Farine, formaggi, carni e ingredienti che provengono tutti dal territorio, questo è quello che trovate da Castellum Vetus 2.0, la pizzeria gourmet di Simone Pomante ad Atri in provincia di Teramo. Impasti leggeri e materie prime biologiche sono il fiore all’occhiello del progetto di Pomante che ogni giorno dedica tempo e passione alla scelta delle materie prime migliori per le sue pizze.
La filiera corta è quello che più conta per Pomante che lavora i suoi prodotti con estrema dedizione per offrire pizze contemporanee ai veri amanti di questo iconico lievitato. Pomante nasce in una famiglia di ristoratori e la sua passione cresce insieme a lui che già da bambino muove i primi passi nelle cucine professionali. “Se non avessi fatto questo lavoro, avrei fatto l’artista”, e in qualche modo è quello che fa, la sua arte è evidente ed è fatta di tentativi, studio e soprattutto uno stile molto personale ed identificativo. La passione per i lievitati arriva presto e si specializza nel vasto mondo della panificazione e della pizzeria contemporanea.
Nel 2011 apre la sua pizzeria che porta il segno distintivo delle sue idee e da allora il percorso è in continuo movimento verso la frontiera della pizzeria gourmet moderna. Abbiamo intervistato Simone Pomante e ha raccontato così il suo progetto a Fine Dining Lovers.
Cosa trova il cliente da Castellum Vetus 2.0?
La mia filosofia si basa sulla varietà. Appena si assaggia una nostra pizza si sentono in bocca tanti sapori differenti, tutti distinguibili. I clienti continuano a stupirsi e per me questa è una grande soddisfazione. Chi ha un palato curioso apprezza certamente di più, chi è invece abituato alle pizze anni ’90 fa un po’ più fatica a comprendere, ma una cosa è certa: sulla qualità del prodotto nessuno discute. In estate non riusciamo per l’alta affluenza, ma nella stagione invernale facciamo delle serate di degustazione in abbinamento al vino. Io spingo molto nel pairing pizza-vino perché è il giusto compromesso. La birra con la pizza è certamente buona, ma mangiare lievito e bere lievito non mi ha mai convinto tanto.
Che tipologia di pizza fate?
Non mi sento di associarmi ad una tipologia. Tutto quello che facciamo, dalle tecniche ai metodi, nasce da noi. Il cornicione è alveolato ma non facciamo una pizza napoletana contemporanea perché i processi sono differenti. Utilizziamo farine al 90% provenienti da Marche, Abruzzo e Molise, questo per una scelta anche etica che va a valorizzare il territorio. All’interno la pizza è molto morbida mentre all’esterno più che croccante e friabile. La cuociamo nel forno elettrico, mentre gli altri forni che abbiamo (a legna, a gas e a convenzione, ndr), li usiamo per le preparazioni dei topping.
Quanto conta la materia prima nelle farciture?
Noi usiamo solo prodotto fresco a filiera corta. Ogni ingrediente lo trasformiamo noi all’interno della cucina. Questa è la differenza tra la pizzeria vecchio stile e l’evoluzione della pizza di oggi. Facciamo le confetture, prendiamo il miele da due apicoltori qui vicino e i formaggi, a parte stracciatella e burrata che arrivano da Andria, sono fatti in un caseificio a pochi chilometri da qui dove lavora mio padre e i prodotti caseari vengono preparati secondo le mie esigenze. La materia prima è il focus del nostro progetto e lavorandola da noi, riusciamo a mantenere i prezzi contenuti.
A un cliente nuovo, quale pizza consiglierebbe?
La Pecorara, è quella che mi rappresenta di più. Ha una base rossa con verdure cotte al vapore e ripassate in padella, mousse di ricotta di pecora, pinoli e cipolla caramellata al Montepulciano. È ottima se abbinata ad un vino rosato, a un bianco di alto livello, ma anche ad un rosso molto delicato.
Cosa si aspetta dal futuro della pizza contemporanea?
Non ho dubbi che tra breve tempo possa arrivare nelle grandi cucine.