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Un piatto de L'Aurum, il ristorante fine dining dell'Albereta

Foto Lido Vannucchi

L’Aurum e una favola chiamata Albereta: l'esperienza fuori porta che devi fare una volta nella vita

“Ciao, favola di Albereta”. Prima di andare via saluto così la camera dove ho dormito. Ho cenato a L’Aurum, nuovo fine dining all’interno del leggendario relais a Erbusco che fu casa di Gualtiero Marchesi. In cucina ora c'è il suo allievo Alberto Quadrio.

Ho trascorso la notte in questa struttura da sogno, immersa nella natura della Franciacorta, dove ti svegli per davvero con gli uccellini che cantano, e respiri un’aria decisamente diversa dalla città. Siamo in quella che fu una villa privata costruita a fine ‘800 dall’avvocato Giovanni Cavalleri, che scelse come dimora proprio la cima della collina (che non a caso chiamò Bellavista). Un tempio dell’ospitalità oggi appartenente all'Holding Terra Moretti, circondato da 61 mila ettari di Parco delle Sculture, un’oasi verde che dal relais si estende sino alle cantine Bellavista e Contadi Castaldi, tra statue e allori. L’emozione nell’emozione, però, è stata ritrovare qui, come executive chef, Alberto Quadrio: colui che nel 2023 fece molto rumore con la sua idea di pasta in bianco, diventata virale sui media (all’epoca era alla guida del 10_11, all’interno del Portrait a Milano). Classe 1990, per me è una conoscenza di lunga data. Qui lo riscopro più maturo e consapevole, in un’atmosfera completamente diversa, circondato da una brigata giovanissima. Il suo è un ritorno alle origini, perché nel curriculum vanta esperienze al fianco di Marchesi, oltre a grandi nomi come Ducasse, Leemann, Narisawa e Castro. A lui è affidata la guida gastronomica de L’Albereta: un luogo emblematico per la storia della cucina e dell’ospitalità italiana. 

L’Albereta: location e proposta gastronomica

La proposta culinaria di questo Relais & Châteaux si articola in diversi outlet: all’Albereta si trova l’unica sede al Nord della pizzeria del mitico Franco Pepe, La Filiale, ma c’è anche il Leone Felice, casual dining di casa (che prima vedeva alla regia lo chef Fabio Abbattista, da poco approdato a Milano con il suo Abba) e il cocktail bar Stanza 54, un luogo accogliente, con vista sulle colline, dove viene servita la colazione. Esterno alla struttura, ma della stessa proprietà, poi, c’è Quintale, il ristorante dedicato alla carne. La novità, però, è L’Aurum, il fine dining inaugurato a ottobre 2024, dopo un lavoro di restyling: un'oasi che accoglie otto tavoli, ricavata da una parte della vecchia sala del Leone Felice. “Qui c'era bisogno di bianco, di colori chiari che dessero l’idea del pulito”, mi dice Quadrio, commentando il nuovo look dello spazio. Oggi è declinato nei toni del verde e della natura, con una dominanza di nuance pastello che creano una continuità tra il dentro e il fuori. L’affaccio è stupendo, le vetrate si aprono sul verde delle colline: la vista arriva fino al lago d’Iseo e l’occhio si perde nella pace del paesaggio di campagna. Un inno al relax, insomma, al vivere il lusso - perché di questo si tratta - dei ritmi lenti e a prendersi cura di sé. Del resto siamo in una delle poche strutture che danno la possibilità agli ospiti di usufruire della wellness spa firmata Espace Chenot, con tanto di healthy restaurant e cucina dedicata. 

Drizzo bene le antenne, perché i richiami marchesiani, anzi, l’aura del Maestro della cucina italiana aleggia nell’aria. A partire dal nome del ristorante: un gioco di parole, che riprende laurus, “alloro” in latino, in riferimento agli alberi che circondano la struttura, ma anche aurum, “oro”, che ricorda un piatto iconico di Marchesi che ha fatto la storia della cucina italiana, Riso, oro e zafferano. “Per me è un onore lavorare qui, riprendiamo in chiave non nostalgica il passato e lo riportiamo ai nostri giorni”, racconta Quadrio, che regala una visione della cucina classica, ambientata nel presente. Il menu è un’altra “spia marchesiana”: è realizzato da una delle ultime cartiere artigianali rimaste attive, quella a Toscolano Maderno, sul lago di Garda, di Filippo Cantoni, un artigiano che porta avanti una tradizione che risale al 1300, a cui si rivolse anche il Maestro. Una foglia d’oro decora la carta e introduce alla scelta: tre percorsi, Momento - Qui ed ora, il mio pensiero in sette piatti (180 euro); Dialogo (quattro portate a tema ittico, 150 euro); Connessione (quattro portate di terra, 160 euro). Opto per il percorso alla cieca, lasciando allo chef campo libero per esprimersi, con qualche preferenza espressa. 

L’Aurum: il menu e la cucina di Alberto Quadrio 

Il percorso si apre con uno scenografico benvenuto, un supporto a forma di uovo-scultura che si apre, scomponendosi in quattro piattini con altrettanti amuse-bouche: barbabietola, mora e finocchietto, bon bon 100% pomodoro (un’esplosione liquida di umami), uovo & uovo, una crema all'uovo con caviale, fagioli con l'occhio e sedano, carpaccio di coregone del lago d’Iseo, con noci di macadamia e ciliegia alla base. Il tutto servito con una fragrante focaccia aromatizzata all’alloro, per restare in tema. Quindi il palato viene preparato alla degustazione con un infuso a base di tepache, una bevanda messicana ottenuta dalla fermentazione delle bucce d’ananas. Poi? “Vogliamo rendere omaggio a chi ha fatto la storia non solo del luogo, ma d’Italia”. La voce di Quadrio, che esce spesso in sala, introduce la portata successiva: un piatto che si ispira all’arte, in particolare agli Achrome di Piero Manzoni. “Il signor Marchesi utilizzava branzino e salmone, noi lo proponiamo con sedano rapa trattato e tirato come se fosse un lardo”, precisa lo chef. 

Un piatto vegano che anticipa il mood della creazione successiva: Passeggiata di Primavera, un’incredibile tavolozza che celebra la natura, i suoi sapori e i suoi colori. Una composizione di mini assaggi di verdure cotte, trattate e condite singolarmente, che riempie il cuore solo a vedersi: uno dei piatti-gioiello assaggiati nel corso della serata, che non dimenticherò. “Una proposta che ha tanti precedenti illustri, da Matteo Baronetto a Michel Bras, a Yannick Alléno. Noi, però, l’abbiamo realizzata con le verdure cotte, come se fosse un’insalata conservata”, spiega Quadrio. Ogni singolo vegetale che assaporo è un mondo a sé, un microcosmo plasmato su un abbinamento ragionato: dalla puntarella con la colatura di sarda di Montisola all’asparago alla brace, dai fagiolini al pesto al fungo con il suo garum, dai piselli col prosciutto alle fave con il pecorino. Ogni elemento racconta una storia, un paesaggio, e questo è il senso più profondo della cucina, penso tra me e me. Poi, arriva il Finocchio in crosta, con aglio orsino, caffè e zabaione salato, l’Ostrica rosa del Delta del Po, proposta con latticello e lamponi, carnosa e fresca allo stesso tempo, con caviale e granita di sambuco e dragoncello. 

Arriva il turno dello scenografico servizio della Pasta di corte in fiore e arancia bruciata, che cattura la mia attenzione: viene usata la classica presse canard, la pressa nata per estrarre jus di anatra. “Noi, però, la utilizziamo per estrarre il succo di un’arancia bruciata a vivo, con jus d’anatra posto al suo interno: servito assieme alla pasta ripiena d'anatra, rappresenta la nostra idea di anatra all’arancia, un classico in versione moderna”, spiega il giovanissimo (22 anni!) Alex Castronovo, che per tutta la sera ha illustrato con passione i vini di casa proposti in abbinamento. Trota fondente, asparagi bianchi e salsa Franciacorta è l’ultimo piatto salato, prima della pasticceria di Camilla Guarneri, che mi conquista con un delicatissimo dessert: Fragole, rabarbaro e rose di Mariella, su cui viene vaporizzata acqua di rose, in omaggio alle curate aiuole della proprietà. Portata dopo portata, mi rendo conto che nei piatti de L’Aurum c’è il classicismo marchesiano, ma anche la sensibilità della cucina naturale di impronta leemanniana, oltre alla sacralità (e centralità) dell’ospite, di matrice ducassiana. E comprendo come venire all’Albereta per vivere un’esperienza di questo tipo significhi fare un ripasso di storia della gastronomia, respirare l’aria di un’atmosfera senza tempo, sospesa tra il passato e il presente. Ma non manca l’elemento futuro: è rappresentato dalla giovanissima brigata, tutta abbondantemente under 35. In sala ho ritrovato Alessia Albertalli, 23 anni, conosciuta appena maggiorenne a Cucine Nervi di Gattinara quattro anni fa, nella brigata all’epoca gestita da Quadrio. Ma ho rivisto, attraverso il vetro della cucina, anche Ferdinando Giovetti, oggi sous-chef de L’Aurum, fido membro di quella brigata, oggi come allora.

Si è fatto tardi, sono rimasta da sola in sala: a fine pasto, lo chef esce con tutto il team, incluso il maître Nicola Manganaro, per farmi conoscere i fautori della cena. A sorpresa, si presenta con la sua famosissima pasta in bianco, che all’Albereta non cucina più “perché ora ci sono altri piatti”, come spiega. Mi trovo coinvolta in uno staff meal improvvisato e mi piace molto. Forse sarà ciò che più mi porterò nel cuore: chiacchiera dopo chiacchiera, emerge la costanza e la passione di questi ragazzi, ma anche l’empatia tra colleghi che condividono un sogno, un’idea da portare avanti. Ripenso a dove sono, al significato intrinseco che ha questo luogo, dove ha operato il padre della cucina contemporanea italiana, senza mai scendere a compromessi, ma cercando di esprimere al meglio la propria arte. Padre di tanti chef acclamati, i cosiddetti Marchesi Boys, che oggi custodiscono un’eredità e un insegnamento importante. Mi piace pensare che proprio qui, oggi, altri giovani stiano portando avanti un’idea di cucina e (ci facciano vivere) un sogno. 

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