Ha 25 anni, un curriculum pazzesco e un (nuovo) ristorante tutto suo. Tommaso Zoboli è il giovane chef che a inizio ottobre ha aperto Patrizia, un ristorante fine dining dove la brigata è tutta under 25, nel cuore di Modena, la sua città d’origine. È qui che ha iniziato a lavorare, come prima esperienza dopo l'istituto alberghiero, accanto a un fuoriclasse della gastronomia come Massimo Bottura, all’Osteria Francescana. Poi, è passato per la brigata di Pascucci al Porticciolo a Fiumicino, quindi uno stage alla corte di Norbert Niederkofler e la conquista del titolo di “Miglior Chef Under 30 d'Italia”, nel 2021. “È allora che ho iniziato a pensare che potevo provare ad aprire un mio ristorante", racconta.
La cucina? “Per me è un’arte biologica, perché ti entra fisicamente dentro e inevitabilmente ti fa provare un’emozione, buona o cattiva che sia. E queste emozioni vengono fotografate dal cervello”, spiega. Il grande messaggio che vuole trasmettere con l’apertura del suo ristorante? "Che è possibile riuscirci, anche quando si sente dire che i giovani non hanno voglia di fare niente. Noi abbiamo voglia di metterci in gioco e raccontare le nostre idee. La nostra è una realtà che si basa sulla sostenibilità lavorativa: chiudiamo sempre due giorni a settimana, il costo del servizio va ai ragazzi in busta come mancia, c’è un’idea di benessere all'interno di un sistema lavorativo, che nella ristorazione è molto difficile. Preferisco avere meno io, ma far stare bene chi lavora con me. Io non sfrutterò mai nessuno: questo è un posto di grande collaborazione, tra arti e tra persone”.
Ecco cosa ha raccontato Tommaso Zoboli a Fine Dining Lovers.
Qual è stata l’esperienza o la persona che più ha contribuito alla sua formazione?
Gianfranco Pascucci, dove sono stato dal 2019 al 2022: lui è la persona che mi ha insegnato l’80% di quello che so, è un grandissimo cuoco, ma anche una grande persona: riesce a trasmettermi tanta passione e tanta umanità. Inoltre, ha una bella mano, Pascucci al Porticciolo è uno dei migliori ristoranti di pesce d’Italia. Lo chef è in grado di fare degli abbinamenti, anche folli, ma pazzeschi. La sua è una bella realtà, e una bella famiglia, mi piace quello che trasmettono.
La più grande difficoltà al lavoro che ha affrontato e la più grande soddisfazione?
Superare se stessi è la più grande difficoltà: mettersi in discussione e capire che non si è perfetti e che abbiamo tanto da imparare. È necessario fare esami di coscienza, che portano sempre a grandi soddisfazioni. Quando qualcuno mi ha detto che qualcosa non andava bene, poi sono migliorato. Senza delusione non hai soddisfazione. Insomma, i no aiutano più dei sì: bisogna lavorare su se stessi per poi superarsi. In questo momento la più grande soddisfazione è essere riuscito a fare quello che mi ero prefissato: mi ero dato degli obiettivi, dall’avere un posto che mi rappresentasse, e che funzionasse, all’avere uno staff felice.
Cosa significa aprire un ristorante a 25 anni? C’è qualche aspetto di cui in genere si parla troppo poco?
Aprire un ristorante a 25 anni significa mettersi in gioco, avere coraggio e sbattere la faccia contro la realtà. Bisogna essere testoni, e la cosa più difficile nell'aprire un ristorante, che nessuno ti insegna, è la parte burocratica: dal bilancio alle tasse. Questo è l’aspetto che più fa paura ai tanti ragazzi che vorrebbero aprire un ristorante. Credo in realtà che basti volerlo realmente: io l’ho fatto senza aiuti, potevo trovare un finanziatore, ma ho voluto farlo da solo, senza chiedere niente a nessuno, proprio perché volevo imparare sulla mia pelle, per poi poter insegnare agli altri e dare un bel messaggio, che ce la si può fare. Lo spreco del cibo al ristorante, il morale e la salute dei dipendenti, il rapporto con il commercialista sono temi di cui si parla meno.
Come è stato concepito il ristorante Patrizia e come ha impostato la cucina?
Patrizia è il nome di mia mamma, che non c’è più, la dedica è per lei: è lei che mi ha detto ‘segui il tuo cuore e fai quello che vuoi’. Volevo portarla con me dentro questo posto, il ristorante è stato concepito per essere un locale che si veste delle proprie idee: ogni quattro mesi cerchiamo creare uno spettacolo, ma senza voler esagerare. Così, cerchiamo di vestire i complementi del ristorante di questa idea, dalle luci alle divise dei ragazzi in sala, alla mise en place: ogni volta sembrerà di entrare in un mondo nuovo. Anche il menu cambierà ogni volta, a seconda del tema e dell’idea, ed è un magazine di 75 pagine, illustrato e disegnato a mano da Illario Luigi Filippo, racchiude anche la playlist scelta da Dargen D’Amico su Spotify. Tutto questo avverrà ogni quattro mesi circa.
Com’è il menu attuale?
Cambieremo menu tre volte l’anno, secondo la logica dell’idea e del tema. Questo primo menu è sulla tradizione, si chiama TradiUzione, un termine che gioca con le parole ‘tradizione’ e ‘traduzione’. Si tratta di una rivisitazione della tradizione modenese in una chiave nuova: è come se le ricette fossero dei graffiti della street art, che possono cambiare l'estetica, ma non il contenuto dei monumenti, e questo è quello che abbiamo fatto noi. C’è un solo menu degustazione, si può scegliere se farlo di 3 (solo a pranzo), di 5 o di 8 portate. Tutto molto accessibile (a pranzo 35 euro, a cena 55 o 85 a seconda del percorso scelto).
Qual è la chiave per arrivare con il fine dining a un ragazzo della sua età?
Credo che la cucina possa cambiare il mondo attraverso la condivisione, devi dare la possibilità a tutti di rielaborare. La chiave è la creatività e l'espressione, la condivisione e l’apertura fanno sì che questo possa accadere, che la gente possa ascoltare e che nascano dei dialoghi che creino innovazione. Per me è importante che un ragazzo abbia la possibilità di arrivarci, perché il fine dining è elitario per definizione. Si tratta di un concetto molto interessante che è emerso una volta, mentre parlavo con Adrià: un ristorante fine dining non può essere popolare, ma può essere un esempio per cambiare il mondo. Per esserlo, bisogna essere aperti e condividere.
Quali sono i tre ingredienti a cui non rinuncerebbe mai?
Il divertimento, che non deve mai mancare; le persone che ti sono accanto, perché sono fondamentali per la riuscita della ricetta; il cliente, un altro ingrediente fondamentale per la riuscita di una ricetta: si fa da mangiare per qualcuno e non per se stessi. Il fattore umano è fondamentale: se non sei predisposto a un’esperienza, non ne godi appieno. Altro aspetto importante è volere bene a chi ti fa da mangiare, o meglio, la costruzione di un rapporto tra chi fa e chi fruisce.
Tre piatti che rappresentano rispettivamente il suo passato, il suo presente e il suo futuro?
Il mio passato è un tortellino alla panna (a Modena si dice che per gli under 18 è alla panna, mentre per gli over 18 è in brodo): mi rappresenta molto perché è dolce e rotondo, come ero io da piccolo. Per il presente scelgo la Ghirlandina, un piatto che rappresenta la torre di Modena riprodotta in 3D a base di Parmigiano Reggiano, aceto balsamico, torta Barozzi, ma ha la parvenza di qualcosa di più strutturato, perché è quello che mi rappresenta di più ora (la mie radici, chi sono, il valore che sto attribuendo a tutto ciò). Per il futuro un piatto africano, perché il mio sogno è quello di chiudere il mio ristorante e aprirne uno in Africa, per poter portare turismo là, spostare l'attenzione su una terra complessa attraverso il cibo. Sarebbe bellissimo organizzare un festival gastronomico in Africa.
Che consiglio darebbe a un coetaneo che sogna di aprire un proprio ristorante?
Avere la testa più forte della realtà: essere più testoni del mondo, perché tutti cercheranno di remare contro, ma bisogna essere testardi, andare avanti e avere il coraggio di arrivare fino in fondo.