A Napoli, da poche settimane, ha aperto Sustanza, il ristorante fine dining che mancava: è quello di Marco Ambrosino, lo chef che si è fatto conoscere (e amare) nella cucina di 28 Posti a Milano, che ha guidato per nove anni. Originario di Procida, all’inizio dell’anno ha deciso di tornare al Sud e di riavvicinarsi a casa, sposando un progetto che sembra cucito addosso a lui, capace di fondere cucina, ricerca e cultura: la riqualificazione di uno spazio all’interno della Galleria Principe di Napoli, in pieno centro, in precedenza sede degli uffici della Tesoreria del Comune. Qui in passato sorgeva il caffè chantant Scotto-Jonno, dal nome dell'imprenditore che lo fondò nel 1883 e che il caso (o forse il destino) vuole fosse originario proprio di Procida, come lo chef.
Oggi lo spazio, che si sviluppa su due piani, è rinato dopo un periodo d'abbandono: se in primavera ha aperto ScottoJonno, un caffè letterario contemporaneo, con bistrot, cocktail bar - i drink sono di un altro pezzo da novanta, Dom Carella - e una biblioteca diffusa di oltre mille volumi, l’estate ha dato i natali a Sustanza, l’attesissimo ristorante fine dining del primo piano. Qui Ambrosino regala il massimo di sé, sorprende, conquista ed emoziona, andando a toccare le corde del nostro patrimonio genetico, con gusto inedito, istinto mediterraneo e intelligenza naturale. Il menu? “Non ho pensato a un’impostazione ragionata sul pubblico partenopeo”, racconta. “Ho pensato solo a fare la mia cucina, a creare qualcosa di fortemente identitario, in cui mi riconosco”. Siamo stati da Sustanza a pochi giorni dall’apertura, ecco com’è il nuovo ristorante fine dining di Marco Ambrosino a Napoli.
Sustanza a Napoli: la location e il progetto
Foto Letizia Cigliutti
Lo spazio è rinato grazie a un bando del Comune vinto da Luca Iannuzzi, noto imprenditore napoletano che ha trasformato il volto di questo emblematico luogo cittadino. Il progetto architettonico porta la sua firma assieme a quella di Eugenio Tibaldi, artista di Alba, che ha vissuto per tanto tempo a Napoli. "I due sono molto amici e da tempo sognavano di dare vita a una realtà di questo tipo", racconta Stefano Petrillo, che ci accoglie in sala, guidando il percorso con competenza e scegliendo vini molto interessanti (e mai scontati) in abbinamento al nostro menu.
Siamo in pieno centro, di fronte al Museo Archeologico di Napoli e poco distante da altri due luoghi importanti della città, il Teatro Bellini e l’Accademia delle Belle Arti. In questo spettacolare spazio di circa 600 metri quadrati all’interno della Galleria Principe di Napoli, con due piani e due cucine, biblioteca, bistrot, cocktail bar e ristorante fine dining, si viene accolti da un mood rétro che strizza l’occhio allo stile Liberty e che si rifà proprio ai moduli e agli stilemi della Belle Époque, il periodo in cui, qui, era attivo il caffè chantant Scotto-Jonno.
Foto Letizia Cigliutti
Ecco allora libellule, simbolo di rinascita come augurio per questo luogo, motivi floreali, dettagli dorati, tavoli e sedute che riprendono le linee e lo stile Art Nouveau in chiave moderna. Le pareti, elegantemente colorate, con un tocco eccentrico e raffinato allo stesso tempo, sono rivestite dei pregiati tessuti di San Leucio, il borgo di Caserta dove la tradizione dei filati di seta risale al tempo di Ferdinando IV di Borbone. All’ingresso, si viene accolti dallo scenografico bancone del bar con lampade Liberty, oltre a divani e poltrone. Poi, un tripudio di colori, tessuti cangianti, librerie, volumi antichi e non solo - i libri arrivano in parte da donazioni e in parte dall’editore napoletano Guida, ma c’è anche l’angolo del book crossing.
Foto Letizia Cigliutti
Sino a salire al primo piano, dove la cucina a vista di Sustanza dà il benvenuto allo spazio dedicato al fine dining. Quindi ci si addentra nelle due sale del ristorante che si sviluppano in successione e si aprono alla storia come in un romanzo ottocentesco. Basterebbe fare un giro in questo luogo magico, di recupero culturale, per rivivere le atmosfere della Napoli che si accingeva a salutare il XIX secolo. Basterebbe questo per vivere un’esperienza inedita e immergersi totalmente nel mood di questo nuovo avamposto gastronomico-culturale. Eppure, a rendere speciale l’esperienza, interviene fortemente la cucina di Marco Ambrosino, le sue scelte e la sua personalissima narrazione del Mediterraneo.
Sustanza a Napoli: il menu
Foto Letizia Cigliutti
Il menu, che è stato illustrato dallo chef, si sfoglia piacevolmente e introduce il percorso gastronomico con un “manifesto alla creolità mediterranea”, alla libertà di fare “un surreale giro del Mediterraneo, tra conosciuto e sconosciuto come base di future memorie”. Così, “fuori dal vincolo delle origini”, Ambrosino - che, non dimentichiamo, è il fondatore del Collettivo Mediterraneo e si fa perfetto portavoce del concetto di cibo inteso come cultura, gesto sociale e atto politico - trasporta l'ospite nel suo nobile mondo di tecnica non ostentata, di sapere tramandato, di empatia con l’eco-sistema e di consapevolezza antropologica. La magia della cucina, però, si compie, perché tutto avviene in maniera naturale e apparentemente semplice, con piatti che trasmettono gusto ed emozione. Per scoprire Sustanza, è possibile affidarsi a tre percorsi degustazione: 5 portate (80 euro), 8 portate (110 euro), 10 portate (140 euro). Interessanti anche i percorsi al calice: vini di resistenza (5 calici, 60 euro), vini di slancio (5 calici, 60 euro). Oppure, si può attingere dalla “piccola carta” e scegliere le singole portate desiderate.
“Niente cioccolato e niente formaggio qui”, ricorda lo chef, che per scelta esclude questi ingredienti con cui il gioco sarebbe troppo facile, tra dolcezza e sapidità immediate. “Credo molto nel valore aggiunto della tecnica e della visione personale dello chef, della sua cucina, aldilà del prodotto”, spiega. Il servizio comincia con danubio, flan al prezzemolo, macaron salato ed erbette fresche, per poi proseguire con un Consommé aromatico, servito al tavolo con pickles, verdura leggermente sbollentata, in fermentazione, e il brodo della verdura stessa. Il pane a base di farina di tumminia viene servito con un burro dal sapore intenso, per metà affumicato e per metà fermentato, rivestito di polvere di cipolla bruciata. Ed ecco il Carciofo ripieno con crema di tartufo, uno scorzone nero campano, brodo di topinambur e carciofi.
Foto Mariarosaria Bruno
Quindi arriva l’Ostrica, un viaggio emozionante che ondeggia tra ricotta alla brace, ippocrasso di vino di pasta (un vino che fa la fermentazione della pasta e che viene aromatizzato con le spezie, proprio come si faceva nel mondo antico), granita al sommacco e tapioca di zafferano: un’esplosione di sapori diversi al palato, che riesce a restituire, sul finale, la purezza del mare, con la salinità del mollusco che emerge netta e distinta.
La Pasta mischiata è un altro must da assaggiare: coccola e abbraccia il palato con una grazia incredibile, che omaggia anche la storia di questo luogo. Qui, infatti, un tempo sorgeva la riserva di grano della città. Questa portata viene condita con la salsa ottenuta dalla fermentazione della pasta stessa, verdure bruciate e grano di tumminia sbollentato. Come a dire: ecco la pasta, alimento simbolo del Mediterraneo, da dove arriva, com’è oggi e come diventerà, attraverso forme e consistenze diverse che le consentono di cambiare rimanendo, nell'essenza, uguale a se stessa.
Foto Mariarosaria Bruno
Il secondo è il Rombo, proposto con gel di incenso e limone alla base, e servito con salsa al polline e bernese di mare, olio di verbena e carré di erbe mediterranee. A parte, ecco l’acqua di asparago bianco e cavolo cappuccio fermentato e piselli fermentati. A condire il tutto, un leggero olio di argan. Non manca l’entroterra mediterraneo, ed ecco la Pecora, che viene declinata in più modi, con un servizio complesso, a più piatti, che rievoca i grandi banchetti del passato: servita sul piccolo batbout (pane arabo) con concentrato di pomodoro; marinata, cotta a bassa temperatura e passata alla brace, proposta con crema di legumi e una salsa con la sua riduzione; nell’aspic con cipolla e polvere di caffè. Per pulire e rinfrescare il palato, un trittico di finocchio declinato in fresco, in crema e in semi.
Il sipario si chiude con le creazioni del bravo pastry chef di casa, Federico Andreini, che - come da desiderio di Ambrosino - non utilizza cacao e derivati: il pre dessert, ottimo e aromatico, è un sorbetto alle foglie di fico, con sale e olio all’alloro. Poi, la meraviglia del dolce Flora. “Si chiama così proprio in onore della statua della dea presente all’interno del Museo Archeologico”, racconta il pastry chef. La rappresentazione visiva di questa statua con i fiori è resa da un bouquet profumato servito al tavolo. Poi, tutta la parte botanica del dolce è data da una composizione a base di edera, rosa e unghia di janara, “una pianta invasiva che abbiamo importato dal Nord Africa e che veniva usata dai marinai che rimanevano a bordo delle navi senza acqua dolce, visto che anestetizza il palato; noi l’abbiamo fatta macerare in aceto di sambuco”.
Foto Mariarosaria Bruno
Si chiude il percorso con la petite patisserie, tra sandwich di alga e burro di nespola e “tonico Ambrosino” (una sorta di amaro analcolico preparato con genziana e altre quindici erbe), caramella di mela e tabacco, scorzonero sciroppata, “che prima fa un mese di fermentazione nell’acqua di governo della mozzarella di bufala, che serviamo al bistrot; riutilizziamo il siero in diversi modi, tra cui questo”, precisa lo chef.
Il Collettivo Mediterraneo? “Proseguirà la sua opera, con un sito web rinnovato e con progetti didattici legati alla scuole e all’educazione all’alimentazione”, risponde Ambrosino. "Il nostro obiettivo finale è quello di divulgare la mediterraneità come chiave di lettura della realtà, veicolare la creolità innata che ci contraddistingue e il sentimento mediterraneo”. Quello di Ambrosino è il linguaggio delle emozioni: lo chef va a smuovere corde del nostro dna mediterraneo, dimostrando di essere cuoco di tecnica e di animo, capace di esprimere il connubio perfetto tra cucina di ricerca e divulgazione. Lo fa in maniera naturale, dicevamo, o meglio il palato recepisce senza forzature un’elaborazione attenta, una ricerca che fonde studio e gastronomia, ricerca antropologica e gusto, andando oltre il mero uso delle fermentazioni e delle tecniche di cucina. Lunga vita alla Galleria Principe di Napoli e a progetti interessanti ed emozionanti come Sustanza.
Sustanza
Galleria Principe di Napoli
Via Broggia 7, Napoli