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Un piatto de L'Aurum, il ristorante fine dining dell'Albereta

Foto Lido Vannucchi

L’Aurum e una favola chiamata Albereta: l'esperienza fuori porta che devi fare una volta nella vita

L’Aurum: il menu e la cucina di Alberto Quadrio 

Il percorso si apre con uno scenografico benvenuto, un supporto a forma di uovo-scultura che si apre, scomponendosi in quattro piattini con altrettanti amuse-bouche: barbabietola, mora e finocchietto, bon bon 100% pomodoro (un’esplosione liquida di umami), uovo & uovo, una crema all'uovo con caviale, fagioli con l'occhio e sedano, carpaccio di coregone del lago d’Iseo, con noci di macadamia e ciliegia alla base. Il tutto servito con una fragrante focaccia aromatizzata all’alloro, per restare in tema. Quindi il palato viene preparato alla degustazione con un infuso a base di tepache, una bevanda messicana ottenuta dalla fermentazione delle bucce d’ananas. Poi? “Vogliamo rendere omaggio a chi ha fatto la storia non solo del luogo, ma d’Italia”. La voce di Quadrio, che esce spesso in sala, introduce la portata successiva: un piatto che si ispira all’arte, in particolare agli Achrome di Piero Manzoni. “Il signor Marchesi utilizzava branzino e salmone, noi lo proponiamo con sedano rapa trattato e tirato come se fosse un lardo”, precisa lo chef. 

Un piatto vegano che anticipa il mood della creazione successiva: Passeggiata di Primavera, un’incredibile tavolozza che celebra la natura, i suoi sapori e i suoi colori. Una composizione di mini assaggi di verdure cotte, trattate e condite singolarmente, che riempie il cuore solo a vedersi: uno dei piatti-gioiello assaggiati nel corso della serata, che non dimenticherò. “Una proposta che ha tanti precedenti illustri, da Matteo Baronetto a Michel Bras, a Yannick Alléno. Noi, però, l’abbiamo realizzata con le verdure cotte, come se fosse un’insalata conservata”, spiega Quadrio. Ogni singolo vegetale che assaporo è un mondo a sé, un microcosmo plasmato su un abbinamento ragionato: dalla puntarella con la colatura di sarda di Montisola all’asparago alla brace, dai fagiolini al pesto al fungo con il suo garum, dai piselli col prosciutto alle fave con il pecorino. Ogni elemento racconta una storia, un paesaggio, e questo è il senso più profondo della cucina, penso tra me e me. Poi, arriva il Finocchio in crosta, con aglio orsino, caffè e zabaione salato, l’Ostrica rosa del Delta del Po, proposta con latticello e lamponi, carnosa e fresca allo stesso tempo, con caviale e granita di sambuco e dragoncello. 

Arriva il turno dello scenografico servizio della Pasta di corte in fiore e arancia bruciata, che cattura la mia attenzione: viene usata la classica presse canard, la pressa nata per estrarre jus di anatra. “Noi, però, la utilizziamo per estrarre il succo di un’arancia bruciata a vivo, con jus d’anatra posto al suo interno: servito assieme alla pasta ripiena d'anatra, rappresenta la nostra idea di anatra all’arancia, un classico in versione moderna”, spiega il giovanissimo (22 anni!) Alex Castronovo, che per tutta la sera ha illustrato con passione i vini di casa proposti in abbinamento. Trota fondente, asparagi bianchi e salsa Franciacorta è l’ultimo piatto salato, prima della pasticceria di Camilla Guarneri, che mi conquista con un delicatissimo dessert: Fragole, rabarbaro e rose di Mariella, su cui viene vaporizzata acqua di rose, in omaggio alle curate aiuole della proprietà. Portata dopo portata, mi rendo conto che nei piatti de L’Aurum c’è il classicismo marchesiano, ma anche la sensibilità della cucina naturale di impronta leemanniana, oltre alla sacralità (e centralità) dell’ospite, di matrice ducassiana. E comprendo come venire all’Albereta per vivere un’esperienza di questo tipo significhi fare un ripasso di storia della gastronomia, respirare l’aria di un’atmosfera senza tempo, sospesa tra il passato e il presente. Ma non manca l’elemento futuro: è rappresentato dalla giovanissima brigata, tutta abbondantemente under 35. In sala ho ritrovato Alessia Albertalli, 23 anni, conosciuta appena maggiorenne a Cucine Nervi di Gattinara quattro anni fa, nella brigata all’epoca gestita da Quadrio. Ma ho rivisto, attraverso il vetro della cucina, anche Ferdinando Giovetti, oggi sous-chef de L’Aurum, fido membro di quella brigata, oggi come allora.

Si è fatto tardi, sono rimasta da sola in sala: a fine pasto, lo chef esce con tutto il team, incluso il maître Nicola Manganaro, per farmi conoscere i fautori della cena. A sorpresa, si presenta con la sua famosissima pasta in bianco, che all’Albereta non cucina più “perché ora ci sono altri piatti”, come spiega. Mi trovo coinvolta in uno staff meal improvvisato e mi piace molto. Forse sarà ciò che più mi porterò nel cuore: chiacchiera dopo chiacchiera, emerge la costanza e la passione di questi ragazzi, ma anche l’empatia tra colleghi che condividono un sogno, un’idea da portare avanti. Ripenso a dove sono, al significato intrinseco che ha questo luogo, dove ha operato il padre della cucina contemporanea italiana, senza mai scendere a compromessi, ma cercando di esprimere al meglio la propria arte. Padre di tanti chef acclamati, i cosiddetti Marchesi Boys, che oggi custodiscono un’eredità e un insegnamento importante. Mi piace pensare che proprio qui, oggi, altri giovani stiano portando avanti un’idea di cucina e (ci facciano vivere) un sogno. 

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