“La cucina non deve allontanare le persone: spesso si spinge un po’ troppo, la gente si spaventa per i prezzi o per i piatti troppo sofisticati. La mia filosofia? Mantenere il rispetto della tradizione, con qualche tocco creativo che diverta, a un costo accessibile”. Questa la formula magica di Silvia Tiburzi, chef per passione alla guida di Casa Cappellari a Venezia, il ristorante che ha aperto assieme al marito Massimo Cappellari nel 2019. Si trova nella zona del Mercato di Rialto ed è molto frequentato anche dai cittadini lagunari. Lo spazio è suddiviso in due piani, per un totale di ottanta coperti.
Due i menu proposti: a pranzo, un’offerta più informale, pensata anche per i lavoratori, mentre la sera la carta è più strutturata, con portate che osano di più con la creatività. Così, se a mezzogiorno si trovano opzioni come il club sandwich, l’hamburger o la cotoletta orecchia di elefante (preparata con la carne selezionatissima di Damini), a cena si assaporano piatti che coniugano stagionalità, tradizione e creatività. Un esempio? La crema di funghi, con porcini, moscardini e latte di seppia: un piatto in cui i sapori autunnali sposano due elementi tipici della cucina veneziana, come spiega la chef, autrice di una nuova cucina del territorio. Silvia, inoltre, è stata scelta come chef di riferimento per la Résidence Bonvicini a Venezia, della Fondation Valmont, fondazione per l’arte contemporanea del Gruppo Valmont.
Ecco che cosa ha raccontato Silvia Tiburzi a Fine Dining Lovers.
Come è nata la passione per la cucina?
Sono “figlia d’arte”, sin da bambina ho bazzicato la cucina della trattoria di famiglia fuori Venezia, a Pianiga. Crescendo ho iniziato dalle basi, vedendo tutto: dalla pulizia del pesce alle preparazioni. Lavoravo e mi pagavo gli studi, sino alla laurea, nel 2004, in Economia aziendale. Successivamente, il destino ha voluto che incontrassi mio marito, che lavorava nel settore: aveva una birreria che andava molto bene nella zona del Brenta, poi ha aperto un primo bar a Venezia. Insieme, nel 2005, abbiamo avviato la nostra prima attività, che si chiamava Impronta Caffè. Nel 2017, però, l’abbiamo venduta, in seguito a problemi di salute che ho avuto. Mi sono curata, mi sono presa il mio tempo e ho studiato. Quindi, ad aprile 2019, io e mio marito siamo tornati sulle scene, aprendo Casa Cappellari a Rialto Mercato.
Quali sono i maestri che l’hanno ispirata e come?
Il mio mentore è Corrado Fasolato, con cui ho collaborato per undici mesi nel 2012, dopo che aveva lasciato il Metropole di Venezia. Mi ha aperto un mondo, insegnandomi a trattare tutta la carne: venendo dalla cucina di pesce, avevo conoscenze basilari della carne, mentre lui mi ha insegnato anche a lavorare prodotti come la selvaggina o il piccione. Mi ha dato un’idea di creatività, ha tirato fuori tutta la fantasia che ho dentro. Leggo e studio molto, sono abituata a farlo, sono piena di libri e mi aggiorno così. Spesso mi lascio ispirare dalla tradizione della cucina veneziana.
Come definirebbe la sua cucina?
Tradizionale creativa. Per esempio, preparo le sarde in saor, ma con la cipolla rossa di Tropea e con un agrodolce elegante, non troppo pronunciato. Oppure, rileggo ricette tipiche veneziane come la castradina, una zuppa di castrato lavorata con le verdure, che si mangia il giorno della Madonna della Salute. Ho dedicato un intero menu degustazione alla castradina, declinando il montone castrato dall'antipasto al secondo, proposto anche in maniera creativa: dal carpaccio di montone affumicato al ragù con lo gnocco di zucca.
Come è cambiata la ristorazione a Venezia?
Io sono a Venezia dal 2000 e ho una visione ventennale: nella ristorazione è migliorata tantissimo, ci sono molti ristoranti stellati, nati con l’ispirazione di fare bene. Non c’è più la trappola per turisti che tendenzialmente caratterizza il sestiere di San Marco e quella della Riva del Vin, ma ci sono nuove realtà interessanti. La nostra zona, Rialto Mercato, ha conservato una certa autenticità, è molto frequentata dai veneziani.
Quali sono i piatti che bisogna assaggiare per capire la sua cucina?
Tra gli antipasti, la degustazione di cicheti, che varia dai sei agli otto cicchetti tipici veneziani, di pesce. Tra i primi, lo spaghetto Verrigni al peperoncino, che lavoro con aglio, olio, peperoncino e seppie al nero: un contrasto di sapori e di colori. Tra i secondi piatti, è amatissimo un tonno cotto e crudo, servito con maionese vegana alla mandorla, con radicchio tardivo all’agrodolce e un croccante di mandorle salate (il contorno varia a seconda della stagione).
Che cosa significa collaborare come "corporate chef” di un’azienda?
Collaboro con l’azienda di cosmesi svizzera Valmont per cooking class e cene, cucino per gli eventi. Cosa significa? Si cucina tenendo a mente i parametri di benessere e di ricerca del bello e del buono. Si tratta di un’esperienza molto interessante.
Ha un sogno nel cassetto?
Saper trasmettere la passione a tutti i giovani che oggi non hanno più amore per questo lavoro. La mia paura più grande è che i nostri sacrifici vadano perduti: vedere chiusa la trattoria di mio zio, dove io ho iniziato, mi ha fatto molto pensare. Mi piacerebbe aprire una scuola: quando si hanno le basi del fare bene, poi è la passione che tira fuori i piatti. Credo sia importante trasmettere questo, che è il senso della cucina: manca questo nel nostro settore, si sta perdendo questo aspetto.
Che consiglio darebbe, quindi, a un/a giovane chef?
Non deve perdersi di fronte ai primi ostacoli, come l’idea di lavorare il sabato, la domenica, o a Natale, perché la festa si fa quando si è appassionati e si ama ciò che si fa. Io cerco sempre di creare un momento magico con le mie figlie: non è solo il giorno di Natale quello speciale, ma anche il giorno prima o il giorno dopo. L'importante è sapere quello che si è e che si vuole trasmettere.