Eventi come FoodExp, il forum internazionale dell'enogastronomia e dell'ospitalità alberghiera ideato e organizzato a Lecce da Sinext di Giovanni Pizzolante, per addetti ai lavori e appassionati, sono l’occasione per incontrarsi e fare il punto sul mondo della gastronomia. Lo stato dell’arte si percepisce fuori e dentro il congresso, a tu per tu con i grandi protagonisti dell’ospitalità. Il tema dell’edizione 2023 della manifestazione, che si è tenuta il 12 e 13 aprile al Chiostro dei Domenicani, era molto stimolante: "Explorers - Audaci sfide | Originali visioni". Tanti i talk, gli show cooking e le masterclass che hanno coinvolto gli esploratori del gusto, ossia coloro che hanno affrontato una o più sfide professionali per far sentire la propria voce e uscire fuori dal coro, lontano dall’omologazione.
Scoprite che cosa è successo a FoodExp 2023 con i nostri highlights.
Explorers: audaci sfide, originali visioni nella gastronomia
FoodExp 2023 è entrato nel vivo del dibattito e del tema di questa sesta edizione con il primo talk, moderato da Carlo Passera. “Ma è vero che c’è omologazione nella cucina?”, ha chiesto il giornalista al parterre di chef ed esperti del settore presenti in sala: Manuela Fissore (International PR e sviluppo progetti Foodexp), Paolo Marchi (Identità Golose), Paolo Vizzari (gastronomo ed esperto di marketing territoriale), Yoji Tokuyoshi (chef della Bentoteca a Milano), Himanshu Saini (che di Trèsind Studio, una stella Michelin a Dubai), Davide Di Fabio (Dalla Gioconda, una stella Michelin e una stella verde a Gabicce Monte). “Io nelle nuove generazioni non ho visto tutta questa omologazione; è vero, ci sono periodi in cui alcuni ingredienti sono di tendenza, come il nasturzio in passato, oggi l’oxalis, per fare degli esempi, ma trovo che gli chef di nuova generazione difficilmente si copino l'un con l’altro: è qualcosa che è legato al passato, alle vecchie generazioni”, risponde Fissore. Per Paolo Marchi è una questione complessa: “Cosa si intende per omologazione? Proporre ciceri e tria a Torino, per esempio, significa rompere gli schemi. Oggi per si romperebbero gli schemi anche organizzando un festival del bollito e non del barbecue, che attualmente va per la maggiore”.
“La verità è che oggi siamo bulimici di informazioni, oggi ognuno deve provvedere a produrre contenuti quotidianamente; noi sappiamo grazie ai social tutto quello che cucinano anche gli chef dall’altra parte del mondo”, commenta Vizzari. Mentre gli chef Di Fabio e Tokuyoshi, entrambi con un trascorso al fianco di Massimo Bottura come sous-chef, hanno le idee chiare: se il primo sta cercando di avere un approccio sempre più etico al cibo - un tratto che contraddistingue, assieme alla sostenibilità, l’intero progetto di Dalla Gioconda -, il secondo da sempre propone qualcosa di unico in cucina. “Il cambiamento è iniziato nel 2020, in piena pandemia, quando la gente chiedeva il conto alle 20.00 e finivamo presto il servizio al ristorante. Poi è iniziato il lockdown e ho pensato di evolvere il progetto in Bentoteca, di fare qualcosa sulla cucina giapponese usando i prodotti italiani, che si trovano solo qui, dai capperi ai fiori di sakura sotto sale, al piccione con salsa sukiyaki”, racconta Tokuyoshi.
Saini di Trèsind Studio, chef di origini indiane, è arrivato a Dubai nel 2014, quando l’emirato ancora non aveva una grande fama per il food. Il suo approccio quale è stato? “Ci sono più indiani che mediorientali a Dubai, ma più che cercare la vera identità della cucina, all’epoca si cercavano ingredienti di lusso come caviale, tartufo e wagyu”, spiega. Ora a Dubai la cucina sta cambiando un po’, come racconta, e lui stesso ha smesso di usare questi ingredienti di “lusso” che caratterizzano l’approccio ai fornelli nell’emirato arabo. “Non è vero che non ci siano prodotti locali: per esempio, c’è il tartufo che viene raccolto nel deserto che sa di carciofo e castagna, ma esistono anche delle fattorie molto interessanti e ingredienti che non ti aspetti”. Quando si ha una propria identità, e si segue una propria strada, è difficile omologarsi e risultare poco “originali”.
S.Pellegrino Young Chef Academy: la sfida del futuro
A proposito di sfide e di audacia, un intero talk ha visto protagonisti gli attori di S. Pellegrino Young Chef Academy, tra giovani chef e mentori. L’incontro, dal titolo S. Pellegrino Young Chef Academy: la sfida del futuro, ha visto riuniti sul palco Antonio Zaccardi (Pashà, una stella Michelin a Conversano, mentor di Andrea Borroni), Andrea Borroni (Pashà, finalista alla Regional Final S. Pellegrino Young Chef Academy), Vincenzo Dinatale (chef di Ognissanti a Trani, mentore di Maria Chiara Brannetti), Elisa Pozzi (Events & Sponsorship Manager di S.Pellegrino). Il talk ha raccontato, attraverso il confronto tra punti di vista diversi, la realtà di Spyca: che cosa significa affrontare il tema della sfida professionale e del mettersi in gioco, come vivere l’avventura della competition, sfida professionale per eccellenza. Il talk è partito da Pozzi, che ha spiegato come S.Pellegrino sia stata pionieristica: la prima a scommettere, in tempi non sospetti, sul tema dei giovani chef. “Senza dubbio è un’iniziativa nata anche con l’idea di “restituire” qualcosa ai ristoratori, a coloro che dedicano la vita al settore della gastronomia”, ha raccontato. In piena pandemia, poi, c’è stata un’evoluzione del progetto, con la nascita della Academy: “Vuole essere una community utile ai giovani chef, ma ancora più sfidante è far prendere vita a questa realtà: far sì che i membri siano attivi nell’ambito dell’Academy non è semplice, anche per far sfruttare tutte le sue potenzialità”. Altro aspetto importante è il networking tra chef: “La finale regionale di quest’anno è stata la prima occasione per unire tutti i membri dell’Academy italiani, dopo la pandemia: è stato un bel momento”, spiega Pozzi, a proposito del piacere ritrovato di confrontarsi di persona.
Zaccardi e Borroni hanno raccontato la loro esperienza - rispettivamente come concorrente e mentore. “Abbiamo dedicato molto lavoro alla preparazione del signature dish per la competition, con tante prove per mettere a punto la versione definitiva, lo abbiamo fatto provare anche ai nostri clienti: perché il piatto, oltre che bello, deve essere prima di tutto buono”. Il clima tra concorrenti? “Con qualcuno ci si è molto confrontati, con altri meno, è una questione caratteriale”, spiega Borroni. Infine Dinatale ha raccontato la sua esperienza come concorrente prima e come mentore poi. “Senza dubbio l’ho vissuta meglio da concorrente, ma poi aumenta la consapevolezza e la voglia di partecipare comunque al concorso, che rappresenta un’opportunità incredibile: dopo la mia partecipazione le cose sono cambiate, ho avuto diverse proposte di lavoro, sono stato assunto come chef prima a Parma, poi a Trani: devo molto a Spyca”. Anche Zaccardi ribadisce l’importanza di un’iniziativa come questa. “Questa competition, e in in generale l’Academy, danno la possibilità ai giovani chef di fare cose che quelli della mia generazione hanno fatto in 20 anni: è una bellissima opportunità e credo che parteciperò ancora come mentore”, ha conluso.
L’accoglienza al femminile da Copenaghen a Gabicce Monte
Molto interessante ed emozionante l’intervento tutto al femminile condotto da Barbara Politi The Fork. Identikit del cliente contemporaneo, che ha coinvolto Giulia Caffiero (sommelier e floor manager di Geranium, tre stelle Michelin a Michelin Copenaghen, numero uno al mondo per The World’s 50 Best Restaurants), Lucia De Luca (Terra, stella Michelin green a Copenaghen), Allegra Tirotti Romanoff (Dalla Gioconda a Gabicce Monte) e Valentina Quattro (The Fork Industry Relations Director Italy & Spain). Dopo un’analisi di dati forniti da The Fork, che vede l’Italia in testa tra i paesi europei per l’uso della app, ecco che tutte si sono confrontate sull’approccio della sala, sulla tipologia di clienti, su come cambiano da paese a paese. “Sono pochi i clienti italiani del Geranium, ma sono quelli più giocherelloni, con gli asiatici ho avuto più difficoltà, perché mantengono molto le distanze, mentre i californiani, per esempio, sono molto di compagnia, sono molto comunicativi, cambia tanto il mood in base alla provenienza degli italiani, spesso è gente che viaggia a scopo gastronomico e fa tappa al Geranium”, spiega Caffiero. “Noi abbiamo tantissimi turisti italiani, almeno un tavolo a settimana è occupato da italiani che vengono a Copenaghen per fare il classico giro al Geranium, al Noma, all'Alchemist, e anche per noi; l’empatia è l’arma per gestire la sala”, racconta De Luca.
Qual è invece l’identikit degli italiani che lavorano negli stellati di Copenaghen? Qual è stata la grande spinta ad andare fuori? “E’ nel nostro dna sapere accogliere, siamo tutti cresciuti davanti a del buon cibo: alla fine ognuno trova la sua strada, in base alla propria esperienza e propri studi, gli italiani hanno sempre una marcia in più”, risponde De Luca. “Un quarto della sala è italiana al Geranium, tra l’altro in Italia siamo abituati a lavorare sull’emergenza, e quindi male, mentre all’estero quelli che si presentano come ‘problemi’ in realtà non lo sono per noi: gli italiani, forse proprio per questo, sono molto più elastici mentalmente”, aggiunge Caffiero. Qual è l’identikit del cliente tipo del ristorante Dalla Gioconda, invece? “C’è il curioso che vuole scoprire la cucina di Davide Di Fabio, ma anche chi vuole scoprire la struttura, completamente sostenibile”, risponde Tirotti Romanoff, con la consapevolezza che l’accoglienza è (quasi) tutto in un ristorante. “Con il contatto umano si può capire molto, si può anche rimediare, si può dimostrare di essere attenti ai bisogni del cliente”.
Bere analcolico: una sfida, da tendenza a esigenza
Quest’anno a FoodExp il bere miscelato è stato protagonista, grazie anche al coordinamento di Domenico Carella, fuoriclasse della mixology alla regia di Carico a Milano, che ha all’attivo molte consulenze stellate. Di grande attualità la masterclass Bibite Sanpellegrino: tra creatività e accostamenti gourmet, le sfide della miscelazione analcolica, che ha tenuto Edoardo Sandri, head bartender presso Atrium Bar al Four Seasons Hotel di Firenze, nominato Miglior bartender 2022 ai Bar Awards, cresciuto professionalmente in un punto di riferimento per l'ospitalità italiana come il Four Seasons. Il bartender ha spiegato come i cocktail alcol free siano sempre più richiesti dal pubblico italiano e non solo, soprattutto dalle generazioni più giovani, sempre più attente a un approccio consapevole in termini di mixology, con riferimento a movimenti come il Sober Curiosity, che stimola a mantenere stili di vita salutari, in quel filone di iniziative come Dry January, il mese senza alcol.
Come ha spiegato, i cocktail low e no alcol sono un’esigenza, un trend, ma anche una sfida per i bartender. Oggi, infatti, è più facile trovare uno studio accurato dei drink analcolici, ribattezzati anche mocktail. Così, Sandri ha preparato e presentato tre cocktail inediti alcol free: i primi due creati ad hoc per l’occasione, il terzo mostrato in anteprima, perché appartenente alla nuova drink list di Atrium Bar che verrà presentata il 18 aprile, in occasione della Florence Cocktail Week. Ecco allora lo SmoChinò, con smoky water (acqua distillata di salsa barbecue home made con alambicco), Chinò Sanpellegrino e un garnish di menta fresca: un long drink dalla nota affumicata e dolce, data della salsa barbecue, perfetto come after dinner. Poi, il Milky Tonic: un long drink versatile e delicato, perfetto in ogni momento della giornata, a base di earl grey tea chiarificato con mango fresco (purea), un milk ottenuto mettendo a cagliare il latte con il limone e Tonica Rovere Sanpellegrino. Il risultato? Un cocktail originale e beverino, dalla consistenza densa. Infine Il Solito, preparato con un vermut analcolico, cordiale di lampone e menta preparato in casa e top di Ginger Beer Sanpellegrino. Un long drink di carattere e, allo stesso tempo, dalla facile beva, che è stato molto apprezzato dal pubblico in sala.
Dalla sostenibilità più autentica di Tèrra alla visione creativa di Bros
Le nuove generazioni di chef a confronto offrono sempre gli spunti più interessanti di riflessione a FoodExp. Un intervento molto bello ed emozionante è stato quello di Valerio Serino e Lucia De Luca, i due giovani italiani alla regia di Tèrra, stella verde a Copenaghen: “Gesti Vegetali” – Gesti e racconti inconsueti per dare voce ad elementi spesso messi in secondo piano. Lei in sala e lui in cucina, hanno raccontato le loro sfide personali: cambiare percorso professionale e dedicarsi alla gastronomia, trasferirsi a Copenaghen, aprire senza investitori un ristorante in Danimarca e scommettere su una cucina autenticamente sostenibile, senza compromessi. Un approccio, il loro, che li porta a valorizzare ingredienti normalmente usati come “side dish” e a usarli come protagonisti, o a utilizzare parti di ingredienti che altrimenti verrebbero scartate. Il risultato è una cucina godibile, circolare, elegante e autenticamente green. In sala Serino ha preparato uno dei suoi piatti più iconici, il Tacco di sedano rapa, ottenuto alternando due sfoglie di sedano rapa, una fritta e croccante, l'altra sottile e cruda: un unico ingrediente, normalmente poco valorizzato, usato in maniera intelligente e golosa.
A conclusione di FoodExp 2023, l'intervento di Floriano Pellegrino di Bros, una stella Michelin a Lecce. Lo chef ha raccontato come è evoluto il progetto di Bros, ristorante che sin dall'inizio ha puntato sull'immagine coordinata e su una comunicazione fuori dagli schemi, portando in Salento il fine dining e l'avanguardia. Il linguaggio della trap, le provocazioni, il recupero delle radici salentine ma allo stesso tempo la dimensione e il respiro internazionale sono solo alcuni dei fattori che hanno creato il fenomeno Bros, concepito come un vero e proprio marchio: un brand che identifica immediatamente uno stile e un processo creativo. "Molto importante per arrivare a creare i nostri piatti", racconta Pellegrino, che annuncia l'intenzione di trovare una nuova location per il suo ristorante. Un trasloco che comporterà sooo un cambio di location, sempre a Lecce.