorso inverso rispetto al nostro.
Sembra quasi che si sia capovolto il mondo…
La pizza è sempre molto attuale: è una versione più “popolare” del fine dining. Spesso la pizza accompagna la proposta del bistrot degli chef. C’è bisogno di divertimento fuori a cena.
È una delle tematiche più dibattute degli ultimi anni: cosa ne pensa delle stelle Michelin attribuite alle pizzerie (cosa che, per ora, non è mai accaduta)?
Oggi c’è una evoluzione/involuzione in atto del fine dining: non dobbiamo commettere l’errore di evolverci verso il fine dining ingessato. Dobbiamo ancora trovare la giusta misura, che non è verso l’alto, ma verso il basso, nel senso che dobbiamo essere popolari, mantenendo la qualità: è una questione di numeri, non possiamo essere per pochi, perché la pizzeria dev'essere accogliente per tutti. Per la famiglia, per chi vuole fare un’esperienza, ma anche per chi desidera trascorrere una pausa di lavoro, oppure per chi ha intenzione di provare un percorso degustazione, con l’abbinamento di un buon vino, o magari in pairing con i cocktail. Ma questo deve essere accessibile a tutti, nella forma, nella sostanza e nel prezzo.
La Pizzeria Salvo è una delle nove pizzerie segnalate dalla Guida Michelin: con la presenza sulla “Rossa” è cambiato qualcosa nel vostro lavoro?
Siamo stati inseriti nella selezione della Guida Michelin la scorsa estate, sul sito della “Rossa”, e abbiamo visto un maggiore movimento di turisti, soprattutto francesi. Le guide in questo senso hanno fondamentale importanza, servono per farsi conoscere e muovono un certo tipo di clientela. Anche se sappiamo che non è la cosa più importante apparire sulle guide, senza dubbio non possiamo negare il loro ruolo: servono a movimentare il mercato. Essere segnalati sulla Michelin come Bib Gourmand sarebbe importante, la stella potrebbe essere importantissima, ma ha di suo che potrebbe “fuorviare” dall’indole della pizzeria, che in realtà deve restare popolare. A questo proposito, farei un invito ai colleghi del mondo della pizza: non inseguite la stella Michelin, non ci appartiene.
Interessante questo punto di vista…
La cucina italiana è così attraente che può avere importanza tanto un tortellino di un'ottima osteria bolognese quanto uno stellato Michelin: per la clientela, soprattutto internazionale, hanno lo stesso valore. L’Italia attrae proprio per il suo grande patrimonio enogastronomico e culturale. Il settore della ristorazione è stato il più maltrattato durante il covid, quando in realtà noi siamo grandi custodi del nostro patrimonio culturale. Cosa vuole fare uno straniero che ha solo due ore di tempo a Napoli? Mangiare una pizza. Perché, allora, le istituzioni non danno la giusta importanza a queste attività che oggi generano fatturato, occupazione e danno valore alla città, perché rappresentano dei must? Ci sono luoghi come Caiazzo e San Giorgio a Cremano che sono stati investiti dal turismo gastronomico, che ha dato molto ai territori. Adesso è giunto il momento di creare una simbiosi tra la città di Napoli e la pizza, che è un elemento di attrazione e di promozione.
Se dovesse scegliere una pizza che rappresenti il suo passato, una per il suo presente e una per il suo futuro?
Sceglierei la Cosacca per il passato, perché rappresenta una scoperta del territorio che abbiamo fatto 14 anni fa, rivoluzionando inconsapevolmente il mondo della pizza: una ricetta che era quasi sparita, che abbiamo rilanciato proprio grazie alla rivalutazione di due prodotti. Per il presente la Pizza al pomodoro, che rappresenta l'evoluzione di quel lavoro fatto con gli chef: noi sviluppiamo un’idea grazie alle tecniche di cucina, con sei declinazioni diverse del pomodoro sulla stessa pizza. Profumo di Costiera per il futuro: abbiamo studiato di tutto, ma con semplicità andiamo a esaltare ingredienti del nostro territorio come l'alice e il limone.
Cosa assaggiare, invece, la prima volta che si viene alla Pizzeria Salvo?
Io sono tradizionalista: la pizza va assaggiata a partire dalle ricette classiche. Abbiamo 7 declinazioni della Margherita, con una lista ad hoc, a cui si aggiunge la Provola e pepe. Per me è importante dare molta attenzione alla Margherita così come alle pizze più elaborate e sperimentali: è qualcosa che nasce dall’ossessione maniacale per la selezione di pomodoro e olio. Le tante varietà di pomodoro cucinate in modo diverso sono fondamentali e sono alla base della cucina campana, assieme ai legumi. Io voglio sentire il gusto del pomodoro, è una mia predilezione. Quando riesci a studiare e abbinare bene un prodotto, ovvero sei in grado di creare una personalizzazione di una pizza così classica, rendendola qualcosa di unico e riconoscibile, allora sei riuscito a comporre la magia più bella e interessante della pizza.
Progetti futuri e/o sogno nel cassetto?
Abbiamo in serbo novità all’interno del format del nostro locale e nel menu. Il mio sogno? Far arrivare sempre più la nostra mission alla clientela: l’amore e l'ossessione per la pizza, per la ricerca degli ingredienti e per il racconto dei produttori. La gente oggi ha la giusta maturità per capire: il pubblico è sempre più curioso e attento.