“Il futuro del lusso sarà la qualità del cibo”. Basterebbero queste parole di Alfonso Iaccarino per sintetizzare cinquant’anni di Don Alfonso 1890 e comprendere la filosofia che da sempre anima questo storico indirizzo, diventato negli anni un vero cult della Penisola Sorrentina. Entrare in contatto con la famiglia Iaccarino è un’esperienza che fa toccare con mano la quintessenza dell’ospitalità italiana. Dal 1973 è alla guida di questo accogliente boutique hotel con ristorante, già illuminato dalle stelle della Guida Michelin. Una vera istituzione, che è riuscita a richiamare l’attenzione internazionale su un piccolo angolo di mondo immerso nella rigogliosa natura campana, a Sant’Agata sui due Golfi.
In questa frazione di Massa Lubrense che guarda emblematicamente verso Napoli da un lato e verso il mare di Salerno dall’altro, la rivoluzione è iniziata quando, in tempi non sospetti, trent’anni fa, i fondatori Livia e Alfonso Iaccarino hanno deciso di acquistare un terreno nella vicina Punta Campanella e creare un’azienda agricola biologica, Le Peracciole, per l'autoproduzione di frutta e verdura, con tanto di limonaia e pollaio, da cui ancora oggi arrivano tutti i giorni le uova fresche. Circa otto ettari nella parte più impervia di Punta Campanella, dove la coltivazione è eroica, tra terrazze, discese e salite. Ma qui, se fosse necessario dirlo, la fatica è ripagata da una vista senza eguali, da un incredibile affaccio sul blu e sull’isola di Capri, che appare sempre più vicina, man mano che ci si inoltra nella tenuta e si discende verso la scogliera.
La famiglia Iaccarino: Alfonso e Livia con i figli Mario ed Ernesto
Da alcune settimane, Don Alfonso 1890 ha riaperto, dopo una chiusura che ha portato a un restyling degli spazi, ma soprattutto a una virata totale verso la sostenibilità. Ecco allora un meraviglioso patio al posto del parcheggio, ma anche importanti interventi nella tenuta: l’introduzione di un innovativo sistema di domotica, che consentirà di evitare sprechi idrici ed energetici, la progettazione di un impianto per il recupero delle acque meteoriche e delle acque reflue, che verranno depurate per poter essere impiegate per l’irrigazione, l’installazione di pannelli fotovoltaici e l'idea di trasformare i rifiuti organici in bio-carburante e in fertilizzante liquido.
La sala di Don Alfonso 1890 fresca di restyling
In occasione della riapertura dello storico indirizzo, abbiamo intervistato lo chef Ernesto Iaccarino, che assieme al fratello Mario, ineccepibile maestro di accoglienza, porta avanti una storia familiare, ma anche un credo destinato a lasciare il segno: un’eredità fatta di materie prime autoprodotte, sapori genuini e ingredienti bio a chilometro zero. Il tutto proposto in un contesto familiare, raffinato e impeccabile, dove nulla è lasciato al caso. Insomma, il vero lusso.
Ecco che cosa ha raccontato Ernesto Iaccarino a Fine Dining Lovers.
Com’è cambiata l’ospitalità in questi cinquant’anni: il pubblico della Penisola Sorrentina è sempre lo stesso?
È cambiato tantissimo: 30-40 anni fa, questa era una zona frequentata da tedeschi, inglesi, francesi e tanti americani; negli ultimi anni, invece, sono arrivati molti ospiti cinesi, coreani e giapponesi, ma anche brasiliani e sudamericani. Si sono decisamente allargati i confini: la nuova frontiera è l’Africa, abbiamo addirittura avuto tavoli di famiglie nigeriane, mai viste negli anni passati. Siamo uno dei ristoranti più amati d’Italia, forse perché gestiamo uno dei gruppi con più locali all’estero. Questo significa che chi viene dall’altra parte del globo si innamora e ti dà la possibilità di aprire nel proprio Paese. Proponiamo del cibo (e una cucina) che piace in tutto il mondo, anche se cambia. Questa è una destination, la gente non viene qui per caso o perché si trova in un centro molto noto come Sorrento o Positano. Spesso conta il passaparola: la nostra forza sono proprio i clienti.
Riapertura green: scelta di campo o necessità?
Noi pensiamo che questo pianeta non abbia altri cinquant'anni: nasce 4 miliardi e mezzo di anni fa, l’uomo per due milioni e mezzo di anni è stato raccoglitore e cacciatore, ma, negli ultimi anni, abbiamo dovuto sfamare il doppio delle bocche, perché siamo passati a quasi 8 miliardi di persone. L’industria e la chimica sono entrate in gioco, ma penso che oggi la nuova generazione dovrebbe prendere coscienza e limitare i danni dell’uomo a discapito del pianeta. Dalla decimazione delle api alla proliferazione delle alghe in acqua, dalle specie invasive al buco dell’ozono: sono talmente tanti i danni, che diventa necessaria una presa di coscienza immediata e forte. In maniera quasi provocatoria, dunque, abbiamo deciso di chiudere la struttura per un anno, per fare i lavori. Ci siamo detti: noi vogliamo provare a ragionare, a prenderci del tempo per riprogrammare tutti i processi produttivi, in modo da trasformare la nostra attività nell'azienda più green possibile. Non è permesso a tutti chiudere un anno, però credo sia importante fermarsi almeno a pensare come migliorare, come impattare il meno possibile sul pianeta.
Ricciola Affumicata, uno dei nuovi piatti di Don Alfonso 1890
Se dovesse indicare tre piatti che rappresentano, rispettivamente, il passato, il presente e il futuro di Don Alfonso 1890?
La premessa è che oggi in carta ci sono tutti i piatti che rappresentano il presente e il futuro. Per il passato scelgo senza dubbio il Vesuvio di Rigatoni, mentre per il presente e per il futuro potrei optare per una portata come lo Spaghetto con aglio, olio, peperoncino e sgombro in carpione che viene cotto a bassa temperatura: un piatto popolare a cui si applica tanta tecnica. La nostra cucina è sempre stata d’avanguardia, nel senso che si è sempre basata sulla cosiddetta dieta mediterranea: pesce azzurro, carboidrati, erbe, olio extravergine d’oliva… c’è tutto.
Il 50% dei piatti presenti nell’attuale carta sono nuovi: c’è un filo conduttore che vi ha ispirato per il menu?
La novità più importante è stata l’introduzione di un intero menu vegetariano, per dare a tutti la possibilità di degustare le verdure, partendo da prodotti come la melanzana, l’asparago, la zucchina: diventa una sfida, ma è molto divertente.
Sono tanti gli chef, oggi affermati, che sono passati di qui: Don Alfonso 1890 ha fatto scuola. Quali sono i princìpi che amate trasmettere ai giovani?
Sono stato presidente dei Jeunes Restaurateurs d’Europe Italia per tre anni: in occasione del cinquantenario dell’associazione a Parigi, ho creato un manifesto, un documento per raccogliere la carta dei nostri prodotti. Ho chiesto espressamente di valorizzare l’artigianato locale, in tutte le regioni d’Europa. Compito dello chef, infatti, è anche la tutela degli artigiani e della biodiversità all’interno dei propri territori: è importante partire dalla tradizione, ma non con gli occhi chiusi, perché la tradizione di oggi è una fotografia istantanea del momento. Il pomodoro arriva dal continente americano, gli struffoli arrivano dalla Magna Grecia: la cucina è sempre stata evoluzione e contaminazione, nelle tecniche e nei prodotti. Un ingrediente può arrivare in Italia e trovare un’interpretazione eccellente, proprio come è successo con il pomodoro o con la patata. Un altro punto imprescindibile è la sostenibilità: un messaggio che abbiamo fatto passare in Europa, in maniera forte e chiara. Sono valori che applichiamo a tutte le nostre attività di famiglia. Per esempio, quando abbiamo aperto un ristorante a Toronto, qualche anno fa, ho chiesto al resident chef di trascorrere un mese in Canada per trovare i prodotti di eccellenza locali.
Il giardino esterno di Don Alfonso 1890
Siete conosciuti in tutto il mondo per il vostro modello di ospitalità. Qual è stata la difficoltà più grande e la soddisfazione più importante?
Quando sono rientrato in azienda, nel 1999, avevo un sogno: aprire un ristorante all’estero e avere successo (all’epoca neanche Gualtiero Marchesi era riuscito in una tale impresa). Poi è successo che, negli anni, abbiamo aperto locali in tutti i continenti - da quasi venti, per esempio, siamo in Cina: questa la soddisfazione più grande, assieme al ritorno dei clienti qui, ogni anno, per venirti a trovare da ogni dove, magari portando i figli o i genitori. Il contatto con gli ospiti è impagabile. La difficoltà? Forse il fatto che il ristorante Don Alfonso 1890 non sia stato capito al 100% dalla critica gastronomica: si è parlato di avanguardia per alcune aziende e meno per la nostra, che invece trent’anni fa ha scommesso su un orto biologico, che oggi hanno in tanti, e oggi punta alla sostenibilità totale. Ci vuole profondità di pensiero: spesso si è parlato di avanguardia per chi ha copiato Ferran Adrià, arrivando 7-8 anni dopo di lui, e non per chi ha avuto una visione sul Mediterraneo, sulla salute delle persone, sul rispetto dei prodotti e sui valori della cucina. Quando il ristorante è pieno e la gente è contenta, in realtà, significa che stai lavorando bene.
Don Alfonso 1890 significa cura dei dettagli e gestione familiare: è questo il vero lusso?
Penso che il vero lusso stia proprio nella semplicità dei gesti, di un papà come il mio che va in un’azienda agricola tutti i giorni e ti porta in cucina delle materie prime straordinarie. La tensione alla perfezione è dentro di sé: si sta attenti ai dettagli, come abbiamo fatto per il nostro restyling, dalla sedia che riprende la nuance giusta in sala (l’iconico rosa ciclamino, firma di Don Alfonso, ndr) all’uso dei diversi colori nelle camere da parte dell’architetto… Curare i dettagli è un lavoro a 360 gradi, che include anche la gestione del personale: in sala oggi abbiamo una nuova brigata molto giovane ed entusiasta, proveniente da tutta Italia.
Come immagina i prossimi cinquant'anni del Don Alfonso 1890?
La cucina, da sempre, è figlia della contaminazione e di un'evoluzione continua: oggi, per esempio, a Punta Campanella crescono le banane per il caldo, mentre temo molto per i pomodori, perché c’è poca acqua. La prossima generazione è la quinta: ci auguriamo che tra i nostri figli ci sia qualcuno che porterà avanti l'attività di famiglia.
Tutte le foto courtesy Don Alfonso 1890