Di origini napoletane, ma adottata dalle Marche, Danila Ercole è la pizzaiola alla regia di Cavò Lieviti e Distillati a Senigallia. Un locale dalla duplice anima, molto amato, che in poco tempo ha conquistato il cuore dei marchigiani, con la formula pizza e cocktail. Assieme a lei, in questa avventura iniziata cinque anni fa, c’è il bartender Max Frezza, suo compagno nella vita e nel lavoro. “Oggi il pairing drink e lievitati è un format comune e diffuso, ma allora rappresentava una proposta del tutto innovativa per questa cittadina”, racconta la pizzaiola.
L’idea? “Invece di aprire due attività diverse, abbiamo unito le forze e ci siamo lanciati in una formula che a Milano funzionava bene. Volevamo creare un locale che non fosse solo la classica pizzeria, ma un punto di ritrovo dove fermarsi anche per un aperitivo: siamo in via Carducci, il cosiddetto ‘salottino di Senigallia’, una strada meravigliosa”. Figlia d’arte, Danila si destreggia tra pizze di ricerca a “6 spicchi” e pizze classiche, che rifanno alla tradizione. “L’esperienza al fianco della mia famiglia mi è servita per continuare la mia strada al Cavò, che è il riassunto perfetto di ciò che sono: la tradizione e la sua evoluzione, con innovazione di impasti, tecniche, prodotti all’80% della zona, che arrivano dal piccolo contadino o dal piccolo commerciante, dal macellaio del centro di Senigallia e dal produttore locale”.
L’estate è alle porte e, per chi ha in programma di fare tappa nella riviera marchigiana, questo è un indirizzo da non perdere. Curiosi di scoprire di più su Cavò Lieviti e Distillati e sulla sua pizzaiola? Ecco tutto quello che dovete sapere nella nostra intervista a Danila Ercole.
Danila, come ha iniziato?
Rappresento la quarta generazione di pizzaioli, mio padre è nel settore da oltre cinquant’anni, quindi sono nata con le mani in pasta. Ho sempre lavorato con la mia famiglia: il mio destino forse era segnato, anche se progettavo tutt’altro per il mio futuro. Finché non è capitato di dover dare una mano a mio fratello, che aveva una pizzeria a Marotta: il pizzaiolo si infortunò ad agosto, nel pieno della stagione. Avevo 27 anni e, da un giorno all’altro, mi ritrovai a fare la pizzaiola. Non avevo mai steso una pizza e mi venne naturale: da sola mi trovai a gestire il forno a legna, gli impasti, con mio fratello al telefono che mi dava le indicazioni. Così è nata la mia passione: mi misi a studiare e mi accorsi che dietro questo lavoro c’è un mondo, a partire dalle farine, che è tutto in evoluzione. Già 14 anni fa si parlava di impasti diversi, avevo la curiosità di scoprire nuove tecniche, di fare esperimenti. Ho seguito quindi dei corsi con dei professionisti, per “rubare il mestiere”, a partire da mio padre, che tuttora ha una pizzeria a Senigallia, dove si fanno lievitati in stile tradizionale, di ispirazione napoletana, con forno a legna. Siamo quattro fratelli, tutti con pizzerie: io ho trovato la mia strada, prima lavorando da mia sorella, dove si faceva la pizza in stile napoletano, è stata una bella scuola.
A proposito, ci racconta qualcosa di più sui suoi impasti e sulle sue pizze?
Cavò è una parola francese che ho italianizzato nella grafia: indica la stanza blindata della banca, ma un tempo era la stanza segreta dei contadini, dove venivano messe tutte le cose più importanti della famiglia, tra cui i manuali di ricette antiche. Ed è quello che ho voluto riassumere nel mio locale: in menu, oltre alla parte dedicata alle pizze classiche della tradizione, che non voglio stravolgere, c’è tutta una sezione dedicata alle pizze di ricerca, preparate con farine diverse. Spazio dal Senatore Cappelli al farro monococco, alla farina marchigiana di mais di Roccacontrada (il mais è presente al 30% circa, io faccio un gel e lo introduco in un preimpasto che lascio maturare per 24 ore, poi spolvero la pizza con farina di mais, che lascia una patina croccantina e il profumo quasi dei pop corn). Consiglio sempre l’impasto da scegliere in base al topping. In menu le pizze sono divise fra 12 “tradizionali” e 10 “6 spicchi”, le declinazioni più innovative, che riprendono le ricette della tradizione marchigiana e italiana. Per le “tradizionali” uso lievito di birra, faccio un impasto diretto a lunga maturazione, che lascio riposare dalle 24 alle 48 ore massimo nel frigo, a temperatura controllata. Per le “6 spicchi”, invece, uso il lievito madre che ho ereditato dal signor Guerino, panificatore storico di Senigallia, che è il nonno di Mattia Casabianca, pastry chef di Uliassi. Hanno una doppia cottura le “6 spicchi”, e questo mi consente di cuocere la pizza nel momento giusto della maturazione.
Pizza e cocktail: come è stato accolto questo connubio nelle Marche?
Cinque anni fa, all’inizio della nostra avventura al Cavò, qualcuno ha detto “ma cosa pensano, di essere a Milano?”. Perché il pairing pizza e cocktail è nato lì… Poi, però, dopo che abbiamo aperto e avviato il locale, abbiamo avuto un bel successo. E questo è accaduto nonostante le nostre pizze potessero avere anche il costo di un piatto di un ristorante importante, dal momento che erano realizzate con prodotti di eccellenza. Ci siamo trovati a proporre al pubblico di Senigallia un prodotto popolare come la pizza, che in genere costava al massimo 10 euro, al doppio. La gente, però, si sedeva e ordinava, e ancora oggi il 30-40% dei clienti abbina la pizza ai cocktail: per noi questa è una grande soddisfazione. Molti abbinano anche bottiglie importanti ai lievitati: si è creato un bell’ambiente, non chic ma spartano, il locale è un punto di ritrovo, anche per le famiglie. Da noi vengono tutti, sia per bere un cocktail sia per condividere una pizza, e magari per bere uno Champagne… La più grande soddisfazione è stata vedere che, dalle 17.00 a mezzanotte, la gente non guardava più i prezzi, ma andava via felice e diceva “la pizza vale il costo, ci sono sopra prodotti freschissimi come il tonno o i gamberi rossi di Mazara del vallo”.
Tre pizze iconiche da assaggiare, che rappresentano il passato, il presente e il futuro?
La Vodka e Gamberetti, perché fa parte della mia storia personale: riprende un primo piatto inventato da mio padre nel 1983, ricordo che quando preparava questo sugo il profumo inebriava tutto il quartiere. La salsa è a base di scampi cotti a bassa temperatura, sfumati alla vodka, con prezzemolo fresco in stile anni ‘80, crema di latte che dà freschezza e un tocco di delicatezza in più. Per il presente scelgo la Salsiccia al verde, che sarebbe una pizza con salsiccia presa dalle macellerie di zona storiche (Furcinon e Mencarelli), abbinata ai friggitelli fritti, con l’aggiunta di scaglie di pecorino e cicorietta, salsa di chimichurri. Il futuro invece è la Vegan style, fatta con farina di mais marchigiano, che farciamo con crema di cicerchia, un legume marchigiano antico, cicoria selvatica, una salsina di carote e una scapece di topinambur: fa parte della parte della collezione “6 spicchi”, il lato gourmet e sperimentale del menu.
Senigallia è uno scrigno di eccellenze gastronomiche: perché secondo lei si è sviluppata così tanto da questo punto di vista?
Chiunque viene dice che Senigallia è una città fortunata, anche i personaggi famosi che passano di qui. Sicuramente ci sono due figure importanti, che sono l’emblema di ciò: gli chef Mauro uliassi e Moreno Cedroni, che hanno dato lustro alla cittadina. Poi, però, sulla scia di questi grandi uomini tutti si sono approssimati, si sono ispirati, quindi si mangia bene in generale qui. Uliassi e Cedroni (rispettivamente alla regia del ristorante Uliassi, tre stelle Michelin, e della Madonnina del Pescatore, due stelle Michelin, ndr) hanno riportato in auge Senigallia. Qui abbiamo tutto dal punto di vista agroalimentare: formaggi, olio, i prodotti del mare e della terra, che portano i contadini dalla vicina campagna. La spinta che hanno dato questi personaggi ha coinvolto anche il mondo della pizza, in particolare la pizza cosiddetta “gourmet", di ricerca, che qui ha seguito l’evoluzione dell’alta cucina.
Progetti futuri e/o novità in arrivo?
Migliorare sempre: vorrei riuscire ad aprire un piccolo laboratorio dove lavorare al meglio, in maniera separata dal locale, con la temperatura giusta e gli spazi adeguati. Inoltre, vorrei prendere un orto assieme a un gruppo di ragazzi, per auto produrre le verdure da usare come topping sulle pizze. Per quanto riguarda la carne, noi abbiamo già chi ci fornisce un buon prodotto del territorio, ma per i vegetali non c’è mai il riferimento giusto. Ecco perché creare un orto tutto mio per produrre i vegetali che uso nel locale è un’idea che ho già in testa da un po’. L’unica difficoltà sarà trovare dei ragazzi che abbiamo voglia di prendersi l'impegno.
A proposito di ragazzi, quale consiglio darebbe ai giovani che si approcciano al mondo della pizza?
I giovani che vogliono fare i pizzaioli oggi pensano che dopo un corso si riesca subito a fare tutto, anche il lievitato più sperimentale. È importante partire sempre dalla base, dalla tradizione, e poi la pizza, come la cucina, può prendere strade meravigliose, ma quando si hanno delle buone basi e si sa lavorare una pizza in modo tradizionale, allora si è già a buon punto e bisogna partire da lì. Non si può diventare Simone Padoan o Renato Bosco dopo un corso: bisogna lasciarsi affascinare dalla tradizione, per avere le basi giuste e affrontare quel tipo di produzione e di ricerca.