“Dopo quasi nove anni di Contraste, abbiamo pensato di cambiare qualcosa, a partire dal concept: il rischio era di diventare i nuovi vecchi, un po’ scontati. Lo spazio ora è completamente diverso, ma sempre accogliente, mentre il menu apre scenari inediti”. Così racconta Matias Perdomo, lo chef alla regia di uno dei ristoranti più amati di Milano, che ha fondato nel 2015 assieme ai soci Simon Press e Thomas Piras. Un locale su cui splende una stella Michelin dal 2018, che l’8 marzo, dopo due mesi e mezzo di chiusura per restyling, ha inaugurato un nuovo capitolo.
“Dopo vent’anni di attività, eravamo molto conosciuti per una cucina dall’approccio giocoso e divertente: avevamo una sorta di etichetta”, spiega lo chef. “Al Pont de Ferr lo facevamo anche per richiamare l'attenzione su una trattoria, ma stiamo parlando di un’altra epoca. Da due anni a questa parte mi dicevo ‘qualcosa sta mancando nella nostra proposta’. Se chi cucina è il primo a non emozionarsi, come può trasmettere entusiasmo agli ospiti?". Ecco allora l’idea di affiancare all’iconico menu Riflessi, con piatti cult come il Donut alla bolognese o la Cipolla caramellata, un nuovo percorso, di natura completamente diversa, chiamato Riflessioni. Un itinerario più “concettuale”, con creazioni di minor impatto visivo, ma dall’immenso potere stimolante e intellettivo, capaci di spingere il palato e il ragionamento oltre, verso confini inesplorati.
Contraste: lo spazio dopo il restyling
Foto Matteo Bellomo - Stefania Zanetti
Come sempre, Contraste si pone l’obiettivo di uscire dalla comfort zone e di assumere una posizione ben precisa. Il progetto della nuova location, realizzato in collaborazione con l'architetto Luca de Bona e Debonademeo Studio, invita gli ospiti a partecipare al gioco dell’alta cucina, come attori protagonisti e coprotagonisti, assieme al personale di sala. Il motivo ricorrente, infatti, è quello del teatro: ci si accomoda tra quinte colorate e tendoni, prendendo parte alla messa in scena del servizio, come su un vero e proprio palcoscenico. In questo contesto vivace e colorato, lontano dal candore del total white precedente, si è allo stesso tempo spettatori e attori dell’esperienza gastronomica.
Foto Matteo Bellomo - Stefania Zanetti
Tra le rivoluzioni della sala, poi, ci sono le tovaglie in silicone: un elemento materico che riprende un dettaglio che caratterizzava la vecchia location, ossia i mitici lampadari ricoperti di silicone rosso, realizzati da Alessandro Cifo. Come a voler dettare una linea di continuità, lo stesso artista ha realizzato questi originali tovagliati bianchi dalla insolita superficie gommata, che svolgono una funzione “psicologica”: chi sceglie il menu Riflessi trova la tovaglia dal lato liscio, chi opta per il nuovo percorso Riflessioni, invece, mangia sulla stessa tovaglia, ma risvoltata dal lato ruvido. Come a dire: “Caro ospite, stai per vivere qualcosa di completamente nuovo e inatteso, lontano dalla comfort zone cui sei abituato”. Ogni stanza, secondo il progetto, si ispira a uno dei quattro elementi e immerge l’ospite in una realtà fatta di contrasti e di spazi che si inanellano, come in un rebus dal sapore rétro: acqua, luce, terra e aria appaiono elementi stridenti e dettagli inattesi per stimolare, allietare e sorprendere l’ospite durante i pasti. La location (e il valido personale di sala) non dimentica il lato ludico dell'esperienza gastronomica: una serie di carrellini colorati, declinati nelle nuance pastello, sono stati disegnati e realizzati ad hoc.
Contraste: il nuovo menu Riflessioni
Strachitunt, cavolo rosso e rafano
Una volta immersi in questa nuova realtà, preparatevi a vivere un’esperienza inedita. Perché Riflessioni è un percorso che crea ex novo sillogismi e connessioni. Tra elementi (forse solo apparentemente) lontani, tra sentori che vestono il desueto e lo sconosciuto. Un menu che testimonia la maturità di Perdomo, che si concentra dichiaratamente meno sulle apparenze e più sul concetto, andando alla ricerca dell’essenza e del gusto. E lo fa attraverso ingredienti accostati in maniera impensabile fino a pochi minuti prima di averli assaggiati e (ri)scoperti in nuovi connubi, ma che in realtà concorrono a ricercare e finalizzare un sapore definito: dall’amaro all’acido, alla rotondità del grasso.
Ecco allora Piselli, pomodoro, albicocca, borragine e ostrica, dove l’ostrica - appena tiepida - duetta con i legumi crudi, in un’originale inversione di ruoli e temperature, ma anche Fusillone, luppolo, pompelmo rosa, basilico (un basilico presentato sotto forma di semi essiccati e reidratati), che ricrea nel palato il sapore dell’amaro più puro. Ancora, Mandorla, avocado, lardo, un girotondo dal gusto opulento ed elegante allo stesso tempo, stemperato dalla nota acidula dei petali di cavoletti di Bruxelles. Incredibile, poi, Castagne, brodo di prosciutto e bottarga di tonno, una base vellutata che va a nozze con le proteine della terra e del mare.
Pane e Vino
L’aspetto visivo delle portate conserva una sua importanza, un suo equilibrio - che include l'uso di piatti artistici in ceramica e in gomma - ma assume nuovi significati. “Sono creazioni che non devono avere un impatto figurativo: stiamo lavorando sull’estetica intrinseca del piatto, ma non su qualcosa che sia a prescindere bello. Non è brutalismo, semplicemente è andare lontanissimo”, commenta lo chef. Tra le portate più significative, poi, c’è Pane e vino: una creazione che vuole cercare di “far mangiare" il vino alle persone. Come? In un calice si annusano le spezie che ricreano i terziari, ossia i sentori aromatici dell'invecchiamento di un Cabernet Franc della Loira (pepe, noce moscata, liquirizia, salvia e radice di genziana). Lo stesso vino viene versato in un altro calice. La parte gustativa? E' costituita da un impasto simile a quello del babà, inzuppato nel vino, decorato al tavolo con spuntoni colorati a base di mandorle, lamponi, peperoni, prugne umeboshi, salsa di olive essiccate.
Mandorle, lardo, avocado e cavolini di Bruxelles
“Questo menu è figlio di un lungo studio”, racconta lo chef. “Sei mesi di ricerca, che sono stati la ‘negazione’ di quello che abbiamo fatto prima, ossia togliere tutto ciò che c’era di estetico, per cercare di non plasmare la materia e manipolarla (per esempio andando a creare una finta cipolla o una finta fragola), ma lasciandola viva così com’è. Abbiamo cercato di uscire dal mood dell’effetto wow e di andare molto più lontano nella memoria del gusto”. Un vero e proprio esercizio in cui lo chef è riuscito. E lo ha fatto creando il futuro del gusto, ossia qualcosa che non esiste (o che probabilmente vive potenzialmente in nuce) attraverso una scoperta di abbinamenti e accostamenti, capaci di restituire al palato il concetto di un profumo e di un sapore. Si esce felici, con tante riflessioni che girano per la testa. E con una certezza: una nuova realtà si è schiusa all’orizzonte.